Potrebbe essere giusto definire Sigourney Weaver la regina non ufficiale di tutti i sci-fi nerd. L’attrice candidata all’Oscar, 76 anni, ha avuto una carriera variegata interpretando ruoli che vanno dalla primatologa Dian Fossey in Gorilla nella nebbia a Prospero nella Tempesta di Shakespeare. Per gli spettatori di una certa età e per certi super-fan, tuttavia, Weaver è l’icona che ha recitato non in uno, non in due, ma in tre franchise di enorme successo. È Ripley, l’eroina dura come l’acciaio dei film di Alien; Dana Barrett, violoncellista professionista ed ex interprete della semidea Zuul nei film di Ghostbusters; e sia la xenoantropologa Grace Augustine che la figlia adolescente Kiri nella serie Avatar di James Cameron, che torna a interpretare in Fuoco e cenere.
E proprio quando si pensava che non potesse raggiungere un rango più alto nella fantascienza, Weaver sta per unirsi all’universo di Star Wars, interpretando una leader ribelle in The Mandalorian e Grogu, un lungometraggio tratto dalla popolare serie Disney+ in uscita la prossima estate. «Ero alla Star Wars Celebration a Tokyo, dove si sale sul palco e ci sono migliaia di persone con quelle spade laser e roba del genere… mio Dio!», ha dichiarato Weaver durante una recente intervista su Zoom. «Che energia! Sono così orgogliosa di far parte di tutti questi universi fantascientifici. È come essere su un pianeta a sé stante.”
Abbiamo parlato con Weaver della sua esperienza con le scene in motion capture, di come ha spaventato Ivan Reitman durante il suo provino per Ghostbusters, del perché non è mai riuscita a vedere 2001: Odissea nello spazio e del segreto per sistemare il Congresso.
Hai preso parte a tre importanti franchise di fantascienza/fantasy: Alien, Ghostbusters e Avatar, e sarai nel film di The Mandalorian in uscita nel 2026. Molte persone criticano o snobbano questo tipo di film, ma vista la loro popolarità, quale pensi sia il loro segreto?
Be’, posso parlare solo da persona che ne è stata attratta fin dall’inizio… Ho un istinto per le storie e i film commerciali. Lo attribuisco a mio padre [Pat Weaver], che era un produttore televisivo. Voglio recitare in film che la gente voglia vedere e rivedere, e questo significa che deve essere una storia davvero bella, che vada oltre il suo tempo e oltre i personaggi che la compongono. Ho provato questa sensazione con Alien, anche se sapevo così poco di fantascienza. Voglio dire, non sono mai riuscita a finire 2001: Odissea nello spazio.
Aspetta, davvero?
Non fumo erba. Arrivo a metà, e poi… basta. Ci riproverò l’anno prossimo (ride). Ma anche Ghostbusters e Avatar erano irresistibili per me. Sono diventata un’attrice perché amo l’avventura, e ho pensato che in questo modo avrei potuto esplorare tutti questi mondi diversi, epoche diverse, persone diverse, situazioni diverse. E la fantascienza, per me, è la storia che ci aspetta. Semplicemente non è ancora accaduta. E poiché si tratta di fantasy, ti ci avvicini come spettatore in un modo diverso. C’è una sensazione di possibilità. Penso che sia davvero una benedizione di questi tempi. Alcuni pensano che la fantascienza sia solo effetti speciali. E non lo è. È più sognare cosa potrebbe accadere in un altro mondo, in un altro tempo. Certo, alcuni di questi grandi franchise sono un successo, altri un fallimento. A volte, qualche grande saga smette di funzionare. The Mandalorian è un buon esempio di come rimanere nell’universo [Star Wars] lasciando che queste stelle cadenti si diffondano in direzioni diverse. Sono felice di esserci.
E poi puoi passare del tempo con Grogu.
Posso passare del tempo con tantissimi Grogu diversi! C’è il Grogu che a volte cammina, e il Grogu che fa facce strane, e poi c’è un altro Grogu che fa quell’altra cosa, qualunque cosa sia… la Forza?
Sì, si chiama la Forza.
