Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone US il 1° dicembre 1994.
Ecco a voi Brad Pitt. Del resto, sembra che tutti lo stiano guardando. Sulla strada per questo pub londinese, non meno di tre ragazze sono uscite furtivamente dall’ombra per chiedere un favore al suddetto rubacuori. Ogni situazione si ripete identica: una donna si avvicina timidamente, accenna un sorriso che avrebbe urgente bisogno di un buon dentista, e fa la domanda: «Mi scusi, lei è Brad Pitt?». La risposta, ovviamente, è sì. A quel punto scatta la battuta successiva: «Pensa che potrei avere un bacio?». E il nostro eroe, da bravo ragazzo di Springfield, Missouri, acconsente.
La cosa significativa di questi episodi non è tanto l’effettivo contatto tra labbra e guancia, quanto il fatto che qualcuno sia riuscito a beccare Pitt in carne e ossa. Vedete, Brad Pitt è un tipo sfuggente, un bravo ragazzo con cervello. È sfuggente, intelligente e incredibilmente simpatico. Qualità che sfrutta con grande efficacia. Riuscire a trovarlo però, quella è la parte difficile.
La nostra approfondita indagine ci ha prima portati a New Orleans, dove erano in corso le prime fasi delle riprese di Intervista col vampiro, il film che — insieme al prossimo Vento di passioni — dovrebbe consacrare definitivamente Pitt come star. Il problema è che la produzione, sin dall’inizio, era, come dire, un casino totale. Anne Rice, l’autrice del romanzo da cui è tratto il film, gridava ai quattro venti che chiunque sarebbe stato meglio di Tom Cruise nel ruolo di Lestat, il vampiro che trasforma il personaggio di Pitt, Louis. Cruise, dal canto suo, pretendeva il controllo totale, un set chiuso e il silenzio assoluto da parte di chiunque osasse avvicinarsi. E River Phoenix, che doveva interpretare il ruolo piccolo ma cruciale dell’intervistatore, era appena morto di overdose. Quando siamo arrivati a New Orleans, Pitt — come spesso accade — era già sparito.
«Dovete capire una cosa», spiega poi Pitt, con quell’accento dolce degli Ozark, «il mio personaggio vuole uccidersi per tutto il film. Io non ho mai pensato seriamente al suicidio. È stato pesante. Non mi piace quando un film ti rovina le giornate». Sorride sornione e inclina la testa. «Adesso vorrei interpretare uno che vuole solo scoparsi tutti, così almeno mi diverto un po’».
Il fatto che Pitt abbia appena superato la prova della lussuria britannica e sia stato infine braccato – qui, in un tranquillo pub del Nord di Londra, pinta di birra e sigaretta alla mano – è già di per sé un piccolo colpo giornalistico. Intervista col vampiro è alle battute finali a Parigi, e Pitt, a sua volta, è al limite. Ha cinque giorni liberi: è il momento di prendersi una vacanza. Se non fosse per tutte queste domande seccanti. Quando gli si chiede com’è stato girare Intervista, lui risponde semplicemente: «Sai, Vento di passioni è stato fantastico». E Tom Cruise? Pitt fa un’espressione seria e parla invece di un altro attore che era sul set: «Ve lo dico io, Antonio Banderas è un tipo straordinario».
Ok, prossimo argomento. Anzi, ancora meglio: altra birra. Viene ordinato un giro. E un altro ancora. Liberato momentaneamente dalla pressione dell’interrogatorio, Pitt si rilassa, riemerge il suo sorriso caratteristico, la conversazione scorre veloce, la sua naturale disinvoltura è il suo fascino sbocciano in pieno. Poi, da qualche parte tra la prima e la cinquantesima birra, arriva un’epifania. «La verità è che non voglio che la gente mi conosca», dice secco. «Io non so nulla dei miei attori preferiti. E credo che dovrebbe essere così. Altrimenti diventano personaggi».
È il modo più elegante per dire che il ragazzo non ha nessuna voglia di spifferare i suoi segreti. Né ora, né mai. Pitt afferra la pinta e si abbandona allo schienale con il sorriso soddisfatto di un venditore che ha appena venduto cinque casse d’olio di serpente.
«Adoro poter fare questo: girare il mondo e vivere avventure», dice. «Perché fare un’intervista? Non potresti semplicemente scrivere delle nostre avventure?» E così comincia la nostra saga. O la nostra avventura, se preferite.
Un’avventura degna di questo nome non certo può cominciare senza biancheria pulita. Ecco spiegato perché il nostro taxi sta sfrecciando verso un grande magazzino invece che alla stazione, dove il nostro treno è ormai sul punto di partire. Mr. Pitt ha bisogno di mutande. Mr. Pitt ha bisogno di calzini. Ci procuriamo il necessario, corriamo alla stazione e ci infiliamo in prima classe con un tempismo da film. Prossima fermata: Scozia.
