Sesso? Sì, grazie. Ma con l’intimacy coordinator | Rolling Stone Italia
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Sesso? Sì, grazie. Ma con l’intimacy coordinator

È diventata una figura imprescindibile su qualunque set, e non solo per le scene hot. Indagine su una figura professionale che diventerà sempre più importante

Sesso? Sì, grazie. Ma con l’intimacy coordinator

Paul Mescal (Connell) e Daisy Edgar-Jones (Marianne) in ‘Normal People’

Foto: Enda Bowe/Hulu

Nella prima puntata di The Idol c’è un’esilarante scena in cui l’intimacy coordinator che deve supervisionare le riprese del nuovo video della giovane star del pop interpretata da Lily-Rose Depp viene rinchiuso in uno sgabuzzino dal manager della diva, potendo così liberare la carica sensuale della ragazza sul set. Una delle molte esagerazioni di una serie (disponibile su Sky e in streaming su NOW) che della provocazione ha fatto il suo vessillo. Nella realtà, è un fatto che la presenza costante di un responsabile delle scene intime sul set fosse uno dei punti focali dell’accordo tra SAG-AFTRA e AMPTP. La sezione 18 del nuovo contratto collettivo è dedicata alla prevenzione di casi di molestie sessuali sul set e così vi è scritto: “Il produttore farà del suo meglio per ingaggiare un intimacy coordinator per le scene che comportano nudità o atti sessuali. Il produttore prenderà inoltre in considerazione in buona fede qualsiasi richiesta di un interprete o di un suo rappresentante di ingaggiare un intimacy coordinator per altre scene. Il produttore non si rifarà nei confronti di un interprete per aver richiesto un intimacy coordinator”.

È una clausola storica, dato che per la prima volta la figura dell’intimacy coordinator viene ufficialmente sindacalizzata all’interno dei rapporti ufficiali tra attori e produttori. Si tratta di un professionista che permette a tutti di stare più tranquilli, dal produttore al regista fino agli attori, e persino la troupe può trarre giovamento dalla presenza di un IC. Come e perché ce lo ha raccontato Kate Lush, una delle più richieste professioniste del settore che lavora per la SafeSets Ltd., compagnia fondata in Sudafrica e che lavora oggi in tutto il mondo, in particolare nel Regno Unito, dove vengono girate anche tante grandi produzioni di Hollywood. Kate insegna anche a fare questo mestiere e tiene regolarmente dei corsi di formazione in Italia presso l’ANICA Academy, tant’è che la prima intimacy coordinator certificata italiana lavora adesso proprio a SafeSets. Si chiama Luisa Lazzaro e al momento è impegnata sul set di numerose produzioni italiane, tra cui la seconda stagione di The Bad Guy, la serie Prime di Stasi & Fontana con Luigi Lo Cascio, e la seconda stagione di Blocco 181, ma anche film importanti come Ferrari, Parthenope (il nuovo di Paolo Sorrentino), Nuovo Olimpo.

Noi abbiamo parlato con Kate Lush per saperne qualcosa di più di questo nuovo mestiere del set, che dopo la tempesta Weinstein e il #MeToo è diventato praticamente imprescindibile, offrendo però molte nuove possibilità ad autori e registi proprio per le caratteristiche peculiari messe a disposizione da questa figura professionale.

Damiano Gavino e Andrea Di Luigi in ‘Nuovo Olimpo’ di Ferzan Özpetek. Foto: Netflix

Kate, qual è la reazione degli attori quando sanno che sul set ci sei tu a dar loro una mano, soprattutto con attori che hanno magari una grande esperienza e non hanno mai lavorato con una IC?
I casi sono sempre diversi. Ci sono attori che non hanno problemi con le scene intime perché ne hanno girate molte nel corso della loro carriera, e la loro risposta, quando ti metti a disposizione, è che sono a posto. Quindi, semplicemente dico loro che per qualunque cosa sono a disposizione. Quelli alle prime armi o poco più invece si affidano di più, parlo con loro, magari suggerisco di inserire delle barriere fisiche per evitare contatti troppo intimi. E poi ogni tanto capita anche l’attore più navigato che mi dice “Dove sei stata negli ultimi dieci anni della mia carriera?”.

Il tuo compito non è solo fare in modo che non ci siano problemi nelle scene di sesso, ha un significato molto più ampio, anche psicologico.
Un buon IC deve avere molti talenti. Personalmente nasco come professionista delle scienze motorie, quindi so tutto quello che un corpo può raccontare, ma oltre questo posso supportare il primo soccorso in caso di incidenti sul set e soprattutto ho studiato quanto necessario per preservare la salute mentale degli attori, se nel corso della scena scatta in loro qualcosa che li mette a disagio o che entra in relazione con loro esperienze personali passate.

Cosa si aspettano gli attori dalla presenza di un IC sul set?
In prima battuta limitazioni, ma quello che davvero ricevono è libertà creativa, perché possono scavare a fondo nel personaggio e capire perché quella cosa sta succedendo in quel momento della storia. E poi un supporto, una persona che quando la scena è finita gli mette addosso l’accappatoio, li accompagna in camerino o nella roulotte li rassicura e li fa tornare a pensare al ciak successivo.