E sono tipo sei persone che devono spostarsi in un piccolo gruppo attorno al Grogu principale. Lo trovo semplicemente affascinante. Adoro stare dietro le quinte di produzioni come questa.
Eri la seconda persona più famosa su quel set dopo Grogu.
Non so, credo che Pedro Pascal sia probabilmente il più famoso ora. Forse ha superato Grogu a questo punto.
Alien è stato il tuo primo ruolo importante in un film, eppure hai evitato di essere etichettata come “attrice di fantascienza”. Sei riuscita a interpretare Dian Fossey e a fare film come Una donna in carriera e Tempesta di ghiaccio.
Penso che dopo Ripley ci fosse un po’ il desiderio di etichettarmi, perché interpretavo questa donna forte. E questo significava che era molto difficile per la gente, soprattutto per i membri degli Studios, immaginare che potessi anche essere divertente. C’è voluto molto tempo. Ho recitato in una commedia con Gregory Hines e Chevy Chase, ma era un disastro, e non credo che lì ci fosse niente di veramente divertente. Come si intitolava?
L’affare del secolo. Sei sopravvissuta a una produzione di William Friedkin. Congratulazioni!
Sì, ce l’ho fatta! Ricordo una vecchietta che si avvicinò a Friedkin mentre giravamo a Silver Lake, credo, e disse (fa una voce da vecchietta): “Signor Frieeeee-dkin, di cosa parla questo film?”. E lui rispose: “Mia cara, questo film parla di me che non faccio un film successo da 10 anni” (ride)
Incredibile…
Lo so. E improvvisamente, il mondo in cui mi ero ritrovata aveva un po’ più senso. Perché Friedkin non sembrava a suo agio. Non aveva sviluppato lui questa storia, era stato semplicemente assunto per renderla buona. Ma è stato solo dopo aver letto il copione di Ghostbusters e aver incontrato Ivan Reitman che qualcuno a Hollywood si è reso conto che potevo fare la commedia. Volevo solo che capissero che, da attrice, non c’erano limiti a ciò che potevo fare. Potevo interpretare anche la parte del cane. Avrebbero dovuto aiutarmi in qualche modo con la tecnologia (ride), ma sarei stata perfettamente in grado di interpretare l’anima di un cane. Quando ho fatto quel provino, ho davvero provato a fare la parte del cane sul divano, davanti a Ivan. Non volevo deridere il film: cercavo davvero di essere un cane, giocavo con i cuscini, ululavo e lasciavo uscire la mia versione canina. Lui era terrorizzato!
Posso, ehm, immaginare.
Aveva registrato tutto, poi ha spento la videocamera e mi ha guardato. Ha detto: “Non farlo mai più. È spaventoso, e ti garantisco che qualche montatore vorrà usarlo”. Ma poi, dopo che me ne sono andata, Ivan ha chiamato Harold Ramis e gli ha detto: “Questa Sigourney Weaver è appena arrivata e ha pensato che il suo personaggio dovesse trasformarsi nel cane”. Nella sceneggiatura originale, non si vedeva Dana trasformarsi nel cane. Il cane usciva semplicemente dal suo frigorifero. Così ha fatto cambiare la sceneggiatura a Ramis e mi hanno ingaggiata. Ma per circa trent’anni nessuno me l’ha detto.
Quando lavori ai film di Avatar con la performance capture e tutta la tecnologia all’avanguardia che James Cameron utilizza, questo cambia il tuo approccio al lavoro?