La campagna inglese scorre come una slideshow di marroni e beige slavati, mentre Pitt si mette comodo per il viaggio di tre ore. I capelli lunghi raccolti in una coda morbida, uno zaino leggero al fianco, e un taccuino su cui disegna costantemente, per alimentare la sua dipendenza dall’architettura. Da lontano sembra uno studente in gita, con i pantaloni larghi stile indiano, camicia larga e giacca di pelle consumata. Da vicino, però, sembra meno un ragazzo e più l’uomo di trent’anni che è. Merito anche della mappa di cicatrici sparse sul volto. Gli chiediamo un tour.
«Questa viene dal baseball», dice Pitt indicando lo zigomo. «Una palla che ho perso nel sole. Ma ho comunque eliminato il corridore in seconda, anche se mi è caduta in faccia». Sorride e mostra l’altra guancia. «Questa invece è stata… una di quelle serate. Una di quelle notti da sbronza». Si ferma di colpo. «Anzi no, forse non dovrei dire “sbronza”. Voglio dire, i miei genitori leggeranno quest’intervista».
Quando gli si fa notare che perfino mamma e papà finiranno per annoiarsi a morte se non comincia ad aprisi un po’, lui torna a rilassarsi. Il discorso vira su Cormac McCarthy, autore del suo romanzo preferito, Cavalli selvaggi, che ha appena letto per un audiolibro. Poi parla dei quasi 2500 metri quadrati di terra che ha comprato negli Ozarks e della speranza di progettare personalmente una casa da usare per le reunion di famiglia. E come spesso accade, il discorso torna sulla famiglia.
Nato in Oklahoma ma cresciuto a Springfield, Pitt è il maggiore di tre figli. Il fratello Doug, 28 anni, e la sorella Julie, 25, vivono ancora lì, entrambi genitori di neonati. Con loro lu ci parla spesso.
«Ho sempre guardato entrambi i miei fratelli come fossero la cosa più bella mai successa», dice Julie. «Doug e Brad si completano a vicenda. Avevamo una famiglia molto unita, e questo ci ha dato sicurezza. Credo sia stato quello a spingere Brad a provare a fare l’attore. A volte non riesco a credere che questo ragazzo di Springfield ce l’abbia fatta, ma Brad ha sempre avuto successo in tutto quello che faceva, e ha sempre avuto un modo speciale di relazionarsi con le persone».
Quanto ai genitori, Pitt li definisce «le guide più importanti della mia vita». Sua madre, dice, è stata la prima persona a credere che avesse talento. «L’ha sempre pensato, fin dal primo giorno», racconta.
«Brad somiglia fisicamente a suo padre, ma ha il carattere della madre», dice Chris Schudy, uno dei suoi migliori amici del college. «Lei è così semplice, una donna fantastica. Il padre è un grande, ma più riservato. In mezzo scorre il fiume sembra quasi un ritratto della famiglia di Brad. Quando ho visto il film, gli ho telefonato e gli ho detto: “Non stavi neanche recitando. Era casa tua, solo senza Julie”».
Il padre di Pitt, manager di una compagnia di trasporti, era spesso in viaggio ma trovava sempre il tempo per portare i figli in giro con sé. E ogni tanto dispensava qualche perla di saggezza al figlio, che ancora oggi gli sono utili. Una volta, durante un torneo di tennis, Brad cominciò a urlare e a lanciare la racchetta. Il padre scese in campo tra un game e l’altro. «Mi chiese solo: “Ti stai divertendo?”», racconta Pitt. «Io, tutto agitato, dissi di no. Lui mi guardò e rispose: “Allora non farlo” e se ne andò. Mi ha rimesso in riga. Meritavo di essere preso a calci, ma lui era oltre.»
Difficile immaginare che papà Pitt sapesse quanto seriamente il figlio avrebbe preso quella lezione. Avanti di dieci anni: Università del Missouri, Columbia. Brad, membro della confraternita Sigma Chi, se la gode. Mancano due settimane alla laurea. Gli restano solo due crediti per finire la triennale in giornalismo con indirizzo pubblicitario. Ma invece di completare gli esami, Pitt – con una mossa degna dei Baltimore Colts quando fuggirono nottetempo per diventare gli Indianapolis Colts – carica tutto nella sua Nissan, battezzata “Runaround Sue”, e parte per Los Angeles.
«Fu un sollievo», racconta. «Ero alla fine del college, alla fine del mio percorso di studi e all’inizio di una carriera che non volevo. Ricordo l’euforia ogni volta che passavo un confine di Stato. Arrivai a Burbank, c’era così tanto smog che sembrava nebbia. Mi fermai da McDonald’s, e basta. Pensai: “Tutto qui? Non dovrebbe esserci qualcosa di più epico?”»
