Questa non è Ornella Muti | Rolling Stone Italia
«Esiste un Maradona femmina?»

Questa non è Ornella Muti

Che poi è il titolo della sua autobiografia. L'abbiamo incontrata per l'uscita: il primo set a 14 anni e il ceffone di Damiano Damiani «per farmi piangere», i registi che l’hanno forgiata, gli uomini che l’hanno corteggiata, le etichette che l’hanno imprigionata: «Non puoi piacere a tutti. Se non ti piaccio? E sticazzi!»

Questa non è Ornella Muti

Ornella Muti

Foto: Marco Piraccini/ Mondadori via Getty Images

Per oltre cinquant’anni tutti hanno creduto di conoscere Ornella Muti: la diva, «la donna più bella del mondo» (per la rivista americana Class nel 1994), la leggenda del cinema italiano. Ma in Questa non è Ornella Muti (La nave di Teseo), non certo un’autobiografia ma un vero e proprio romanzo di vita, svela la donna dietro la maschera che altri le avevano affibbiato. Francesca Romana Rivelli, così all’anagrafe, mette tutto nero su bianco, ripercorrendo la parabola della sua famiglia. E afferma che, quando si guarda(va) allo specchio, vede(va) sempre la stessa immagine: «Sul lavoro sono Ornella, nella vita sono Francesca. Ma sono sempre state la stessa persona».

Così in questa intervista, dove ci ha raccontato il primo set a 14 anni e il ceffone di Damiano Damiani «per farmi piangere», i registi che l’hanno forgiata, gli uomini che l’hanno corteggiata, le etichette che l’hanno imprigionata: «Non puoi piacere a tutti. Se non ti piaccio? E sticazzi!». Rivendica la libertà di amare, persino Adriano Celentano che ha confermato quello che in molti sospettavano dai tempi di Innamorato pazzo (1981): «È stata una storia breve, ma d’amore. Non concepisco il sesso per il sesso». Così come la libertà di continuare a frequentare la Russia nonostante Putin e la guerra. Non per un atto politico, ma perché lì poggiano le sue radici: «Ho legami da quando sono nata e voglio mantenerli».

E confessa ciò che non aveva mai detto: i timori a 70 anni per il tempo che passa, l’LSD e la figlia Naike come àncora di salvezza per non perdersi, e la famiglia allargata con gli altri due figli e i nipoti nella bella casa di Lerma (nel Monferrato), un’abbazia ristrutturata in mezzo alla natura: «È il mio sogno realizzato». Poi tanto cinema, quello dell’età dell’oro tra gli anni ’70 e ’90 «che oggi non c’è più»: da Monicelli a Ferreri, da Depardieu ad Allen, fino al Premio Oscar Sean Baker, che oggi (anche nella prefazione) la definisce «la mia musa». Ornella Muti ha ripercorso con noi l’esistenza di una donna che ha attraversato la Storia, è sopravvissuta alla bellezza («che per le donne è un peso»), alle avance di schiere di uomini («vogliono solo l’harem») e va fiera di non aver mai fatto parte di certi giri: «In Italia non abbiamo più un’industria dove c’era spazio per tanti. Che tristezza il circolino…».

Innanzitutto, perché non hai mai amato raccontarti?
È molto strano per me. Faccio fatica. Sono una che rimugina, una molto pensierosa.

Già dal titolo dell’autobiografia, Questa non è Ornella Muti, si capisce però che non si tratta di un classico elenco di aneddoti, ma di un vero e proprio romanzo di vita.
Sì, perché poteva essere soltanto così. Di biografie sono pieni gli scaffali, ma la maggior parte sono racconti sterili. E a me le cose sterili non piacciono mai.

Come si convive per tanti anni con due personalità, Francesca e Ornella?
Tutto è iniziato quando ero piccolissima, a 14 anni (scelse per lei il nome d’arte il regista Damiano Damiani, ndr). Ci ho messo un po’ ad abituarmi, ma alla fine ce l’ho fatta. Ho capito che sul lavoro sono Ornella Muti e nella vita di tutti i giorni sono Francesca Rivelli. Ma in fondo entrambe sono sempre state la stessa persona.

