Rolling Stone Italia

Alessandro Borghi, il video backstage di Rolling Stone

Insieme all'attore che ha portato sullo schermo Stefano Cucchi fra le vie romane in cui è cresciuto, tra il cinema di quartiere e i "matti" di Trastevere

La copertina di Rolling Stone questo mese è dedicata a Alessandro Borghi, il nuovo volto del cinema italiano: un “nuovo cinema popolare” e, soprattutto, impegnato, riportato sul grande schermo con Sulla mia pelle, il film dedicato agli ultimi giorni di Stefano Cucchi. «Seguo questa vicenda dalla prima volta che Ilaria Cucchi ha tirato fuori la foto di suo fratello», racconta l’attore fra le pagine della nostra cover story.

Un’intervista – di cui qui sotto potete leggere un estratto – in cui abbiamo accompagnato Borghi fra le vie di Roma, quelle stesse vie in cui è cresciuto – tra il cinema di quartiere e i “matti” di Trastevere – ripercorrendo una storia, la sua, in cui ha osservato il mondo dalla parte degli outsider, portandoli in scena: dal Vittorio creato da Claudio Caligari per Non essere cattivo fino a Stefano Cucchi, passando per Aureliano in Suburra.

«Quando ero piccolo abitavo a viale Marconi, dove c’è ancora un palazzo con sopra una grande insegna pubblicitaria che si illumina la sera. Mia madre mi diceva: “Vai dove ti pare ma non superare il palazzo perché oltre c’è la stazione di Trastevere dove girano i matti”. Io ovviamente andavo dai matti». Alessandro Borghi è sulla strada che porta al Greenwich di Testaccio, un’ex sala parrocchiale trasformata anni fa in uno dei cinema ancora vivi del centro. Viale Marconi e la stazione di Trastevere sono a cinque minuti di cammino. Attraversi il ponte dove cinquant’anni fa, alla fine di Accattone, moriva Vittorio, il primo Barabba di borgata.

Vittorio era anche il nome del suo personaggio di Non essere cattivo, che trovava invece la forza di cambiare vita e scendere dalla sua croce. La stazione di Trastevere, più o meno, non è cambiata. «Io volevo esse amico de questa gente qua, volevo capire. Andavo coi miei amici a trovare quello che stava tutto il giorno a petto nudo, beveva quaranta birre e ci raccontava perché s’era lasciato con la moglie. Rischiavo pure de prende le botte, perché a un certo punto questi si innervosivano».

Alessandro Borghi è in copertina sul nuovo numero di Rolling Stone. Foto di Jérôme Bonnet

Posti esauriti per vedere Sulla mia pelle. Prima della proiezione, il saluto di Alessandro. In strada strette di mano, abbracci, grazie Alessa’, e già una piccola fila che chiede una fotografia. Per ogni scatto un sorriso a 1000 denti. Scende di casa Valerio Mastandrea, che è un amico e abita davanti accanto, spunta in un angolo una vecchia conoscenza di set, un amico di quartiere. Altri abbracci. Si avvicina una coppia di ragazzi: niente foto, a loro basta una stretta di mano: «Proprio come avrei fatto io», approva Alessandro. In pochi minuti questa strada in mezzo ai palazzetti Novecento, con le luci che illuminano l’imbrunire, è un improvvisato red carpet d’asfalto. «Io il culto del cinema ce l’ho prima da spettatore che da attore», dice con gli occhi che gli brillano. «Il cinema del mio quartiere si chiamava Madison e ho visto tutto lì da quando avevo 13 anni. Ci andavo il pomeriggio, e ho continuato ad andarci quando l’hanno tra- sformato in multisala».

Sulla mia pelle è il film nel quale Alessandro si è caricato addosso la croce di Stefano Cucchi, un cristo di quartiere ammazzato di botte da chi lo aveva fermato con un po’ di fumo addosso e il sospetto che ne nascondesse altro. Picchiato e abbandonato in cella, poi scaricato in infermeria, lasciato infine a se stesso e alla sua agonia. Niente che giustifichi niente, e questo rende ancor più enorme l’ingiustizia. Quasi dieci anni di processi, nessun colpevole, una specie di lontana paura: «Dalla prima volta che ho visto la foto di Stefano ho pensato che lui poteva essere mio fratello minore, che ha 24 anni. Mi è scattato questo senso di protezione», ripete a chi gli chiede cosa si agita di così speciale dentro questo film. «Ho pensato anche che ci sono amici miei che fanno la stessa vita che faceva Stefano. E c’è l’abbandono. Stefano è morto convinto di essere stato abbandonato dai genitori, che invece non avevano il permesso di entrare a visitarlo. È una cosa che mi strazia ogni volta che ci penso».

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