È la seconda serata, sta tramontando sul set surreale di Cala Moresca. Un centinaio di sedie rosse sono già disposte sul bagnasciuga, davanti a uno schermo montato sulla sabbia nel mezzo di una piccola baia incontaminata. In un’area protetta della Gallura, nel cuore nord-orientale della Sardegna a un paio di chilometri dal centro abitato di Golfo Aranci e a venti da Olbia, va in scena ogni anno uno dei momenti migliori del Figari International Short Film Fest. Il folle che lo dirige e che lo ha fondato, ormai quindici anni fa, risponde al nome di Matteo Pianezzi. Sognava un festival che fosse insieme laboratorio, visione e incontro concreto tra cinema e territorio. Lo ha realizzato davvero e lo porta avanti senza fronzoli e scorciatoie, con idee chiare e decisamente atipiche. Chi viene per la prima volta al Figari rimane folgorato, chi torna da anni lo vive ormai come una tradizione.
Nel corso delle edizioni abbiamo fatto interviste sugli scogli, ballato la salsa con Aurora Giovinazzo reduce dai set di Özpetek e dalla gabbia di Zanin, assistito a masterclass, incontri industry e giornate di pitch in acqua – qui gli incontri tra produttori e autori si svolgono letteralmente “a mollo”, con sedie e tavolini disposti dentro l’acqua – mentre Andrea Arcangeli andava a cercare i migliori spot per surfare e Matteo Martari girava la costa in motocicletta.
Al mio quarto giro – stavolta anche in giuria del Concorso Internazionale e Animazione, insieme ai compagni d’avventura Paolo Camilli, Sara Lazzaro e Andrea Dodero – capisco cosa amo davvero della Figari experience alle sei di pomeriggio, mentre siamo in mare aperto, di rientro da una gita. Tutti insieme – stampa, talent e organizzatori – e tutti in costume, sporchi di sale e cotti dal sole, dopo una lunga serie di tuffi, birre e panini alla mortadella, ci dirigiamo verso la costa per approdare al Fino Beach, stabilimento sponsor della manifestazione che ci accoglie come campo base per una festa quotidiana. Al timone dei due gommoni Matteo Pianezzi e Maurizio Lombardi (proprio lui, e immaginate con quale stile), mentre le casse pompano Anema e core di Serena Brancale e la ciurma twerka. «Sembri Ercole incatenato al palo», fa Sara Lazzaro a Paolo Camilli, che detta la coreo per tutti.

Foto: Figari International Short Film Fest
Siamo oggettivamente e squisitamente coatti. Ogni anno Pianezzi, affiancato dal socio collaboratore Mauro Addis, ci regala attimi di purissimo turismo, ci spoglia d’abiti e paranoie, ci chiude in spiaggia da mattina a sera come in un reality show in cui, inevitabilmente, le maschere cadono e il dialogo supera le reticenze iniziali. Disinibirsi è la regola non scritta per integrarsi al Figari. Non c’è spazio per snobismi, distanze o ansie da prova costume. Qui si va avanti tra fritture di pesce, rosé frizzantini, primi bagni di stagione da condividere con degli estranei e discorsi sinceri sulle reciproche difficoltà dei vari mestieri. Se sei a dieta, se sgarri, se litighi al telefono per lavoro o sei nel pieno di un dramma sentimentale, gli altri in qualche modo se ne accorgeranno. E allora tanto vale parlarsi.
Rotto il ghiaccio con le dinamiche di un gioco orchestrato nei dettagli, poi Pianezzi ci riporta sulla terraferma: la sera è dedicata alla selezione dei corti da guardare e valutare, e qui si fa sul serio. Qui torniamo professionali, attenti e quasi competitivi. Farà freddo, lo sappiamo già, perché le proiezioni in spiaggia sono un mix di estasi e umidità. Le new entry si presentano vestite da photocall e se ne pentono immediatamente, perché il Figari è un festival da battaglia, lontanissimo dalla comodità della sala: tocca arrangiarsi e coprirsi con quel che la valigia offre, oppure ritrovarsi a chiedere sette coperte ciascuno al leggendario Max, il bellissimo custode del Fino Beach.
Dalle nove di sera a mezzanotte, anche volendo, distrarsi è impossibile. Provati dal clima e dagli insetti, ibernati sui lettini dello stabilimento adibiti a poltrone luxury, prima a Cala Sassari e poi sul lungomare di Golfo Aranci, fino alle due lingue di sabbia e roccia che racchiudono il paradiso di Cala Moresca, non restiamo che noi e il cinema. Che, di nuovo, non è quello comodo a cui siamo abituati. Sullo schermo niente star ma solo opere prime, in una selezione variegata e raffinatissima che ogni anno propone molte scoperte, spesso battendo sul tempo i festival più popolari o comunque offrendo una nuova luce ai corti che ci sono sfuggiti al cospetto dei grandi film. “E ora provate a ignorare i talenti emergenti”, sembra sogghignare Pianezzi, che quando l’ha pensata ci ha visto lungo: «Qui rimani a vedere i film perché non puoi andartene. È un regalo che ci fa la natura».
Quest’anno giuria nazionale, internazionale e popolare si riuniscono per un programma gemellato con Torino Short Film Market (ShorTo) e Sentiero Film Lab, che conta 30 cortometraggi selezionati tra oltre 1500 candidature provenienti da più di 20 Paesi, spaziando dalla fiction all’animazione e mantenendo sempre un livello altissimo. Gli italiani votano gli internazionali e viceversa, così nessuno avrà la tentazione di favorire amici e conoscenti. C’è l’imbarazzo della scelta, ma senza litigare troviamo un accordo sui preferiti da premiare insieme a Sara Lazzaro (impegnatissima tra Call My Agent – Italia, Doc – Nelle tue mani e La legge di Lidia Poët), Paolo Camilli (vincitore dello Screen Actors Guild Award 2023 per The White Lotus 2 e tra i miei preferiti anche in trasferta sarda) e Andrea Dodero (giovane talento già visto in Non odiare, The Equalizer 3, The Good Mothers, Gangs of Milano e nel Blocco 181 di Salmo, che infatti lo raggiunge a cena dopo le proiezioni, mica male).