Stavolta hai raccontato tanto, non solo del cinema ma anche della vita privata.
Compresi gli episodi che mi avevano ferito, in particolare nella prima infanzia. Sono dolori che ti segnano per sempre, e nello stesso tempo ti formano. Non sempre le conseguenze sono negative. Lo è il cammino, ma poi quei momenti fanno di te una persona migliore. Chi vive un trauma tende spesso a focalizzarsi soltanto su quello, invece i miei traumi hanno formato anche la mia personalità. Per questo non è sempre un male. Quando racconto i miei dolori, eccetto quelli che riguardano i miei figli dove l’emotività è più carica, quasi sempre lo faccio con leggerezza. Prima di tutto per me, anche per non rivivere all’infinito quelle sofferenze.

Tua madre era nata in Estonia, figlia del medico russo dello zar. Da lì, oltre che dal successo dei tuoi film, viene il legame con la Russia. Eppure, non mancano le critiche.
Noi abbiamo un legame con la Russia, non ci sono andata soltanto dopo il dramma che è accaduto in Ucraina come se me ne fregassi. Io c’ero andata anche quando c’era ancora il comunismo e ci ho vissuto per due anni. È come se domani la Francia andasse in guerra con un altro Paese e tu, solo perché hai origini francesi, vieni accusato di tornare comunque lì. Ho trovato assurde molte critiche.

Hai detto che è necessario dividere tra chi comanda in Russia e la popolazione russa.
Gli artisti sono generalmente senza un’ubicazione politica. Siamo dei giullari, chi fa ridere e chi fa piangere. Rappresentiamo un divertimento, un sogno, una speranza. Quindi, se un popolo ha il piacere di vederti, perché prendertela con un’artista e con un popolo? Un po’ come sta succedendo con Israele. Si può odiare Netanyahu, ma non si possono odiare tutti gli israeliani. Non è giusto. Bisogna criticare chi lo sostiene, non fare di tutta l’erba un fascio. E io con la Russia ho legami da quando sono nata e voglio mantenerli. Poi, sai una cosa? Bisogna rassegnarsi al fatto che le critiche ci saranno sempre. Che non puoi piacere a tutti e non sei neanche costretto a piacere a tutti. La mia vita è così. Non ti piaccio? E sticazzi!

Il debutto al cinema a soli 14 anni con Damiano Damiani, in La moglie più bella, dove hai raccontato dello schiaffo per farti piangere o le scudisciate sulle gambe.
Era un metodo estremo. Dovevo girare una scena in cui era previsto che piangessi e lui mi ha tirato un ceffone, e secondo lui era sicuro che io piangessi. Invece non ho pianto. Anche perché al primo ciak non ho neanche avuto la possibilità di provare a piangere naturalmente.

Era una prassi comune nel cinema, oppure un’eccezione?
Proprio come Damiani non era usuale. Però in generale c’erano altri metodi che oggi non potrebbero più essere accettati. Sai, non c’erano vere regole sul set, come invece ci sono oggi. E c’erano molte meno protezioni, se poi pensi che ero minorenne… Era un’epoca così. Sono però propensa a vedere le due facce della medaglia, sono convinta che ti porti a raggiungere un po’ più di saggezza. I metodi erano durissimi, ma questi mi hanno forgiato per affrontare altri passaggi della mia vita. C’è sempre, anche nelle cose orribili, un risvolto positivo.

Viene in mente una delle scene più famose e criticate del cinema, quella del burro con Marlon Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi. A tanti anni di distanza, c’è chi chiede la cancellazione del film di Bernardo Bertolucci.
Quello che è stato è stato. È comunque una memoria. Sui film, suoi libri, sull’arte, sapendo che cos’è successo ti vai a informare, ma non si può cancellare la memoria. È essenziale per non commettere più gli stessi errori. Io ricordo bene quel periodo. E quella scena fu uno scandalo che portò il film ad avere un grande successo. La stessa Maria Schneider non ha mai rinnegato quel film. Perché l’epoca era diversa. Allora quante cose dovremmo cancellare?

