Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone US il 10 marzo 1994.
Winona Ryder è convinta che l’idea di leggermi i suoi diari sia pessima. Io la supplico appellandomi alla scienza, alla medicina e a qualsiasi altra cosa mi venga in mente. Ne discutiamo più e più volte. Le dico che, così, farebbe un regalo ai lettori: qualcosa di puro, non filtrato, che sgorga direttamente dalla sorgente. Lei mi dice che tirare fuori quei quaderni rilegati a spirale sarebbe «la cosa più patetica e dozzinale del mondo». Ma ci riflette su. Per settimane non dice né sì né no, mi risponde come ogni tanto fanno quelle vecchie sfere della fortuna, le Magic 8 Ball: “Responso indefinito, riprova”.
Il primo dell’anno, mi chiama da casa sua a New York: questa volta la Magic 8 Ball, incredibilmente, dà un responso positivo. L’attrice ventiduenne abita in un condominio splendido e signorile di Manhattan, una specie di transatlantico che solca le acque di un quartiere grigio e squallido. Stasera, il suo amico Kevin Haley e il suo fidanzato, Dave Pirner dei Soul Asylum, sono al piano di sotto a cucinare la cena. L’attrice è in camera da letto e sorseggia un tè al miele. Le piace la compagnia e godersi casa sua. Sul letto c’è una pila di diari. «Faccio fatica a leggere le mie cose», dice. Ma lo fa. Legge un appunto risalente al primo di aprile del 1993, scritto mentre era in Portogallo per girare l’epopea di Bille August, La casa degli spiriti. All’epoca stava vivendo la fine di una lunga relazione con l’insonnia (cinque anni) e con Johnny Depp (quattro). La prima frase è questa: «Lisbona. Che schifo. Stranezza».
E si parte.
«Non ci credo: l’ho fatto», dice Ryder, ridendo, 15 minuti dopo. «Non posso credere di averti letto i miei diari. È una cosa da sfigati. Oddio. Hai intenzione di divertirti con me? Mi farai a pezzi?».
Di persona è alta un metro e 60, pesa 46 chili e la sua vita misura 43 centimetri. Joanne Gardner, media coordinator della Polly Klaas Foundation, la definisce «minuscola». Martin Scorsese, che l’ha diretta nel ruolo che l’ha portata al successo nell’Età dell’innocenza, la descrive come «una piccolina». Janeane Garofalo, che interpreta la sua coinquilina nella commedia di Ben Stiller sulla Generazione X, Giovani, carini e disoccupati, la mette così: «È esilissima! È come un soprammobile da mettere su un tavolino da caffè!».
Quando la incontri, Ryder ti affascina all’istante. Può essere un po’ timida («Non credo che sarei brava a distruggere i camerini. Mi verrebbe da dire: “Oh no!”»), giudicante («Non posso credere che ti sia piaciuto quel film. Sono sorpresa e delusa. Davvero: non sto scherzando»), sdegnosa («Mi hanno offerto di fare quel film, tra l’altro, e ho risposto con una lettera molto cattiva dicendo: “Come osate?”»), poi di nuovo timida («Ma non l’ho mai spedita»). Eppure la prima impressione che si ha di lei è semplicemente che è bella e minuta. Con le ginocchia sollevate verso il petto e la testa bassa, sembra una pallina che potrebbe rotolare via da un momento all’altro. La taglia di Ryder la fa sentire chiaramente vulnerabile (in giro cammina con una postura ingobbita e sulla difensiva), ma spesso ci ironizza. Un pomeriggio, camminando scalza nell’ampio atrio con lampadari del suo condominio, si gira verso di me e dice: «Qui vivono tutte le modelle più famose. Mi sento una nana freak del cazzo».
L’intervista numero uno cade in una giornata grigia e vuota poco prima di Natale. Ryder è appena tornata dai funerali di Polly Klaas, la dodicenne rapita lo scorso ottobre nella sua città natale, Petaluma, in California, e trovata morta assassinata due mesi dopo. Arriva al ristorante in perfetto orario e in strada saluta Pirner con un bacio (dopo chiederò di poterlo incontrare e la Magic 8 Ball ci dovrà pensare per settimane). Una volta dentro, si siede in un angolo e si toglie il suo «cappello alla Holden Caulfield»: un berretto da caccia, a quadri, con paraorecchie foderati di pelliccia. I suoi capelli sono sorprendentemente corti. «Me li ha tagliati mia madre», spiega. «Non erano del mio colore naturale e mi ha detto: “Tesoro, lascia fare a me”. Adesso ho sempre le orecchie congelate». Indica il suo cappello. «Quindi ho bisogno dei paraorecchie».