Sei su un palco vuoto. Indossi una calzamaglia nera e un casco con una telecamera. Sembra una delle prime prove teatrali, dove impari semplicemente con l’altro attore, anche lui con una calzamaglia nera e un casco. Ma siamo completamente liberi da tutti gli altri ostacoli tecnici, come capelli, trucco, luci, tutto il resto. Ci mettiamo semplicemente al lavoro. Lasciamo che la scena si sviluppi, e nel frattempo ci sono un sacco di ragazzi in giro con le macchine da presa che la riprendono, così Jim può usare la sua magica cinepresa che ha inventato e assemblare questi diversi pezzi da qualsiasi angolazione. Direi che è il modo più liberatorio di recitare. È l’esatto opposto di quello che tutti pensano, ovvero che siamo oberati dalla tecnologia e dobbiamo fingere che ci sia qualcosa quando stiamo solo parlando, che so, con una pianta in un vaso. È quasi meglio della normale recitazione cinematografica, dove devi prenderti un sacco di tempo e recitare prima questa parte, poi quest’altra… qui non c’è niente di tutto ciò. Una delle grandi gioie di interpretare Kiri è stata quella di poter ritrovare tutti i i miei sentimenti e la sensibilità di quell’età [l’adolescenza], e poi portarli con me in quel teatro di posa. A questo punto, tutti noi che abbiamo scelto di intraprendere il viaggio con Jim, quando entriamo in quella stanza vuota ci sentiamo come se fossimo davvero su Pandora.
E in quel mondo continui a tornarci…
Mi sento così fortunata a far parte di qualcosa che va avanti in questo modo. È un po’ come mi sono sentita con Ripley, hai l’opportunità di tornare indietro e riscoprire qualcuno che conosci e che non vedi da un po’. È un’avventura incredibile e un vero lusso poter capire cose che prima non immaginavi del tuo personaggio. Ma ciò che amo davvero del lavorare con Jim è che puoi semplicemente buttarti, e lui metterà tutto su pellicola.
Sigourney Weaver è Kiri in ‘Avatar – Fuoco e cenere’. Foto: 20th Century Studios
Qual è il miglior consiglio che hai mai ricevuto?
Non credo di aver mai ricevuto il consiglio di cui avevo bisogno nel momento in cui ne avevo bisogno. Per esempio, alla scuola di recitazione, mi dissero che non avevo talento. Non credo che ci sarebbe stato niente che nessuno potesse dirmi per aiutarmi a superare quei momenti. Avrei dovuto andare da una psicologa. E in effetti sono andata da una psicologa a Yale: ho fatto cinque sedute con lei, e poi all’improvviso mi ha detto: “Be’, temo che sia finita. Ogni studente che ha un esaurimento nervoso ha cinque sedute, arrivederci”. Ci sono voluti anni prima che potessi permettermi di tornare da un analista. Oggi sono ancora in terapia. Sto ancora cercando di recuperare il tempo perduto.
Se potessi tornare indietro nel tempo, che consiglio darebbe la Sigourney Weaver di oggi a quella giovane donna?
Non so se le direi nulla. Credo che le darei solo un abbraccio. Posso solo dire che, ripensandoci, c’è stato un lato positivo: sono arrivata a New York senza nemmeno aspettarmi di fare carriera. Volevo lavorare in una pasticceria. Pensavo che sarebbe stato bello. O magari trovare un lavoro in banca, così avrei potuto toccare con mano i soldi anche se non li guadagnavo. Quindi, quando sono entrata in una stanza per un provino, sono stata piuttosto spericolata. L’unico modo per superare la mia paura era semplicemente espormi, perché pensavo che non sapessero cosa volevano. Avevano solo bisogno di vedere qualcosa di vivo, e io potevo darglielo. E questo, in un certo senso, mi ha aiutato.
Quali sono le regole più importanti che segui?
Guardati intorno. Comprendi che tutti hanno bisogno di essere visti e ascoltati. Cerca di partire sempre dalla gentilezza, perché è un balsamo. Questa è la cosa che credo ci permetta, come esseri umani, di andare avanti: quella forma di gentilezza inaspettata. Se ci fosse gentilezza al Congresso, potremmo davvero avere un Congresso funzionante. Un’altra regola è… mia madre era inglese. Quindi non credo proprio nel lamentarsi (sottovoce)… disse Sigourney, lamentandosi (ride). Sono una ragazza che si rimbocca le maniche e si mette al lavoro. Crogiolarsi nell’infelicità per il fatto che tua madre non ti sia venuta a prendere in seconda elementare in orario o qualcosa del genere non ti aiuterà oggi. Esci, e lascia che la giornata ti faccia sentire meglio. Ci sottovalutiamo sempre. A meno che non si parli di pazzi che si sopravvalutano. Ne abbiamo uno che oggi è il presidente.
