Renzo Arbore è costretto a tornare per dare una scossa a un tv vecchia e noiosa | Rolling Stone Italia
Interviste

Renzo Arbore è ‘costretto’ a tornare per dare una scossa a una tv vecchia e noiosa

Lo showman lancia il programma 'Striminzitic Show’ e spiega qual è il futuro del piccolo schermo. «Bisogna attingere dalla rete, come fa ‘Propaganda’». Ecco perché, a quasi 83 anni, guarda la tv con l'iPad in mano

Renzo Arbore è ‘costretto’ a tornare per dare una scossa a una tv vecchia e noiosa

Renzo Arbore

Foto: Iwan Palombi

Ha superato la quarantena «aiutato dalla musica e dalle passioni. Bisogna coltivarle, le passioni. Insieme alla curiosità, anche nella rete, mi rendono vispo». Renzo Arbore è un uomo impegnatissimo e, durante l’intervista, riceve telefonate dai suoi collaboratori a caccia di nuovi talenti per lo Striminzitic Show, programma con cui torna su Rai2 per 21 puntate (la prima oggi, in prime time, le altre in seconda serata, dal lunedì al venerdì, dal 9 giugno). Una trasmissione che ha, come collante, il vastissimo archivio personale del conduttore, pronto a raccontare, tra sorrisi e aneddoti, i vari filmati che si avvicendano. C’è anche un coinvolgimento degli spettatori inclini all’ironia e al non-sense arboriano. E non manca la musica, visto che il Renzo nazionale sottolinea di essere stato, insieme a Gianni Boncompagni, «il primo dj della storia della radiofonia italiana. Abbiamo lanciato i Beatles, i Rolling Stones e tutta la Swinging London, la musica black, il pop di qualità come i cantautori e le cose italiane che continuo a seguire. Poi con la mia Orchestra Italiana ho riscoperto la musica napoletana, riarrangiandola in una certa maniera».

Quanti concerti ha fatto?
Più di 1500 nel mondo. Con una media di 50-60 live all’anno e tanti che invidiano questa cifra. È l’orchestra stabile più longeva del mondo con musica partenopea, swing, canzoni umoristiche, storielle.

Ma la passione per la tv rimane…
Certo, tant’è vero che, appena ho fatto successo col mio piccolo Renzo Arbore Channel e lo spettacolo 50 sorrisi da Napoli, ho voluto trasportalo in televisione.

È molto seguito lo show sulla sua web tv?
Viaggiamo sulle 100 mila persone. Però quando si sommano Facebook e Instagram le cifre si alzano in maniera incredibile. In questi giorni tristi, l’unica cosa che possiamo offrire noi, che facciamo spettacolo, è qualche sorriso.

Senta, ma è vero che i suoi collaboratori l’hanno convinta a tornare. Aveva dei dubbi?
No, per la verità stavo lavorando a un programma scherzoso sulla Puglia, una rilettura del mio Il caso Sanremo con Banfi e Mirabella (andato in onda nel 1990, nda). Dovevo rifarlo alla maniera di Indietro tutta 30 e lode.

E perché non l’ha fatto?
Occorreva il pubblico e tutta una serie di cose. Ravanando nell’archivio abbiamo trovato, invece, un sacco di materiale, non soltanto fatto con la Rai, ma anche in giro per il mondo. E qualche nuova scoperta l’ho presa da internet. Così con Gegè Telesforo, il più grande vocalist di scat che c’è in Europa, ci siamo inventati questo programma fatto a casa, con due cameraman, un fonico e un regista.

Ci sarà anche il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca? Roberto D’Agostino ha dichiarato che siete fan.
No, ma ho il De Luca originale doppiato dal bravissimo Stefano De Santis dell’Officina Pasolini. Sembra proprio lui. Ma non sarà il solo, vedrete anche altre personalità istituzionali.

Vira verso la satira, quindi?
Non faccio satira, mi invento tic, discussioni di lana caprina, personalità. La satira la fa benissimo Crozza. Però le risate e il sorriso, nel mio show ci saranno.

Foto: Iwan Palombi

Recentemente ha detto che la tv ha bisogno di un nuovo linguaggio.
Il piccolo schermo deve accoppiarsi con la rete. Io, come un ragazzino, guardo l’iPhone e l’iPad con il televisore acceso, perché è più divertente. Ci sono cose che vanno dagli animali selvatici al passato da ricordare, le invenzioni straordinarie del presente. E quelle che chiamo le “scoperte della quarantena”, persone che si sono date da fare cantando nelle proprie case.

Ok, ma la grande tv che fine farà?
Continuerà con Netflix, la fiction e i grandi eventi. Ma l’intrattenimento è sofferente.

Ah sì?
Il programma Techetechetè fa rimpiangere la grande tv italiana del passato. È stata la più bella del mondo, ma non lo sapevamo. Penso a Raffaella Carrà, Corrado, Mina, Lelio Luttazzi, Non Stop, Verdone, Troisi. Una televisione d’autore, di idee, allegra. La risata, oggi, è dura. C’è Frassica che riesce ancora a farci ridere ed è una mia scoperta di 35 anni fa.