Ryder sembra rilassata e a suo agio, ma non appena accendo il registratore lo fissa con gli occhi di un animale illuminato dai fari di un’auto. Del resto è normale che chiunque stia per affrontare settimane di domande sia un po’ teso: Truman Capote ha definito il rapporto tra star del cinema e giornalista come quello fra “il colibrì nervoso e il suo aspirante rapitore”. Per un po’, Winona si fa sempre più piccola, quasi minacciando di scomparire. «Mi innervosisco», dice, «e quando sono nervosa non articolo bene». Ordina una tisana e una zuppa di pollo. Le chiedo se ricorda la prima volta che ha sofferto di insonnia. Guarda di nuovo il registratore, poi parte.
«Ero a Memphis a girare Great Balls of Fire!», racconta. «Avevo 16 anni. Non stavo bene, deliravo, e ricordo di aver fatto una cosa stranissima. Ho preso un mucchio di pompelmi… Hai presente quando sei malato e hai la febbre? E magari prendi un’arancia o un pompelmo e ti danno sollievo perché sono freddi, così li metti sul viso? John Doe, il cantante degli X, interpretava il ruolo di mio padre nel film e mi aveva portato un sacco di pompelmi. Per la vitamina C e roba così. Allora ho piazzato i pompelmi nel letto in modo che mi circondassero. Mi sono sdraiata e ho cercato di dormire».
È stata un’idea di Doe? Ride. «No, no, no. È stata farina del mio sacco. Si finisce per annoiarsi. Ricordo che ero in preda al panico. E l’orologio digitale segnava: 3:30! 4:30! 5:30! Sono rimasta sveglia tutta la notte. Ricordo che, quando si è fatto giorno, ero tristissima. Pensavo che sarei morta o qualcosa di simile. E da quella notte in poi… Visto che sapevo che poteva succedere, è successo». Alcune settimane dopo, le ricordo la storia del pompelmo. «Oddio!», geme. «Perché ti ho raccontato quella roba? Che senso aveva? Forse i pompelmi mi hanno causato l’insonnia per cinque anni».
Nel giro delle due settimane successive, Ryder torna ogni tanto a comportarsi da colibrì nervoso. Ma a questo punto è necessario dare qualche informazione in più. Con Schegge di follia, in cui raccontava una storia attraverso i diari del personaggio che interpretava, Ryder è entrata nel cuore della sua generazione. La vita dei teenager era complessa e Ryder, più di ogni altro attore o attrice, lo capiva bene. Dopo Schegge di follia, film come L’età dell’innocenza e persino l’acerbo Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola l’hanno resa qualcosa di più della portavoce della Generazione X: l’hanno trasformata in una star del cinema. Stiller dice: «È divertente: piace molto alle ragazze e ai ragazzi. Ogni ragazzo con cui ho parlato ha una cotta per lei». Garofalo osserva: «Ho notato che piace anche ai bambini più piccoli». E aggiunge: «Penso che Winona sia la poster girl di tutti i Trekkie, dei nerd fissati con l’informatica, dei collezionisti di fumetti. E anche degli sportivoni. Capite? È così bella che è trasversale».
Ryder ha già vinto un Golden Globe come miglior attrice non protagonista per L’età dell’innocenza e a marzo potrebbe vincere un Oscar («Ma figurati!»). Si dice che le siano stati offerti fino a quattro milioni di dollari a film. Le piacciono le pellicole in costume: nella Casa degli spiriti, una saga che abbraccia quattro generazioni, interpreta la figlia ribelle di un politico conservatore dell’America Latina (Jeremy Irons), e presto inizierà a lavorare a un nuovo adattamento di uno dei libri preferiti di Polly Klaas, Piccole donne. Ma non ha intenzione di abbandonare il suo pubblico di riferimento: nel film satirico Giovani, carini e disoccupati interpreta una giovane regista disoccupata il cui interesse amoroso (Ethan Hawke), altrettanto giovane e disoccupato, minaccia di trasformare il suo appartamento in “un covo di fannulloni”. Spiega Ryder: «Il mio agente mi ha detto: “Penso che questo film ti piacerà, perché puoi metterti i jeans”».