Quindi sei di fatto anche un supporto artistico: analizzate insieme la scena e fai capire loro perché sia necessaria. Perché naturalmente lo è, dato che il tuo primo approccio è con il regista.
Sempre con il regista, perché non ha senso parlare con un attore se non hai ben chiara la visione del regista. Quando veniamo ingaggiati dalla produzione, la prima cosa che facciamo è mandare una lettera al regista in cui gli chiediamo, immaginando di non avere nessuna restrizione di budget e nessun tipo di problema da parte degli attori, quale sarebbe secondo lui la scena perfetta. Da lì partiamo per fare in modo di arrivare il più vicino possibile alla sua idea, lavorando con gli attori, usando se necessario dei piccoli accorgimenti tecnici. E naturalmente ogni regista ha un modo diverso di lavorare con noi. C’è chi vuole consultarci solo per coreografare la scena, altri per tranquillizzare il cast prima delle riprese, altri che ci vogliono sempre presenti per lavorare insieme. E non bisogna pensare che a trarne beneficio possano essere solo gli attori e i registi, ma è tutta la troupe, e non solo per le scene di sesso. Pensa alle comparse che partecipano a una scena particolarmente violenta, o agli stessi lavoratori sul set, anche loro possono avere bisogno di un supporto dopo avere avuto un’esperienza emozionale particolarmente forte. Oppure i bambini che sul set devono far finta che due sconosciuti siano mamma e papà, e magari li devono abbracciare e dargli un bacio come se lo fossero davvero. Oppure ci sono quegli attori che non hanno problemi con la loro intimità e prima di una scena di sesso vanno in giro nudi sul set, ma non è detto che tutti i componenti della troupe abbiano voglia di vedere i tuoi genitali quel giorno, e quindi è mio dovere mettergli addosso una vestaglia.

Franz Rogowski e Adèle Exarchopoulos in ‘Passages’ di Ira Sachs. Foto: MUBI

Hai parlato di particolari strumenti da usare nelle scene più intime.
Sì, ne abbiamo di tutti i tipi, sono delle protezioni praticamente invisibili che seguono i movimenti dell’attore, molto utili quando per esempio l’attore ha un’erezione durante una scena intima, che è una cosa naturalmente imbarazzante, ma soprattutto crea un problema alla scena, perché a quel punto tutti si sentono non a loro agio nel girarla. Non è una cosa che accade spesso, a dire il vero, perché un attore deve pensare a così tante cose quando gira che eccitarsi è l’ultima di queste. I movimenti delle mani, la macchina da presa che ti inquadra da mezzo metro, dieci persone attorno a te, le luci, l’idea di dover comunque essere nel personaggio, la coreografia da seguire. Ma con attori più giovani e inesperti possono esserci dei momenti di naturale eccitazione. E poi, piccolo segreto per il pubblico, durante le scene di sesso la distanza tra i genitali degli attori è molto maggiore di quello che sembra, è tutto un gioco di prospettiva e tagli d’inquadratura.

I registi però cercano sempre realismo. Ci sono dei limiti a questo desiderio? E parlo non solo di scene erotiche, ma anche di violenza, soprattutto sessuale e psicologica, che possono essere insostenibili anche per il pubblico.
C’è da fare una premessa: l’altra figura chiave con cui noi lavoriamo sempre sul set è lo stunt coordinator, perché tutto in queste scene deve essere perfettamente storyboardato e coreografato. Poi lavoriamo con gli attori per capire quale sia il loro limite e se hanno compreso e abbracciato l’importanza della situazione all’interno della scena. Poi con il regista, vedendo con lui quanti ciak bisogna fare per potere avere tutte le inquadrature necessarie, quando è possibile fare una pausa per permettere agli attori di riprendersi fisicamente e psicologicamente. Mi sono trovata a gestire una scena di questo tipo in The Woman King, la sequenza del flashback della violenza carnale. C’erano sei diversi set-up per la scena, per ognuno abbiamo avuto la possibilità di attori, analizzarli insieme, far fare loro delle pause per riprendersi dopo dei ciak particolarmente intensi. E in quelle situazione gli attori e la comunicazione tra loro è la cosa più importante, più del regista stesso. Di solito chi è in maggiore difficoltà è l’attore che interpreta il ruolo di chi infligge violenza, perché è semplicemente un professionista particolarmente bravi in ruoli di quel genere, ma che è anche un essere umano che si preoccupa di quello che sta facendo, e quindi tende a essere protettivo nei confronti del partner all’interno della scena, e il mio compito è ricordargli che è finzione e che deve dare il massimo per il bene della scena e del collega che sta lavorando con lui. Ma in qualche modo devono concedersi a vicenda il permesso di arrivare fino al limite consentito da entrambi. E se per caso si rendono conto che è stato superato, è importante essere subito presenti per rimettere a posto le cose. In Fair Play ci sono delle scene molto intense, lì è stato fatto un lavoro eccezionale dall’intimacy coordinator, che è una delle mie colleghe.

Alden Ehrenreich e Phoebe Dynevor in ‘Fair Play’ di Chloe Domont. Foto: Netflix

Passiamo all’estremo opposto: ti è mai capito di sentirti poco utile, perché gli attori sul set erano entrambi veterani perfettamente a loro agio con le scene intime?
Succede, ma anche in quei casi l’importante è porsi nel modo giusto, far sapere loro che ci sei, spruzzargli un po’ d’acqua quando necessario per simulare il sudore, mettergli addosso la vestaglia appena finita la scena, chiedergli comunque se hanno bisogno di qualcosa. Ogni tanto mi chiedono di guardare il monitor per vedere se gli viene il doppio mento.

Alla fine sempre attori sono. Ultima domanda: Basic Instinct, Sliver, Showgirls, e tutti i film ad alto tasso erotico degli anni Novanta oggi sarebbero ancora possibili?
Sarebbero diversi, questo senz’altro. La visione del regista resterebbe la stessa, ma avrebbe la possibilità di lavorare in un ambiente di lavoro etico e rispettoso di tutti i lavoratori del set. E lo stesso discorso vale anche per i molti attori che oggi si pentono di avere fatto determinate scene dieci o vent’anni fa. Ora, solo con un minimo di supporto, potrebbero farle senza alcun problema.

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