 

 
 
 
 
 
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Nel ’74 raggiungi la fama con Romanzo popolare di Mario Monicelli. Ma è vero, come si vocifera, che anche lui fosse molto duro con gli attori?
Ma no, non ci credo. Ho adorato Monicelli. L’ho ammirato tantissimo. Non era un padre padrone, ma un uomo schietto. Non c’era l’orpello nei suoi film come non c’era nella sua vita. Non voleva per forza essere gentile, anche se a suo modo lo era. Con me non è mai stato maleducato. Era un uomo coerente, di una coerenza che ha guidato tutta la sua vita. Era sicuramente rigido, poteva non piacere, ma la coerenza l’ha dimostrata fino al giorno della sua morte. È ammirevole, ci sono state poche persone come lui. Non si è mai fatto turbare da tutta la giostra che gli girava attorno. E ci vuole una forza formidabile per resistere.

Era comunque un mondo, anche quello del cinema, dominato dagli uomini. E hai ammesso che con te ci hanno provato tutti, chi in modo più galante e chi meno. È stato difficile contenere tutto quel desiderio che circondava la tua persona?
Non era qualcosa di riferito solo a me, all’epoca era rivolto a tutte. Le donne sapevano di essere corteggiate e dovevano muoversi di conseguenza. Era normale che succedesse.

Forse per «la donna più bella del mondo» la pressione è stata un po’ più forte?
Intanto a questa cosa non ci ho mai veramente creduto. O non ci ho voluto credere. Mi sembrava tutto uno scherzo. Anche perché se ci credi davvero, è tosta da sopportare. L’ho presa con l’allegria di un gioco. È vero, però, che la bellezza è un peso. Soprattutto per le donne. L’invecchiamento ci penalizza. Quante storie sento in giro di donne lasciate dal marito scappato con una trentenne… pieno! Le donne giovani piacciono più di quelle âgée, per cui è difficile per una donna il cambiamento. Passano gli anni, vedi sfiorire la tua bellezza e pensi di non essere più quella di prima. Io, però, voglio vivere con leggerezza. Anche lo scorrere del tempo. Abbiamo solo questa di vita per ora, no? Magari Elon Musk riuscirà a installarci qualche chip per farci vivere più a lungo, solo che per il momento potremmo non esserci già domani. In inglese dicono cherish, per ricordarsi di avere cura di ciò che abbiamo di bello intorno. Io voglio vedere il bicchiere mezzo pieno e lo dico forte, così me lo ricordo meglio.

Tra gli uomini che hai conosciuto bene ci sono anche Gérard Depardieu e Woody Allen, che hanno dovuto rispondere di gravi accuse.
Gérard è un personaggio con delle vibrazioni fortissime. Quando arriva in un posto senti che si porta dietro un’energia tutta sua. È un anfitrione, un uomo divertente e generoso, che scherza sempre con le donne e con gli uomini. Non intendo a livello sessuale, in qualsiasi modo. Così nella vita e nello stesso modo sul set. È uno che fa ridere tutti, una vera forza della natura. Per quanto riguarda le accuse, io con lui non ho avuto esperienze di quel tipo. Eppure, nel film L’ultima donna di Marco Ferreri avevamo insieme una scena difficilissima dove eravamo nudi. A me non ha fatto avance, poi chissà cos’è successo con altre. Mi spiace tanto che stia passando un momento così difficile. Woody Allen uguale, anche con lui ho solo dei bei ricordi.

Altro personaggio considerato controverso è il regista Marco Ferreri. Com’era lavorare con lui?
Il mio Marco! Ma controverso perché affrontava temi allora all’avanguardia? Lui era troppo avanti e la gente all’inizio certe cose non le vuole proprio vedere o sentire. Ferreri, tra l’altro, ha sempre girato film a favore delle donne, su come venivano trattate o su quanto potevano essere anche forti. Però non erano ancora i tempi maturi per un dibattito su quei temi.

 

 
 
 
 
 
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Hai lavorato con Damiani, Monicelli, Risi, Ferreri, Verdone, Scola, Landis, Allen, Virzì, Nuti. Chi ti ha valorizzata di più?
Io mi sono trovata bene con tutti, lo dico sinceramente. Forse perché amo i registi, ne ho proprio il feticcio. È una figura fondamentale del cinema. Il rapporto tra il regista e l’attore, se ognuno si attiene al proprio ruolo, diventa magico. E ho sempre avuto rispetto dei registi con cui ho lavorato, instaurando in questo modo un bellissimo rapporto con tutti.