L’unica cosa che lei sembra non aver imparato, durante il suo percorso per diventare una star del cinema, è come mentire. Da qui il colibrì nervoso. Riflette bene sulle cose. È onesta? È corretta? È sulla difensiva o di cattivo gusto? Se l’insonnia non esistesse, l’avrebbe inventata Ryder. Una sera chiama, ha una sfumatura dura nella voce e sbotta, parlando dei suoi diari: «Se fai solo finta che io ti piaccia e scrivi un pezzo cattivo, mi odierò per averti dato corda». Balbetto delle rassicurazioni. Lei vuole sapere come userò i suoi diari. Le dico che li infilerò da qualche parte. Ride: «Ma come: in mezzo all’articolo?».
8 aprile 1991
Vorrei poter scrivere questa cazzo di roba senza la paura che in futuro venga letta o pubblicata. Ma in fondo io non sono così famosa. E poi chi se ne fotte? Probabilmente sarò già morta per quell’epoca, quindi non avrà importanza. A meno che i miei figli non trovino imbarazzante questa roba…
Vorrei essere a San Francisco, nel Sunset District. Ricordo che una volta ci sono andata con G. Avevo un sacco sabbia nelle scarpe. Lui aveva uno skateboard e camminavamo sulla spiaggia. Mi sentivo molto più grande di lui, ma una parte di me non… Cavolo, l’ho snobbato. Mi ricordo che era poverissimo, come lo ero stata io. Ed era davvero sporco. Ma dolcissimo. Non mi piaceva, però, non in quel senso. Forse per un minuto, ma poi è passato… In questo momento vorrei avere un piccolo appartamento a San Francisco. Vorrei non avere fatto quello che stavo facendo. No, mi correggo. Mi piace fare ciò che faccio: solo che non mi piacciono alcuni aspetti. Un classico, eh? Sembra tipico: gli attori che si lamentano di voler essere come tutti gli altri. Ma se lo fossero, vorrebbero solo essere delle star del cinema. Posso vivere come voglio. Questo è quanto. Nessuno ha costruito questa cosa per me. Nessun altro si è inginocchiato vicino a me e ha posato i mattoni. L’ho fatto io da sola. Ecco perché sono così esausta. O è solo il jet lag?
Adoro questo verso di Tom Waits in San Diego Serenade: “Non ho mai sentito le corde del mio cuore finché non sono quasi impazzito” Sto bevendo una birra. Oh, cazzo! Non è esaltante? In effetti lo è, se ci pensi. Almeno per me. Sono cose che non faccio mai perché penso troppo. Penso avanti. Penso indietro. Penso lateralmente. Penso a tutto. Se una cosa esiste, io ci ho pensato, cazzo.
Ryder l’ha scritto tre anni fa su un aereo diretto da Londra a Los Angeles. Aveva bevuto mezza birra ed era già brilla. Winona è il prodotto di un’infanzia bohémienne immersa nella controcultura, anche se strana. I suoi genitori hanno scritto un libro erudito e femminista intitolato Shaman Woman, Mainline Lady, che li presentava come i direttori dell’“unica biblioteca al mondo dedicata esclusivamente alla letteratura sulle droghe che alterano la mente”. Una volta Ryder in un suo diario ha scherzato sulla sua «paura della marijuana». I suoi genitori portavano i bambini a sguazzare nudi nelle cascate. Ora lei dice, a proposito delle scene di nudo nei film: «Non potevo farlo. Non ci riuscivo. Non ci riuscivo e basta».
Oggi suo padre commercia in libri sugli anni Sessanta e la madre ha una piccola società di produzione specializzata in video di nascite. L’attrice ricorda spesso Petaluma: la frase “Mi manca la mia famiglia” ricorre come un mantra nei suoi diari. Ryder ha una sorellastra, Sunyata, di 25 anni, e un fratellastro, Jubal, 24 anni, nati dal precedente matrimonio della madre, oltre a un fratello minore, Yuri, 17 anni, che prende il nome dal primo astronauta russo. Stando a ciò che racconta, la sua famiglia sembra dolce, divertente, infinitamente amorevole.
