Tutto chiede Federico Cesari | Rolling Stone Italia
Interviste

Tutto chiede Federico Cesari

‘Tutto chiede salvezza’, dal romanzo di Daniele Mencarelli, è la prossima serie Netflix di cui sarà protagonista. Un progetto già ‘hot’, come la piega che ha preso la carriera del giovane attore romano dopo ‘SKAM Italia’. Il suo Martino è stato (e speriamo torni ad essere) uno dei personaggi più amati e rilevanti della nuova serialità italiana. Ma lui sta dimostrando di saper andare oltre

Tutto chiede Federico Cesari

Federico Cesari scattato in esclusiva per Rolling Stone

Foto: Fabrizio Cestari. Total look: MISSONI AW 21

Quella di Federico Cesari è un po’ una “maledizione”. In senso buono, eh. Quest’estate ha lavorato a una nuova produzione, ma quando ci siamo sentiti qualche settimana fa non ne poteva parlare. «C’è questa cosa che non sopporto», mi racconta mentre chiacchieriamo al telefono. «Non posso mai parlare di quello che faccio, MAI, non so perché. Sembra quasi un accanimento nei miei confronti», ride. «Esco con gli amici miei, loro pubblicano foto, sceneggiature. Io non posso. Però è un bel progetto, qualcosa di nuovo, che non ho mai affrontato». Avanti veloce. Nei giorni scorsi Netflix annuncia che Federico sarà il protagonista di Tutto chiede salvezza, serie dramedy scritta e diretta da Francesco Bruni e tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli – vincitore del Premio Strega Giovani 2020 –, che “racconta la forza e la fragilità della generazione dei più giovani attraverso l’esperienza, sconvolgente ma formativa, del trattamento sanitario obbligatorio” (virgolettiamo il comunicato perché è tutto quello che, per ora, è dato sapere).

Insomma, ancora una volta roba grossa, e ancora una volta la responsabilità di dare volto a un’intera generazione. Classe 1997, faccia da cinema (un po’ Elio Germano, un po’ Valerio Mastandrea, ma con una sensibilità e una coolness tutta sua) e talento limpidissimo, Federico è la rappresentazione perfetta del rinnovamento dello star system che abbiamo provato a raccontare nel nostro numero speciale: «Essere accostato a determinati nomi del mondo dello spettacolo che ammiro tanto è gratificante, perché è vero che SKAM Italia ha avuto un impatto anche mediatico importante di cui siamo felicissimi, però è un po’ come se all’interno della realtà cinematografica stessa non fosse stato ancora pienamente digerito o compreso. E il fatto che tanti nomi della serie fossero nel portfolio è un riconoscimento del fatto che abbiamo fatto un buon lavoro e che, all’interno del microcosmo della cinematografia, viene effettivamente apprezzato».

SKAM Italia, il teen drama che ha cambiato il genere in Italia, o forse lo ha addirittura creato da zero. E il personaggio di Federico, Martino Rametta, è uno dei migliori e più amati della serialità corrente, cuore della stagione forse più rivoluzionaria: la seconda. «SKAM è stato uno dei regali più grandi che potessi ricevere nella vita. Oltre a lavorare a qualcosa di bello, che non è scontato, il formato seriale ti permette di rimanere attaccato al personaggio, di studiarlo tanto, di rappresentarlo a 360 gradi, è una cosa molto rara. Noi attori giovani finiamo spesso a fare i figli di, non capita spesso di avere davvero la possibilità di interpretare un personaggio così complesso, con un percorso, un’evoluzione». Un dono che, in questo caso, è andato ben oltre il set: «Nel momento in cui chiudiamo le riprese, il nostro lavoro fondamentalmente si conclude. Invece con SKAM è come se tutto il bello non fosse finito, ma anzi, dovesse arrivare ancora tanto altro a distanza di tempo, anche di un anno dalla messa in onda della seconda stagione, a più ondate». Federico è diventato un’icona. E, per dirlo con le parole della produttrice di SKAM Italia Maddalena Rinaldo: “Che una comunità elegga a simbolo qualcuno che in realtà non fa parte di quella stessa comunità, è il cerchio che si chiude: non qualcuno che è esattamente come me, ma diverso da me e portatore dei miei stessi principi”.

«Pensare di essere visto come un punto di riferimento da qualcuno perché hai fatto il tuo lavoro con tutto il cuore – e ti sei divertito, hai pianto, hai riso – è qualcosa di enorme, che non ti aspetti. Siamo stati fortunati ad avere un supporto del genere, a ricevere messaggi di gente che scriveva: “Grazie al tuo personaggio io sono riuscito a fare una determinata cosa”. Immaginare di riuscire veramente a dare una mano a qualcuno, e come? Niente, semplicemente con il mio lavoro. Cioè, non ci sono riuscito facendo il medico, ma ci sono riuscito facendo l’attore», ridiamo.

