‘Vice’, storia del capolavoro gonzo sull’uomo più potente dell’America di Bush | Rolling Stone Italia
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‘Vice’, storia del capolavoro gonzo sull’uomo più potente dell’America di Bush


Per il regista de ‘La grande scommessa’ è Dick Cheney il vero architetto della follia collettiva che ha portato Trump alla Casa Bianca. Ecco come ha raccontato la sua storia, e perché ha scelto Christian Bale per interpretarlo



‘Vice’, storia del capolavoro gonzo sull’uomo più potente dell’America di Bush


C’è voluta la febbre, un libro e forse l’intervento divino a far capire ad Adam McKay che non sapeva nulla di Dick. Alla fine dell’inverno del 2016 il regista aveva appena finito la trafila degli award del suo La grande scommessa, film dedicato alla bolla immobiliare che ha generato la crisi del 2007-2008. Poi, una settimana dopo gli Oscar, il cineasta 50enne si è ritrovato con quella che definisce come «la peggior febbre che si possa immaginare», come mi racconta stramazzato su un divano della stanza verde del Robin Williams Center, sulla Cinquantaquattresima a Manatthan. A sentirlo parlare sembra quasi di ascoltare i dialoghi dei suoi film, e le occasionali risate, come una proiezione vivente.

«Quello che voglio dire è che sono stato male per un mese», dice, cercando di posizionare il suo metro e novantacinque nella maniera più comoda possibile (McKay soffre di problemi alla schiena). Poi si arrende, si mette seduto e aggiusta la sciarpa attorno al collo. «Insomma, io giravo commedie! Facevo un paio di junket in Inghilterra… ma davvero? Non mi sono fermato per mesi, era costante. Hai presente quando il tuo corpo cova una malattia? Mi è arrivata tutta all’improvviso».

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In pieno delirio, il regista di Anchorman ha cercato la salvezza sullo scaffale dei libri. «Ho pensato: “Oh, ecco un libro su Dick Cheney”. Poteva essere qualsiasi altro libro, ma per qualche ragione è stato quel particolare volume ad attirare la mia attenzione». Non ricorda di quale biografia si trattasse – probabilmente Anger, di Barton Gellman – ma più leggeva, più si rendeva conto che il vicepresidente aveva avuto un’influenza più grande di quanto pensasse sulla politica contemporanea.

Quando si è ripreso dalla malattia, McKay si è gettato nella tana del coniglio: ha iniziato a leggere una quantità enorme di articoli su Cheney, alla ricerca di un’intervista in cui il vicepresidente si fosse lasciato sfuggire qualcosa di inedito. «Ma non l’ho trovata», dice. «Ero davvero convinto che avesse commesso un errore, che almeno una volta avesse detto più di quanto doveva. Non l’ha mai fatto – il suo piano non aveva nessuna crepa. Ed è così che mi è sembrato ancora più interessante».

«Su SNL lo prendevamo in giro, dicevamo che era come Darth Vader», aggiunge. «Ma ho sempre avuto la sensazione che non riuscissimo a capire del tutto la sua influenza sulle vicende di Washington. C’era sempre qualcuno che diceva: “Ragazzi, credo che sia molto peggio di quanto crediamo”».

Le sue letture, seppur iniziate nel delirio della malattia, sono presto diventate il punto di partenza per scrivere Vice, il film gonzo e fuori di testa sull’uomo che probabilmente prendeva tutte le decisioni nella Casa Bianca di Bush. Il film, che si apre con i giorni infernali di Cheney ai tempi del Wyoming e continua fino alla fine della sua carriera politica, offre uno sguardo iper-informato e iper-irriverente sulla vita del vicepresidente.

Consapevole che avrebbe trattato un personaggio noto per la sua riservatezza, McKay sapeva che non avrebbe girato un biopic vecchia maniera. Sapeva che quando tutti si sarebbero aspettati una svolta a sinistra, lui avrebbe puntato a destra. E tutto questo prima di fare la scelta di casting più WTF dell’ultimo decennio.

Christian Bale in ‘VICE’

«Ma insomma, perché non potevo pensare a Christian Bale per il ruolo di Cheney?», chiede ridendo. «Sì, lo ammetto, è stato un bel rischio. Ma non volevo un imitatore, e avevo già lavorato con lui» – in La grande scommessa Bale interpretava il manager Michael Burry – «quindi sapevo della sua capacità di smontare e rimontare la psiche di un personaggio».

Malgrado avesse commissionato «a un amico che fa sia lo scrittore che il giornalista» una dozzina di interviste a proposito di Dick e della sua famiglia, McKay sapeva che quel politico era una bella gatta da pelare. «Cheney è un mistero, questo è il punto», dice il regista. «Sapevo che avrei avuto bisogno di un attore capace di andare in profondità come Christian Bale».

Anche il protagonista del Cavaliere Oscuro era perplesso di fronte alla possibilità di interpretare il principe delle tenebre di Washington D.C.; “Non ti rendi conto di quanto sarà difficile?”, ha scritto a McKay dopo aver letto la sceneggiatura. Ma ha accettato il ruolo, e si è messo subito a lavorare per superare il primo grande ostacolo della loro impresa: l’aspetto fisico di Cheney. «Il trucco è stata la prima sfida. Christian diceva: “Se il trucco sarà brutto, il film cadrà a pezzi”. Abbiamo chiamato Greg Cannom (Il curioso caso di Benjamin Button), e abbiamo lavorato alle protesi per quattro mesi. Pensavo fosse fantastico, ma Bale pensava potessimo fare di meglio. Ha messo su 20kg… e quando è arrivato per la prima volta sul set eravamo tutti scioccati».

Per interpretare Lynne Cheney – moglie del protagonista e personaggio altrettanto machiavellico – McKay ha scelto Amy Adams; Steve Carell nel ruolo di Rumsfeld, e Sam Rockwell in quello del 43esimo presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. «Rockwell ha avuto il compito più difficile in assoluto», ammette il regista. «Perché la versione di Will Ferrell è davvero memorabile. Ma quello che fa nel film è buono, dannatamente buono».

Poi, durante la pre-produzione, sono arrivate le elezioni del 2016. McKay si chiedeva: vogliamo ancora fare questo film? «Ci siamo detti: Ok, adesso questa storia è molto più attuale», dice. «Volevo sapere come diavolo eravamo arrivati a quel punto, e pensavo che Bush e Cheney avevano fatto la loro parte. Dicevo sempre che Cheney era il guardiano, l’uomo con la combinazione per aprire la stanza dei bottoni – dopo le elezioni quella stanza si era aperta, e all’improvviso cervi e iene hanno invaso i corridoi della Casa Bianca».

Comunque, McKay è convinto che i momenti più in stile Anchorman del film – i finti titoli di coda a metà storia, i Cheneys che parlano a letto in versi shakespeariani, un maitre che elenca torture e scappatoie legali come se fossero il menù di un ristorante – siano perfettamente intonati al clima politico attuale. «L’era Trump è solo orrore e assurdità», dice. «E mi sembra che gli anni precedenti siano stati messi sotto il tappeto. Ma la gente ha bisogno che qualcuno ricordi che c’è una storia, che siamo arrivati qui per un motivo. Non so se questo film cambierà qualcosa. Ma girarlo è stata un’esperienza catartica».

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