Ovviamente non sono stati i pompelmi a farle venire l’insonnia. È più probabile che la cosa abbia a che fare con un’adolescenza trascorsa sui set e nelle stanze d’albergo, con la nostalgia di Petaluma e a rimuginare pensieri.
«Per un sacco di tempo mi sono quasi vergognata di essere un’attrice», racconta. «Mi sembrava un lavoro stupido. Andavo a vedere una band con gli amici di scuola e la gente osservava ogni mia mossa. Mi giudicavano: “Guarda le sue scarpe! Scommetto che costano 400 dollari!”. Questo mi ha influenzato molto. Sono cresciuta senza soldi. I miei genitori facevano ciò che li appassionava e non guadagnavano. C’erano molti bambini in famiglia e abbiamo anche vissuto senza elettricità, senza acqua corrente e senza riscaldamento, a parte una stufa. Ogni settimana mio padre comprava una vaschetta di gelato Häagen-Dazs e quello era il nostro grande premio. I miei genitori hanno compensato queste cose con una quantità incredibile di amore e supporto, quindi non rinnego nulla di tutto ciò. Ma il punto è che quando la gente mi guarda come se fossi una persona ricca, coccolata e privilegiata, lo sono. Adesso lo sono, ma non è sempre stato così. A volte la gente pensa che io sia nata sullo schermo e che sia poi arrivata nel mondo. Mi capita di incontrare persone che mi dicono: “Oh, mi dispiace molto per la mia macchina, è davvero sporca”. Ma dentro la nostra auto crescevano muschio e funghi. Se e quando ne avevamo una».
Ryder spesso anticipa la domanda che vorrei farle subito dopo.
«Perché sono così sulla difensiva? Perché mi offende molto quando… Ok, non voglio mandare tutto a puttane… Il fatto è che conosco tanti attori giovani che vivono in delle specie di discariche. Hanno libri sparsi ovunque e un materasso sul pavimento, ma sono milionari. Va bene, è il loro modo di vivere. Ma il motivo per cui lo fanno è che si vergognano. Ne ho parlato con loro. Ti viene voglia di dirgli: “Non dovete vivere così per dimostrare alla gente che siete veri e che siete profondi”. Mi offende, perché so cos’è la povertà e non è divertente, non è romantica e non è bella».
L’anno scorso Ryder ha scritto nel suo diario: “Sento che va bene essere chi sono. Va bene essere una cazzo di star del cinema. Va bene vivere in una bella casa”.
Winona abita in una bella casa. E adesso riesce a dormire: in un letto, su un aereo, ovunque. Una domenica, sono seduto nell’atrio del suo palazzo e aspetto che si alzi dal letto. Dopo poco la vedo arrivare: mormora lungo il corridoio. Con una camicia a righe e una salopette, ha l’aria smarrita e spaesata di chi si è appena svegliata e non sa bene dove si trova. Si scusa per il ritardo. Chiede al portiere: «C’è posta?». Lui risponde: «No, signorina Ryder. Di domenica non c’è mai posta». Lei ride: «Mi sono dimenticata che era domenica».
Mi fa fare un giro rapido del suo appartamento. È una casa semplice e moderna: alti soffitti bianchi, molta luce. Nel soggiorno ci sono un pianoforte a coda e una chitarra acustica appoggiata a un divano. C’è una macchia d’inchiostro al centro del tappeto beige: ieri sera Pirner ha scritto dei biglietti di Natale (le chiedo nuovamente di incontrare il cantante, ma forse ho mandato tutto all’aria dicendo: «Cos’è successo ai suoi capelli?»; al che lei ha risposto: «Sono a posto. È solo che non li pettina da 10 anni»). In giro vedo un numero del Missing Children Report e un album di fotografie dell’Età dell’innocenza, su cui Scorsese ha scritto: “A Winona: Sei ‘diventata’ May Welland tirando fuori tutta la gioia, la bellezza e la forza che possiedi”. Lei si sta ancora ambientando in questo appartamento. Le sue prime edizioni di libri (Jane Austen, E.M. Forster) e le lettere originali (Albert Einstein, Oscar Wilde) sono rimaste a Los Angeles. Senza le sue cose, sembra frustrata: «Vorrei avere più oggetti che rivelano personalità».