La critica cinematografica invece?
Nei miei confronti è stata feroce.

Si torna al peso della bellezza e ai pregiudizi che può generare?
Sicuramente. Ma anche per il mio modo di essere, forse non gli piacevo. O per il mio modo di recitare. Bisognerebbe chiederlo a loro. Io so di avere solo patito tanto per le critiche. Ma, come i dolori della vita, mi hanno fatto male e mi hanno anche fortificata nel percorso.

Sean Baker, il regista premio Oscar per Anora, nella prefazione del libro scrive che ti considera la sua «musa». Una bella rivincita verso la critica?
Noi attori portiamo di volta in volta un personaggio al pubblico. Siamo diretti dai registi, ma ci inseriamo anche del nostro. Poi quello che percepisce lo spettatore è dello spettatore. Sean Baker, probabilmente, è riuscito a vedere al di là della bellezza. Ha visto un po’ della mia anima. Non molti si soffermano su questo. Quindi penso che Sean mi abbia letto nel cuore.

Non sarà che in Italia è più difficile staccarsi da certe etichette, mentre in America si valuta prima di tutto il talento? È recente il caso di Sabrina Impacciatore, che negli Stati Uniti è diventata una star, mentre da noi era un po’ relegata solo a certi ruoli.
Credo più che altro che non ci sia un cinema che in Italia permetta a un certo tipo di donne di avere dei ruoli di primo piano. Si tende sempre a preferire la ragazza giovane, mentre la donna matura viene messa in disparte. Sabrina ha avuto la possibilità di lavorare in un’industria che è molto viva e ricca di ruoli interessanti. Da noi dov’è il cinema? Quante attrici lavorano nel cinema italiano? Prima c’era un cinema italiano, mentre oggi ci sono dei film dove vediamo più o meno sempre gli stessi. Escono pochissimi film rispetto agli USA.

Il circolino del cinema esiste in Italia?
Così dicono… e forse sarà anche così. Ma il circolino, se c’è, è perché non c’è tanto da spartirsi e chi è riuscito ad avere qualcosa se lo tiene stretto. In Italia non abbiamo più da tempo un’industria fiorente dove c’era spazio per tanti. E poi che tristezza il circolino…

Tu hai mai fatto parte di un circolino?
No, io non ne ho mai fatto parte. Anzi, non credo che i “circolini” mi amino.

Innamorato pazzo - Adriano Celentano e Ornella Muti

L’amore è un altro dei temi su cui ha ruotato la tua vita, dai due matrimoni alle storie che hanno fatto speculare per anni i giornali di gossip. Ora nel libro confermi che con Adriano Celentano c’è stata una storia d’amore: «Che fossimo stati insieme l’ha detto lui, senza chiedermi il permesso. Una violenza. Io aggiungo che è stata una storia breve, ma d’amore. Non concepisco il sesso per il sesso». Era importante chiarirlo?
Sì, proprio così. Andava chiarito proprio per non perpetuare l’equivoco del flirt.

Ma non hai sentito Celentano dopo che ha fatto quelle dichiarazioni?
No, no, io Adriano non lo sento da vent’anni. Forse anche qualche anno in più.

Non ti piacerebbe sapere da lui i motivi di quella rivelazione?
No, non mi interessa.

Foto: Rino Petrosino/Mondadori Portfolio via Getty Images

Anche con Francesco Nuti hai avuto una storia.
A Francesco piacevo anche se, bisogna dire la verità, lui aveva un colpo di fulmine per ogni attrice protagonista dei suoi film. Ha avuto una parabola tragica, davvero agghiacciante. Devo dire che nessuno merita una storia del genere. Mi è spiaciuto davvero tanto.

A Maledetti amici miei sulla Rai, quando hai salutato Sergio Rubini gli hai detto: «A te non ti bacio, aspetto ancora che mi chiami. Stronzo». Ti aveva promesso qualcosa?
Sì, di chiamarmi per un film. C’è sempre tempo per farlo, solo che se mi dici che mi chiami e poi non mi chiami vuol dire che non ti va davvero. Allora tanto valeva dire che non era vero.