Sara Lazzaro e Paolo Camilli al Figari International Short Film Fest. Foto: Chiara Del Zanno
Fra tutti spiccano il delicatissimo Little Rebels Cinema Club dell’indonesiano Khozy Rizal, la commedia romantica d’animazione Quelqu’un de spécial di Alice Gervat e il femminista The One Who Knows della regista lituana Eglė Davidavičė, mentre vincono Playing God di Matteo Burani – presentato in anteprima a Venezia 81 – con protagonista una creatura d’argilla e uno stop motion da statuetta, a servizio di una metafora sull’essere umano in tutte le sue fragilità e le inesorabili sconfitte. Durante i titoli di coda ci guardiamo commossi e non c’è bisogno di dirci che Burani vincerà.
Il premio per il miglior corto fiction va a Cura Sana della spagnola Lucía G. Romero – ancora un colpo di fulmine, già vincitore dell’Orso di cristallo alla Berlinale – che tra rabbia e abusi domestici mostra il quotidiano di due giovani sorelle, senza trascurare una salvifica pulsione alla vita sotto l’inferno dei lividi. Due le menzioni speciali assegnate: The Man Who Could Not Remain Silent del croato Nebojša Slijepčević – Palma d’oro al Festival di Cannes 2024 – tesissimo nel mostrare la reazione dei civili di fronte a un potere che non ammette repliche e che inevitabilmente dialoga con il nostro presente, e poi Caught in 4K delle registe austriache Adriana Mrnjavac e Nicole Stigler, tra le più grandi sorprese di questa edizione con un racconto disturbante e perfino nauseante sull’infanzia violata ai tempi dei social, che degenera nel chatting tra una ragazzina di undici anni e un pedofilo online.
Tra gli italiani si aggiudicano due menzioni speciali The Shell di Giuseppe de Lauri – premio France Télévisions, che in partnership esclusiva con il festival acquisirà e distribuirà il corto – e Marcello del nostro Maurizio Lombardi – già Nastro d’Argento e qui premiato da WeShort – mentre vincono la competizione l’umorismo di Giulia Grandinetti, con la sua commedia dell’assurdo Majonezë, e poi la ribellione femminile, dolorosa ma bellissima, raccontata da Alberto Salvucci in Una faccia da cinema, in anteprima mondiale per la categoria dei corti regionali, che è tra le vere chicche del Figari e che continua ad evidenziare una corrente – sobria, proiettata sul sociale, dura nella messa in scena, asciutta nella recitazione e ambientata in una Sardegna inedita ai più – di autori sardi emergenti da tenere seriamente d’occhio.

Maurizio Lombardi e Paolo Camilli al Figari International Short Film Fest. Foto: Chiara Del Zanno
Quando è il momento di lasciare l’isola, al Fino Beach è iniziato il dj set di un nuovo happy hour, mentre alcuni di noi se ne vanno con i costumi ancora bagnati e ballando fino all’ultimo. Nel tragitto verso l’aeroporto uno dei giovani driver del festival ci chiede se abbiamo voglia di ascoltare un disco ancora in fase di produzione. È il suo, e ci piace immediatamente. Ci guardiamo, capiamo che presto lo sentiremo in giro e così ognuno mette in moto la propria macchina: c’è chi prende i contatti dell’etichetta, chi scrive all’agenzia digital, chi s’informa per un live in quel famoso locale romano o mette in allerta colleghi e registi, «ascoltalo e dimmi che ne pensi».
Scopriamo che è venuto qui per curiosità ma che lo abbiamo già sentito nei titoli di coda dell’ultimo film di Ivano De Matteo, Una figlia, con il brano Buio. All’anagrafe e su Spotify: Lupo. Nel frattempo ci prenotiamo un ingresso per il primo club che riuscirà a chiudere, e forse l’essenza del Figari è proprio questa. Uno spazio e un tempo indipendenti, isolati dal resto, in cui nessun tassello è lì per caso e l’attenzione verso l’altro torna al centro di un’industria satura e distratta. Uno scambio concreto tra cinema e territorio, che sembra un po’ naïf a dirsi, ma che qui prende forma davvero e in maniera spontanea, quasi senza accorgersene. Come quando, attraversando una strada sterrata e invisibile alle mappe, raggiungiamo Cala Moresca. Solo il Figari ha il permesso di insinuarsi in questa riserva naturale, una volta l’anno. E noi lentamente saliamo, mentre dal dirupo della scogliera inizia ad affacciarsi lo spettacolo del panorama, il van si ferma e Maurizio Lombardi – capitano indiscusso del gruppo di questa edizione, tra immersioni e imitazioni – mi dice con quel suo tono inconfondibile: «Ma che festival è, questo! Ma così tutta la vita!». He’s got a point.