Con Ryder funziona così: si rivela gradualmente. Non è un caso che abbia interpretato in modo pazzesco il personaggio di Welland, che all’inizio dell’Età dell’innocenza è una promessa sposa radiosa e alla fine del film una moglie scaltra e determinata. Usciti dal suo appartamento, curiosiamo per un’ora e mezza da Tower Books e lei accetta di andarsene solo quando le prometto che più tardi andremo in un’altra libreria. Poi ci sediamo in un caffè luminoso e rumoroso. Lei è in forma smagliante: divertente, grintosa, non teme il registratore. Mi piacerebbe parlare di Dracula, un film banale ed eccessivo, ma quando ho toccato l’argomento durante un’intervista precedente, il colibrì e io abbiamo avuto il seguente scambio:
Parliamo di Dracula.
Ok. Con L’età dell’innocenza ho sentito un legame molto forte perché…
Aspetta. Non mi scappi così facilmente.
Non so cosa dire al riguardo…
Parliamo del fatto che somiglia incredibilmente al nuovo video di Meat Loaf. L’hai visto?
Sì. [Risata estremamente nervosa] Sì.
Ecco cosa intendo quando dico che Ryder si svela per gradi. Oggi le ricordo un articolo di Premiere sulle riprese di Dracula. Il pezzo si apriva descrivendo Coppola che la incitava, in una scena, gridando fuori campo: “Troia! Troia del cazzo!”. L’autore dell’articolo scrive che era “esattamente la spinta di cui Ryder ha bisogno”. Le chiedo se fosse così.
Lei diventa molto sarcastica: «Oh, sì, è stato davvero fantastico. Adoro sentirmi dare della puttana e della troia. È una tecnica stupidissima e non funziona». Fa una pausa. «All’epoca non avrei mai parlato male di Dracula. Per fortuna, ora non ho bisogno di essere l’attrice preferita di Coppola per avere una buona carriera. Adesso so che posso avere le mie opinioni ed essere rispettata. Ma prima avevo paura, perché lui mi intimidiva. Pensavo che se avessi parlato, tutti avrebbero pensato che ero pazza».
Due cose le hanno dato fiducia e le hanno fatto finalmente capire che va bene essere «una cazzo di star del cinema». La prima, molto semplicemente, è stata L’età dell’innocenza. Schegge di follia è come la migliore amica di Ryder, ma L’età dell’innocenza è l’equivalente dell’uomo che vuole sposare. «È stata la prima volta che mi sono sentita orgogliosa di me come attrice», spiega. «E mi ha reso tutto più complicato, perché non c’è nulla che regga il confronto». Scorsese dice: «Penso derivi dall’avere preso parte a un lavoro fatto con tanto amore. Ci siamo divertiti molto. Winona ha un bel senso dell’umorismo e la sua energia è sconfinata. Era come avere una ragazza scatenata sul set. Saltava su e giù, ma poi quando dicevi “Azione!” scattava in posizione. Tutta quell’energia finiva dietro i suoi occhi, l’ho trovato davvero affascinante».
Il secondo rito di passaggio di Ryder è stato più complesso e molto più tragico: la scomparsa di Polly Klaas. L’attrice ha collaborato con la famiglia Klaas, ha aiutato a passare al setaccio il territorio e a gestire la linea diretta per le segnalazioni. Secondo il padre di Polly, Marc, «lei, da sola, ha fatto in modo che la storia tornasse sulle prime pagine» offrendo una ricompensa di 200mila dollari. «Per me non si trattava di una causa», dice Ryder, che ora è nel consiglio d’amministrazione della Polly Klaas Foundation. «Era più come dire: “Questa cosa è oltraggiosa ed è uno scandalo che più persone non si siano indignate”. Quando succede qualcosa a un bambino, il mondo dovrebbe fermarsi». Ryder ha trovato uno scopo nobile per qualcosa di cui prima si vergognava: «La mia celebrità, o come la si vuole chiamare». E ha superato alcune delle sue paure passate e presenti. Dopotutto, lei è una donna non molto più grande di una ragazza. Una donna che è stata vittima di stalking, anche se le è stato consigliato di non parlarne. Una donna che la notte di Capodanno è stata agguantata da un ubriaco che gridava “Winona!”: un’esperienza così spiacevole da farla tornare a barricarsi nella sua enorme fortezza casalinga.