Foto: Fabrizio Cestari. Total look: MISSONI AW 21

Ecco, medicina. E se pensate al nuovo progetto Netflix, tutto torna, davvero. In questi anni Cesari ha portato avanti due percorsi paralleli. «È un discorso che progressivamente diventa più complicato con il passare del tempo, all’inizio avevo questo approccio abbastanza spensierato: “Mi piacciono entrambe le cose, perché mi devo privare di una delle due?”. Finché posso, e riesco, continuo. Il problema è che adesso sono al sesto anno di medicina, sto comunque lavorando e il momento di prendere una decisione si avvicina. Ti rendi pure conto che non ha più la scusante del “Vabbè, ce provo”. Nessuno o quasi mi conosceva prima di SKAM, ora la gente invece vede quello che faccio con una certa aspettativa. E questo cambia qualcosa nell’approccio al lavoro». Lo stesso vale per il percorso universitario: «Arrivi alla fine e le tue aspettative di avere una preparazione di un certo tipo magari non vengono soddisfatte, perché non hai investito tutto il tuo tempo in quello. E diventa un po’ difficile portare avanti entrambe le strade». Sì, è tempo di scegliere: «Ho deciso di prendere questa laurea e poi impegnarmi al 100% nella mia carriera da attore, in modo da concentrami su una cosa e farla al massimo delle mie possibilità. Poi la laurea sta là e non scappa, se mai volessi approfondire, mentre una carriera va portata avanti… non è che puoi dire: “Vado tre-quattro anni a fare la specializzazione e poi ritorno”».

Nonostante le sessioni di esami, Federico nel frattempo di cose ne ha fatte parecchie. Partiamo dall’inizio, dalle prime esperienze da bambino nei film di Pupi Avati, La cena per farli conoscere e Il figlio più piccolo: «Quelle particine mi hanno permesso di iniziare a vivere il set e, vista l’età, fondamentalmente era un gioco, ma non ho un ricordo nitido, mi sono rimaste più delle sensazioni». Poi la serialità mainstream, come I Cesaroni o Tutti pazzi per amore: «Sicuramente mi hanno insegnato una cosa importante: come si vive su un set, quali sono i ritmi, dove bisogna stare, il rapporto con la macchina da presa. Poi ho avuto la fortuna di appassionarmi a quello che faccio e capire che vuol dire fare l’attore, creare un personaggio, costruire una storia, trasmettere il tuo pensiero e quello di un autore, ma anche assorbire una quantità di vissuto umano che mi ha permesso di crescere molto di più quando, ad esempio, stavo ai primi anni di università rispetto ai miei compagni di corso».

Tra le tante “vite” però ce n’è una che ha un posto particolare nella memoria di Federico, quella di La guerra è finita, la miniserie che segue il ritorno alla vita dei prigionieri dopo i campi di concentramento. «È stata un’esperienza sicuramente molto sofferta e, se ripenso a quel periodo, lo faccio un po’ con il sorriso e un po’ con una sensazione di angoscia. Io, che sono cresciuto in una famiglia molto grande, presente e numerosa, mi sono trasferito da solo tre mesi e mezzo a Reggio Emilia per girare. E mi sono trovato a fare i conti con molti momenti di solitudine: è stato sicuramente formativo, ma ha avuto un impatto. A questo si è sommato il lavoro sul set, in cui ovviamente, per quello che andavamo a raccontare, non dovevi mai dimenticare qual era la storia del tuo personaggio e, anche quando avevi delle scene comiche, non potevi usare il massimo della leggerezza perché lo sfondo era comunque sempre drammatico. È stato difficile rimanere nella sofferenza di un vissuto del genere per tutto quel tempo».

Foto: Fabrizio Cestari. Total look: MISSONI AW 21

All’opposto c’è invece un’altra esperienza, quella di Ritoccati 2, la sit-com dedicata alla chirurgia estetica: «Ho incontrato di nuovo tanti amici, tra cui il regista Alessandro Guida, e mi ha dato la possibilità di sperimentare la comedy, che è una cosa molto distante da me: mi sono sempre cimentato in ruoli non dico drammatici, ma mai così leggeri. Questo aspetto mi ha permesso di provare a metterci un po’ più del mio, a osare un po’ di più».

