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«Vot’Antonio, vot’Antonio, vot’Antonio!»: vi basta questo slogan? Lasciamo perdere i politici finti ma veri visti sullo schermo: dal Caimano Silvio di Moretti al Divo Giulio di Sorrentino, fino all’ultimo Craxi/Favino in Hammamet di Amelio. La festa della Repubblica la celebriamo con gli onorevoli più assurdi del cinema italiano. Cominciando dal caposaldo Antonio La Trippa, uno dei personaggi più memorabili di Totò e forse in assoluto il candidato al Parlamento più epico del cinema italiano, accompagnato alla buvette da Franca Valeri (aspirante deputata DC), Peppino De Filippo (MSI) e Gino Cervi (PLI). E i colleghi illustri? Eccoli: mettete la vostra preferenza.
Anna Magnani grillina ante-litteram, nel film dello specialista di costume (anche politico) tricolore Luigi Zampa. La borgatara “dalla parte dei cittadini” (oggi si direbbe così) abdica però ai suoi poteri costituzionali, per non farsi corrompere dal potere. Meglio così.
Terzo episodio della saga campione d’incassi starring Fernandel e Gino Cervi, che, stufo di fare il semplice sindaco, ora punta a Montecitorio. Ovviamente in quota PCI. Ma gli abitanti della sua Brescello vorrebbero che restasse ad amministrare gli affarucci loro: ogni Parlamento è, prima di tutto, paese.
Siamo in territorio Sciascia (e con Elio Petri alla regia), dunque la cosa si fa seria. Ma il tono resta surreale, in questo ritratto di fake-deputati impegnati nei loro esercizi spirituali (e nei vari “gialli” che seguono). Cast all-star, dal presidente Gian Maria Volonté al “don” Marcello Mastroianni, ma l’onorevole più cult è quello di Ciccio Ingrassia.
Anche i parlamentari piangono. Anzi: si innamorano. Prendete l’inflessibile deputato comunista di Vittorio Gassman, che farà diventare il suo discorso all'assemblea del Partito un accorato monologo sentimentale (c’è di mezzo l’amante Stefania Sandrelli). Una delle vette del cinema italiano del secolo scorso, e non la mettiamo nemmeno ai voti.
Un “non” Moretti (dirige il giovanissimo Daniele Luchetti) che diventa un film più morettiano di certe opere dello stesso Nanni. Che qui veste le giacche di Cesare Botero, rampantissimo ministro delle finanze che sogna la scalata al potere. Scortato (letteralmente) dall’assistente Silvio Orlando. Dramedy politica in piena regola, più vera del vero.
Al secondo capitolo della (per ora) trilogia cinematografica, Cetto La Qualunque va in Parlamento. Anzi, il suo interprete Antonio Albanese siede addirittura su tre seggi, visto che interpreta – oltre che la mitica maschera televisiva – pure i colleghi Rodolfo Favaretto, separatista veneto, e Frengo Stoppato, pugliese trafficone. Anche qua, però, la realtà ha rischiato di superare la fantasia.
Che si fa se il leader del centrosinistra, dato per sicuro perdente alle elezioni, crolla? Si prende il suo gemello per sostituirlo. Doppio Toni Servillo per questa farsa fatta per dirci che la politica è un palcoscenico (ma dai). Il regista Roberto Andò tornerà sul luogo del delitto con Le confessioni, un quasi-remake di Todo Modo: ma non con gli stessi esiti.
Il grillismo ormai istituzionalizzato prende corpo sullo schermo con Giuseppe Garibaldi, signor nessuno che però – complice l’omonimia con l’eroe dei due mondi – si ritrova Capo dello Stato. Claudio Bisio nel cabaret di Palazzo, come pure nel sequel Bentornato Presidente! . Che però ha floppato: al pubblico bastava l’assurdità della cronaca vera.
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