Ryder teme che la gente possa bollare il suo coinvolgimento nel caso Klaas come un’operazione di immagine tutta hollywoodiana, ma è chiaro che non è stato così. Joanne Gardner della Polly Klaas Foundation ricorda la prima telefonata dell’attrice: «Era nella hall di un hotel di Los Angeles e singhiozzava. Ha detto: “Quella è la mia città. Quella è la mia scuola media. Cosa posso fare? Vi servono soldi?”. Abbiamo parlato per un’ora e mezza. Winona era molto ferrata, perché aveva avuto anche lei delle esperienze terribili, come lo stalking e tutto il resto. Conosceva degli psicologi e gente dell’FBI. Insomma, questa donna… Sono sempre stata una sua fan e lei è una creatura adorabile, ma mi ha stupito per la sua capacità di comprendere la situazione».
Subito dopo Capodanno, ci organizziamo per cenare insieme. Mi domanda se mi andrebbe di mangiare a casa sua: non se la sente di uscire. Chiedo se avremo la compagnia di qualcun altro e, contro ogni previsione, tutto indica che ci sarà Pirner. È dura vivere una situazione del genere: se non puoi nemmeno andare in un bar senza che un ubriaco urli il tuo nome, allora qualsiasi tipo di privacy tu riesca a conquistarti vale triplo. E ciò mi fa tornare in mente quello che Ryder dice di Johnny Depp: pochissimo. Non fa mai un commento sgradevole su di lui, né in via ufficiale né ufficiosa. Forse per facilitarsi nel suo perenne percorso di ricerca della gentilezza, non legge ciò che scrivono sul conto di Depp e non ha visto Benny & Joon o Buon compleanno Mr. Grape. Le chiedo cosa le viene in mente se dico la frase “Winona forever”.
Pensi mai al tatuaggio di Johnny?
No.
Quando vi stavate separando, ci hai mai pensato?
No.
Be’, ma adesso…
Cosa vuoi che ti dica? È lì. Amen. Se lo odiassi, probabilmente direi qualcosa di cattivo. Se fossi ancora innamorata di lui, forse direi qualcosa di toccante. Lui è un’ottima persona e io non ci penso proprio, al tatuaggio.
Non ne è uscito molto di più. Le chiedo com’è la vita di una coppia di celebrità e lei si apre di più: «Ricordo che odiavamo disperatamente essere inseguiti ovunque. Era orribile, e di sicuro ha avuto un impatto sul nostro rapporto. Ogni giorno sentivamo dire che ci stavamo tradendo o che ci eravamo lasciati, anche se non era vero. Era come una zanzara che ci ronzava intorno costantemente… Adesso sento di avere un’identità, mentre prima ero abituata a sentirmi dire da altri chi ero. Ero Winona! Ero precoce! Ero adorabile! Ero sexy! Queste etichette mi venivano affibbiate e io non avevo una vita al di fuori di esse, tranne quando tornavo a Petaluma».
Ryder vorrebbe proteggere dai media la sua storia con Pirner, per quanto possibile. Mantiene di proposito uno stretto riserbo su ciò che definisce semplicemente «una cosa bella che si sta evolvendo». «Il nostro rapporto è diverso da tutti quelli che ho avuto», dice. «È più spontaneo. È più un’amicizia, in realtà». Fa una pausa, cercando le parole. «Quello che voglio dire è che non ci sono drammi, ed è bellissimo».