In tasca aveva 325 dollari e zero esperienza come attore. Per tranquillizzare i genitori raccontò che stava frequentando l’Art Center College of Design di Pasadena. Non era vero. In realtà accompagnava spogliarelliste agli appuntamenti, consegnava frigoriferi agli studenti universitari e si travestiva da pollo davanti a un fast food chiamato El Pollo Loco. Qualsiasi cosa pur di pagare l’affitto. Quando dopo nove mesi ottenne finalmente il primo lavoro da attore, confessò tutto ai suoi. Il padre si limitò a dire: «Sì, me lo immaginavo».
«La gente del Missouri è rimasta davvero sorpresa quando ha scoperto cosa stesse facendo Brad», racconta l’amico Chris Schudy. «Ma è sempre stato così affascinante che alla fine aveva senso. La prima volta che mia madre lo incontrò, lo chiamò “un piccolo dio romano”».
L’ascesa di Pitt ha avuto l’effetto di uno tsunami nel tranquillo bacino di talenti di Columbia. Un ex compagno di università racconta che almeno quattro membri della loro confraternita hanno fatto i bagagli per tentare la fortuna a Hollywood. E se oggi telefoni alla casa dei Sigma Chi chiedendo di lui, una voce risponde: «La foto con lui viene rubata continuamente. La settimana scorsa l’abbiamo trovata nella stanza di una tipa del dormitorio».
Dal canto suo, Pitt parla del college con il suo solito sorriso, lasciandoti capire che non ne sta racconatando nemmeno la metà. «È stato incredibile anche solo allontanarsi da casa», dice Pitt, «vivere con un gruppo di ragazzi. Quella scuola ruota un po’ attorno a un barile di birra. Avevamo questa idea di Animal House, e c’era sicuramente quell’aspetto. È stato un momento clou, senza dubbio. Poi, come tutto, se ne esce».
Più o meno in quegli anni, un altro periodo della vita di Pitt stava volgendo al termine. Fu durante il college che iniziò a separarsi dalla sua rigida educazione religiosa. Mentre la sua famiglia era originariamente battista e ora è aconfessionale, Pitt non è né l’uno né l’altro.
«Ricordo uno dei momenti più cruciali della mia vita», dice Pitt, «quando finalmente non sono riuscito a credere alla religione con cui ero cresciuto. È stato una roba grossa. In un certo senso è stato un sollievo non doverci più credere, ma poi mi sono sentito solo. Era qualcosa da cui dipendevo».
Pitt si accende una sigaretta e si agita sulla sedia come un sospettato che teme di aver detto troppo.
«Ho sempre saputo che avrei lasciato il Missouri», dice Pitt. «Ma è come quella canzone di Tom Waits: “I never saw the morning until I stayed up all night/I never saw my hometown until I stayed away too long“. Amo la mia città natale. Volevo solo vedere di più. Ti imbattevi in un libro o qualcosa del genere in TV, e vedevi tutti questi altri mondi. Mi ha lasciato senza fiato».
Di tutti i Gin Joint in Scozia, lei doveva finire proprio qui. O qualcosa del genere. Vedete, è tutto un po’ tremolante, un po’ sfocato. L’unica cosa certa è che Pitt non si sta concentrando. È metà pomeriggio ed è seduto in un pub di Glasgow, cercando di smussare i postumi della sbornia post-Edimburgo e di mettere in prospettiva Intervista col vampiro. Ma eccola lì: il tipo di barista naturalmente radiosa che si infila solo nelle scene dei film. O, a quanto pare, nelle storie sulle star del cinema.
E affinché nessuno pensi che il nostro giovane conquistador frequenti solo locali dove si beve, va detto che la mattinata è stata dedicata al principale obiettivo di Pitt per questa città: un tour di tutti gli edifici progettati dall’architetto Charles Rennie Mackintosh, uno degli eroi di Pitt. Solo che un pranzo veloce e una birra ci attendono. Dopodiché, il piano è di prendere un altro treno, dirigerci verso le Highlands scozzesi e provare a rintracciare il mostro di Loch Ness. Davvero. Il problema è che ogni birra diventa sempre migliore. E la barista… be’, continua a rimanere la stessa. Ci concentriamo su Intervista.
«Per me i film sono sempre stati cowboy e indiani», afferma Pitt, cercando di spiegare l’ordine delle riprese. «Ma quando hanno offerto la parte a Daniel Day-Lewis, ha risposto che non gli piaceva l’effetto che avrebbe avuto su di lui. Guarda, è uno dei miei preferiti, ma ho pensato: “Gesù Cristo, altre stronzate da attore”. Ora direi di aver capito un po’ di cosa stava parlando. Quando ho letto il libro, l’ho trovato fantastico. Ne sono davvero orgoglioso. È solo che per me, girare il film non è stato poi così fantastico».