Il prossimo appuntamento sullo schermo invece è quello con Anni da cane, altro progettone: un teen-fantasy, ma soprattutto il primo film Amazon Made in Italy: «È una bella scommessa, noi abbiamo dato il massimo. Abbiamo avuto la possibilità di fare un lavoro enorme sui personaggi, siamo stati tre settimane in quarantena, chiusi in un hotel tutti i giorni a provare le scene. E una volta arrivati sul set sapevamo già più o meno come muoverci, avevamo già creato un setting emotivo». Del suo personaggio Federico dice che parliamo sempre «dell’ambito teen, però è qualcosa di nuovo, molto ben definito, e di questo sono contento. Non ho ancora visto il risultato finale, ma spero di avergli dato la giusta caratterizzazione, perché è molto particolare».

Intanto è pure stata confermata la quinta, sospiratissima stagione di SKAM Italia, di cui però ancora non si sa nulla. Ma, per noi, esiste un dogma: senza Martino SKAM non si può fare. Federico ride: «Farò sempre tutto il possibile per essere presente sempre, perché è come tornare in famiglia, rivedere le persone con cui sei cresciuto, con cui hai condiviso tanto. Probabilmente è stata l’esperienza che ci ha formato più di tutte. Tornare là sarà sempre come tornare a casa. E poi poter interpretare di nuovo Martino, che è un personaggio che conosco bene, so come muovermi, quello che devo fare… ecco, è tutto molto più naturale».

Foto: Fabrizio Cestari. Total look: MISSONI AW 21

Le sue scene preferite di SKAM? «È sempre difficile decidere quali siano, perché magari ti rendi conto dopo della potenza di una sequenza, lì per lì sei concentrato sul personaggio. E quindi le mie preferite derivano anche da quello che provavo nel momento in cui ero lì a recitare. Ho tanti bei ricordi del coming out di Martino con Giovanni (il personaggio di Ludovico Tersigni, nda): mentre giravamo c’erano una tranquillità e una naturalezza che ricorderò sempre. Trovarsi a fare una scena del genere, avere Ludovico accanto e riuscire ad arrivare a quei livelli di complicità con un altro attore è qualcosa di difficilissimo. E poi tutte le scene con la madre di Martino sono state molto intense. Ma anche la sequenza in cui Martino va a casa del padre a Natale e poi arriva sulla terrazza… pure lì c’erano parecchie emozioni dentro e fuori la scena».

La responsabilità di cui parlavamo Federico la sente, eccome, basta dare un’occhiata ai suoi social: «Ho l’opportunità di fare qualcosa per le cause in cui credo grazie al seguito che ho, se non lo avessi avuto il mio pubblico sarebbe la mia cerchia di amici a cui faccio già una testa tanta. Quello che non sopporto è il crescere senza valori umani, devo capire che tu sei una persona che ha uno spessore, una profondità. In qualche modo cerco di spronare la gente a far qualcosa di più perché molto spesso è una questione di pigrizia. Ma forse non è tanto una questione di responsabilità, io ho una piattaforma e la uso per esprimere quello che sento di esprimere». L’altro lato social è quello più “frivolo”, diciamo così: «Con la moda più che altro mi diverto, è un mondo nuovo. Sono sempre stato un appassionato di streetwear e quindi un gusto mio ce l’ho sempre avuto, poi entrare nel mondo della moda mi ha permesso di capire un po’ di più quale sia in realtà il senso artistico dietro tutto questo, di capire più a fondo il processo. E poi appunto incontri un sacco di persone incredibili, persone che nella vita di tutti i giorni non trovi da nessuna parte, ma che sono preziosissime. Io vado sempre a periodi: mi piace molto la moda, ma magari mi sveglio una mattina che non ho la minima voglia né la capacità di abbinare le cose, e mi metto le prime due che mi capitano ed esco», ride. «Ma sono molto contento di mettere un piccolo piede in questa realtà, piano piano…».

E se parliamo di sogni, IL nome è Lars von Trier: «Il mio sogno sarebbe quello di fare una bella interpretazione, che non è scontato perché da quanto so lui richiede veramente il 100%, ti tira fuori tutto, so che vari attori hanno detto di non volerci mai più lavorare perché è un’esperienza abbastanza totalizzante. Sempre parlando di massime aspirazioni, un altro regista con cui mi farebbe impazzire lavorare è Yorgos Lanthimos, che adoro follemente». Intanto però la strada è ben delineata, all’insegna di un impatto generazionale quasi unico: «Spero di portare avanti questo discorso, perché comunque è una responsabilità grande e, quando hai già fatto qualcosa come è capitato a me su SKAM, poi è difficile continuare su quella linea anche proprio a livello quantitativo di progetti. Ora come ora sono molto contento del mio percorso, e sono anche abbastanza spaventato perché i miei prossimi lavori sono una grande sfida. Ma ce la metterò tutta, anche per portarmi a casa una bella esperienza, qualcosa di bello per me».