Chi sono i tuoi eroi e perché?
Oddio, ne ho così tanti. Direi che il primo eroe vivente che ho avuto è stata Ingrid Bergman, perché ho lavorato con lei quando ero appena uscita dalla scuola di recitazione. Ho recitato con lei a teatro, ed era una donna così generosa e gentile… Ho scoperto in seguito, leggendo la sua biografia, che aveva appena subìto una mastectomia e che le sue amiche avevano fondato questa [compagnia teatrale] per aiutarla a superare l’esperienza. Ero semplicemente stupita da quanto fosse gentile con una persona alle prime armi come me. Mi intrufolavo sempre nel suo camerino come una ladra e le dicevo: “Ciao Ingrid, hai oggetti di valore?”. E lei rideva e rispondeva (fa la voce di Ingrid Bergman): “Oh, Sigourrrr-ney, sai, li do sempre al mio compagno!” E io rispondevo: “Solo per controllare, solo per controllare”. I miei eroi in questo momento sono le donne in politica che cercano di farci progredire. Quelle che si battono per i nostri diritti. Sento che ora dovremmo essere tutte Alexandria Ocasio-Cortez.
Qual era il tuo libro preferito da bambina?
Avevo sempre il naso in un libro. Erano la mia vera via di fuga. Anche se mia madre ci leggeva sempre cose orribili fin da piccoli come Robinson Crusoe e Ben-Hur, dove finivi per essere terrorizzata dai lebbrosi o dai cannibali o cose del genere. Non so cosa pensasse! Io mi immergevo dentro Alice nel paese delle meraviglie, e poi in un sacco di altre cose. È bello essere una nerd che sta sui libri.
Qual è l’acquisto più frivolo che tu abbia mai fatto?
Ho un giardino a casa mia, nello Stato di New York, dove i giardini hanno una vita molto breve. Dicono che l’autunno [lì] inizi il 4 luglio. Quindi realizzare un giardino è stata un po’ una follia. Ma c’è qualcosa di meraviglioso nell’avere un piccolo angolo di terra pieno di fiori, colibrì, farfalle e bombi. È come il paradiso.
Pensavo che avresti detto: mettere un’altalena in un appartamento di Manhattan.
(Ride) Be’, ho messo l’altalena per ricordarmi di sedermi e guardare la città, perché tendo a lasciarmi prendere dalle cose. Ma non ha fatto il suo dovere, o meglio, non le ho permesso di fare il suo dovere: la mia voglia di fare interviene dopo 10 minuti. Ma noi non siamo qui solo per spingere, spingere, correre, raggiungere. Cerco di trovare ora, alla mia età avanzata, un modo per stare semplicemente nel mondo e viverlo.
Quale musica ti emoziona ancora quando la ascolti, non importa quanto tu l’abbia ascoltata?
Sono fortunata perché mio marito è un grande appassionato di jazz. Ce n’è molto in casa e non mi stanco mai. La bossa nova è il mio genere preferito. Se devo fare qualcosa di impegnativo, metto sempre musica brasiliana, o a volte musica africana.
Qual è la tua città preferita al mondo?
È facile. Parigi.
Cos’ami in particolare di Parigi?
Adoro camminare per le strade e notare tutte queste persone diverse, di tutte le età, tutte così… francesi (ride). Nutro un grande rispetto per il modo in cui i francesi affrontano le cose. La mia migliore amica è francese – si chiama Catherine [Leterrier] e ha realizzato i costumi per Gorilla nella nebbia – e ho passato molto tempo con lei e la sua famiglia, negli ultimi 45 anni. Il solo fatto di far parte di quella cultura è per me una continua formazione. Cammini per la città ed è tutt’un: “XIX secolo, XVIII secolo, XIX secolo, XVII secolo…”. Penso che le loro priorità siano molto diverse dalle nostre.
Quali pensi che siano le nostre priorità?
Sono più veloci. Più frenetiche. Fare di più. Sbrigarsi. È l’unica cosa che non ho mai detto a mia figlia: sbrigati.