Ryder ha incontrato Pirner al concerto MTV Unplugged dei Soul Asylum la scorsa primavera. Janeane Garofalo ricorda le sue parole poetiche sul nuovo fidanzato: «Le ho detto che non la sopportavo più. Aveva decisamente superato il limite con Pirner». Di persona il cantante, come la sua fidanzata, affascina quasi tutti. Dice Garofalo: «Ho pensato che fosse davvero divertente, carino e dolce. Ho una cotta per lui». Tuttavia, la coppia ha suscitato anche commenti caustici. Courtney Love, che non è mai a corto di parole, ha sbottato davanti a un gruppo di persone: “Kurt mi lascerà per Winona”. Spin ha assegnato a Ryder il premio “I’m With the Band”. Un giornalista di Sassy ha chiesto ad alcuni rocker alternativi se sarebbero usciti con lei, spiegando: “La mia teoria è che i ragazzi fondino delle band per diventare abbastanza famosi da piacere a Winona Ryder”. Chiedo all’attrice se tutto questo la turba. Sorride e cita suo fratello Yuri, che ama dire: «Ma perché non possiamo andare tutti d’accordo?».
Ma la verità su Ryder e Pirner è questa: cucinano e lavano i piatti a turno. Sono le nove di sera e noi tre stiamo cenando con insalata verde, linguine alla marinara, pollo arrosto e patate. All’inizio Ryder e Pirner sembrano così diversi da annullarsi a vicenda. Lei beve root beer, lui vino rosso. Lei vuole sapere se il condimento dell’insalata deve essere messo a parte; lui dice: «Oh, buttalo lì». Lei vuole sapere se deve tagliare il pollo; lui dice: «Basta strappare una coscia». E poi, naturalmente, c’è il fatto che Ryder non fa uso di droghe e Pirner è stato visto di recente su Rolling Stone mentre ingoiava funghi magici nel suo tour bus per superare i controlli delle pattuglie di frontiera canadesi.
Eppure Ryder e Pirner hanno molti punti in comune. Entrambi sono curiosi e colti (durante la cena, lei usa la parola “cognitivo” due volte in cinque minuti). Entrambi non sono abituati a dormire di notte (Pirner è un nottambulo certificato e ammette di essere inservibile durante le ore diurne). Tutti e due pensano molto (Pirner ha scritto una canzone intitolata Homesick, che Ryder ha citato nel suo diario mesi prima di conoscerlo). Di persona, hanno una chimica dolce e leggera. Quando uno dei due parla l’altro si ferma, guarda e ascolta. Quando Ryder va in cucina, si ferma a mettere le braccia intorno al collo del suo ragazzo: una specie di headlock, ma più gentile.
Pirner sembra essere in soggezione di fonte alla carriera di Ryder, ma non è particolarmente invidioso. «L’altro giorno ho sentito Winona che diceva al telefono che non ha scelto questo lavoro per i soldi», racconta. «È assurdo doverlo dire, quando recitare era l’unica cosa che volevi fare da quando avevi 13 anni. L’unica aspirazione che io ho mai avuto è stata far parte di una band punk rock». Pirner sembra protettivo nei confronti di Ryder. E pare colpito da quanto sia rimasta pura, anche dopo anni passati al centro dell’attenzione. Mangiando il dessert, chiedo a Ryder di parlarmi del suo fascino come attrice. Lei ride, si gira verso Pirner e dice: «Qual è il mio fascino, Dave?». Al che, lui ha la risposta pronta: «Il tuo fascino è che non sai qual è il tuo fascino».
È mezzanotte e me ne vado. Ryder mi accompagna alla porta: fuori cammina sulla difensiva, ma a casa guizza come il disco su un campo di air hockey. Ricordo una cosa che mi ha letto, tratta dal suo diario. Una cosa che ha scritto poco prima di superare l’insonnia e altri dolori: «Come mi sento in questo momento? Fragile, un po’ confusa, affranta, un po’ stanca». E ricordo che, dopo averlo letto, mi ha detto: «Se stampi qualcosa di tutto ciò, abbi cura di dire che sono cose vecchie e che non mi sento così in questo momento. Perché sono cresciuta molto». Be’, alcune cose non cambiano mai: stanotte l’attrice non riuscirà a dormire per ore e ore. Ma non sarà perché è fragile o confusa. Sarà perché lei e il suo amico nottambulo sono assieme: leggono, guardano video, magari si divertono con la chitarra. È un nuovo anno e, per tutte le ragioni più giuste, Winona Ryder resterà sveglia tutta notte.