Ecco, Frassica – che per me è un genio – continua, come lei, a cercare novità, a sparigliare le carte. Non pensa che i giovani, invece, non siano molto curiosi?
I giovani si accontentano. È un fenomeno strano, c’è poca ricerca del sorriso. Nessuno racconta una barzelletta in maniera decente, non si trovano talenti. Programmi come Italia’s Got Talent, non portano alla ribalta umoristi e comici. Ci ha provato Abatantuono, ma non ha tirato fuori granché. Manca l’intrattenimento leggero. Il suggerimento è trovare i maestri, anche dalla rete, e prendere spunto per andare avanti e fare altre cose. Alcuni fanno stand-up, ma fanno sorridere soprattutto perché sono audaci.

Ha notato che manca una generazione di conduttori che vanno tra 35 e i 50 anni?
Sì, mi vengono in mente solo Andrea Delogu, che è bravissima, e Alessandro Cattelan. Anche in rete non si riesce a trovare qualcuno e mi dispiace dirlo. Sono dispostissimo, comunque, a inventarmi personaggi nuovi se vedo talento.

Questo perché la tv non ha investito su nuovi presentatori, show man ed entertainer…
È merce rara. Personalmente, gli artisti che ho scoperto erano sintonici con me e avevano un umorismo improvvisato. Con Boncompagni abbiamo inventato la radio estemporanea che poi abbiamo portato in televisione. Del resto, se si può improvvisare una jam session, lo si può fare anche con le parole. A Indietro tutta, insieme a Frassica, non c’era una riga scritta, tra me e lui non sapevamo dove saremmo andati a parare. Eppure quella trasmissione ha fatto la storia della televisione. La generazione dei jazzisti della parola non è venuta fuori. Mentre i jazzisti veri italiani sono tra i migliori del mondo dopo un periodo in cui sono mancati: Stefano Di Battista, Cafiso, Bollani, Rea, Fresu, sono meravigliosi. Il jazz vive un’eccellenza.

La sua è una tv d’autore, che arricchisce chi la guarda. Non ci sono più molti che la fanno.
Oggi ci sono bravi intervistatori, lo spettacolo lo fa l’intervistato.

Come sarà la tv post pandemia?
Credo ci sarà una nuova fase. Bisogna attingere dalla gente comune in rete, come fa Propaganda. In Striminzitic Show lancio un gruppo di ingegneri, i Song ‘e Napule Original Band: hanno iniziato con la parodia di Pigliate ‘na pastiglia cambiandola in Miettete ‘na vestaglia. Sono industriosi e fantasiosi, talenti che non sono professionisti dello spettacolo, ma hanno la passione.

Che mi dice di Sanremo?
Ci andai quando era in crisi la canzone umoristica che, dopo Carosone, era in sonno. Accettai di fare il festival pur di portare Il clarinetto, diventato un cult grazie al doppio senso. Dopo di me sono arrivati Elio e le Storie Tese con quel capolavoro della Terra dei cachi. E proprio Elio, con la Dandini, ha fatto cose meravigliose con le arie d’opera. Un altro che fa cose di questo tipo è Neri Marcorè. Sono personaggi rari.

Ok Il clarinetto, ma molte volte il suo nome si è associato alla conduzione o alla direzione artistica della kermesse…
Ho sempre rifiutato, non è cosa mia. I miei gusti musicali sono precisi, non posso ospitare tutti i tipi di musica. Anche se come dj ho amato tanti generi sui quali non ho campato, come la musica messicana, quella brasiliana, la morna di Capo Verde, la musica folk antica e moderna. Non so fare, però, l’amministratore di canzoni pop italiane.

Sta pensando di tornare con l’Orchestra Italiana?
Devo tornare. Per i miei musicisti e i miei tecnici. Abbiamo annullato sette concerti sold out da Varese a Milano. Il problema sono gli assembramenti. Quelli che soffrono di più, in questo periodo, sono i musicisti che, per far quadrare i conti, devono avere mille, duemila spettatori. È più difficile che con il teatro.

In quarantena cosa le è mancato di più?
La libertà, la musica e i viaggi. Dopo aver girato tutto il mondo posso visitare la bellissima Italia. Mi godrò, con la mia orchestra, Bologna, Trieste, Parma, le province e i comuni meravigliosi. La quarantena ha tirato fuori l’amore per il nostro territorio, anche a livello gastronomico. Prima c’era paura della retorica…

Cioè?
Con Napoli, ad esempio, quasi ci si impauriva ad associarla a pizza e mandolino. Adesso, invece, la città più bella del mondo, dal punto di vista della natura è proprio Napoli: con il golfo, Ischia, Procida, Capri… non c’è paragone nel mondo.

Ma lei, visti i trascorsi nel piccolo schermo, si sente un po’ un rockstar della tv?
Sì, ma solo perché me lo dice il pubblico. E si aspetta un mio ritorno per sorridere. Grazie a Dio alcuni programmi hanno fatto storia. Quelli della notte, dopo Lascia o raddoppia, è stato il marchio più famoso della televisione. Un programma di seconda serata che fu un vero cult. Per questo, il sottotitolo dello Striminzitic Show è “non è Quelli della notte”.

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