Tornando ai tuoi amori, hai parlato di quello adolescenziale con Luca Cordero di Montezemolo, ma non c’è quello di cui ha parlato invece Vittorio Cecchi Gori. Tu hai smentito e gli hai chiesto di scusarsi, altrimenti lo avresti querelato. Si è scusato?
No, ma chi se ne importa! Tanto, onestamente, queste cose lasciano il tempo che trovano. Non mi andava che girasse quella voce non vera, solo che poi non ho nessuna voglia di tornarci.

Il gossip non ti appassiona?
Assolutamente no, mi fa orrore. Non fa bene in nessun modo. Scatena la cattiveria nei confronti dei protagonisti. Il gossip la alimenta e siamo già circondati di cattiveria. Non è un periodo di pace, è un momento tosto, e io oggi voglio vivere con grande leggerezza.

Nel libro racconti l’uso di LSD e popper, ma anche di esserti salvata da una «generazione sbandata» grazie alla gravidanza della tua primogenita, Naike Rivelli.
In quel periodo era difficile starne fuori. Ho fatto le mie esperienze ma non sono mai stata un’amante delle droghe. Però è vero che allora le usavano tutti, tra set e feste. E, avendo avuto Naike, non mi sono fatta coinvolgere più di tanto. Ho soltanto provato, per poi abbandonare subito visto che dovevo badare a una bambina. Intorno a me ho visto tante colleghe cadere a causa delle dipendenze. Era proprio facile, perché eravamo giovani, inesperte, sole, spesso minorenni, quindi era semplice finire in quel lato oscuro. Occuparmi di Naike mi ha tenuta lontana da tutta quell’energia negativa che circolava nell’ambiente.

Nel libro scrivi: «Tutta la gravidanza l’ho passata da hippy, con dei vestiti ricamati pakistani. Londra mi faceva impazzire. Mi sono detta: Naike la vestirò così, con i colori, le tuniche, i sandali. E invece mi è nata un cowboy».
Quando ero incinta, a Londra ho visto una bambina bionda con la coda, il vestitino blu e le scarpette inglesi e mi sono detta: anche mia figlia sarà così. Quando è nata ho cercato di vestirla come una bambolina, soltanto che Naike non è fatta così. Lei è un cowboy, oggi si direbbe cowgirl. Insomma, è una donna con gli stivali e il cappello. E per fortuna.

Tra figli e nipoti, oltre a tanti animali, hai intorno una sorta di tribù nella tua casa in mezzo alla natura nel Monferrato. Era questo, più che il cinema, il tuo grande sogno?
Assolutamente sì. Era proprio questo il mio sogno.

Quindi confermi che, ogni tanto, i sogni si avverano?
Sì, anche se bisogna crederci dal profondo del cuore. Ci devi credere e i sogni si avverano.

Ma se potessi parlare alla Francesca di 14 anni che sta per entrare nel cinema, cosa le consiglieresti oggi?
Non è possibile e per varie ragioni. Poi questo è il periodo meno facile per parlare con una 14enne che vorrebbe fare l’attrice. Servono prima di tutto i sacrifici, tanta volontà, e devi farlo con amore se è quello che vuoi fare davvero. Potrei consigliarle di trovarsi un buon agente? Di studiare? Ma la vita non la puoi consigliare a nessuno. Se io a 14 anni avessi incontrato la me di oggi che cosa avrei ascoltato? Perché è l’età in cui sei convinto di detenere la verità assoluta. Il percorso di vita dipende dalla tua personalità e dalle esperienze che capitano.

E di Ornella Muti, il personaggio cinematografico, che cosa non condividi più?
Rispetto al passato, non farei più certe scelte che sono convinta non siano più aderenti alla mia personalità di oggi. Per il resto non saprei, perché tra le due non c’è differenza.

Tra la persona reale e la maschera non c’è mai stata nessuna distanza?
Nessuna, perché Francesca e Ornella sono sempre state la stessa persona, al di là di quello che ha potuto percepire il pubblico. A me non sono mai piaciute le maschere, a meno che non sia il periodo di Carnevale. Anzi, ti dirò, se di notte vedo qualcuno mascherato mi metto paura. Portare una maschera è ingannevole per gli altri, ma soprattutto per te. Io quando mi guardo allo specchio, in passato come adesso, vedo sempre me stessa e non qualcun’altra.

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