Per dimostrare che si tratta di un fenomeno universale, viene consultato un esperto. «Non c’è dubbio che calarsi nel personaggio di un vampiro sia un’abilità speciale», spiega “Nonno” Al Lewis dei Mostri. «Il primo requisito è avere un ardente desiderio di sangue, poi assicurarsi che i soldi siano buoni e che le ore non siano troppo lunghe. Finché gli assegni vengono incassati in banca, sono sempre molto felice, e lo sarà anche il signor Pitt».
Come è stato notato, però, niente di Intervista è stato facile. Per nessuno. Quando i grandi budget e l’ego di Hollywood sono in bilico, le cose tendono a funzionare alla fine. Almeno sulla carta. Nei giorni successivi alla fine delle riprese, il mondo oscuro e malinconico di Intervista col vampiro è diventato insolitamente soleggiato. Anne Rice ha persino cambiato idea e ha acquistato due intere pagine di Daily Variety per catturare fedelmente lo stupore che ha provato guardando Cruise impersonare il personaggio di Lestat. Forza, tutti quanti, un abbraccio di gruppo.
In verità, Intervista col vampiro rimane straordinariamente fedele alla narrazione del romanzo e alla sua natura intensamente meditabonda. Diretto da Neil Jordan (La moglie del soldato), Intervista non si sottrae agli aspetti brutti o grotteschi che rendono la storia così avvincente. Forse i mesi di riprese notturne e le indiscrezioni dei tabloid sui disordini sul set ne sono valsi la pena.
«Non mi ero reso conto che circolassero voci sul fatto che Brad e Tom non andassero d’accordo», dice Jordan. «Sono due attori molto diversi. E i loro personaggi erano molto diversi. Il personaggio di Tom ama il controllo e ama infliggere dolore al personaggio di Brad. Il personaggio di Brad vuole solo evadere. Per molti versi, si sono relazionati tra loro come i loro personaggi. Brad ha davvero sofferto per questo ruolo. Ci è arrivato completamente esausto dopo aver recitato in Vento. Ha sofferto molto».
Pitt ignora le voci sull’animosità tra lui e Cruise sottolineando ripetutamente di essere rimasto estremamente colpito dalla performance di Cruise. Non c’era tensione, insiste Pitt, solo stili di vita leggermente diversi. Cruise ha sempre il controllo totale. Pitt viene continuamente rimproverato dagli amici perché, come gli dicono, è “sempre alla deriva”. Pitt ha persino l’abitudine di comprare una bicicletta in ogni location cinematografica, così da potersela svignare in silenzio. Una volta terminate le riprese, chiude la bici al sicuro e si dirige verso qualsiasi luogo lo spinga il suo entusiasmo. Se mai dovesse ripassare da quelle parti, controlla immediatamente se il suo mezzo di trasporto è ancora disponibile.
«La macchina che gestisce Tom è davvero impressionante», dirà Pitt qualche mese dopo, una volta completato Intervista. «Non vorrei vivere così, ma comunque… Ascolta, se vuoi rimanere al top, devi rimanere al top. Spesso i film di Sean Penn non fanno soldi. E secondo me, Sean Penn è il migliore che abbiamo in quella fascia d’età. Quindi non puoi sederti e far passare Tom per il cattivo. Tom Cruise è bravo in questo film».
Pitt fa una pausa.
«Mi piace, mi piace davvero», dice Pitt. «Ma a un certo punto ho iniziato a provare davvero risentimento nei suoi confronti. Col senno di poi, ho capito che era tutto dovuto a chi erano i nostri personaggi. Ho capito che era un mio problema», ride. «La gente prende tutto così sul serio. È un film, ed è finito».
In questo momento, però, mentre una folla di abitanti di Glasgow inizia ad affollare questo bar di quartiere, la produzione di Intervista non è ancora terminata. Qualcuno ha mandato un giro di shot. E la barista? È estremamente intelligente, simpatica e divertente. È anche seduta al nostro tavolo. Quindi, prima che la situazione sfugga di mano – un momento che sarà presto segnato dall’arrivo di una bottiglia di champagne in omaggio – la conversazione si fa seria. L’ultima fase delle riprese – tra poche settimane – sarà la parte dedicata all’intervista di Intervista col vampiro. È questo segmento del film che avrebbe dovuto includere River Phoenix. La voce di Pitt, solitamente bassa ma permeata dall’ospitalità del Sud, si fa ancora più sommessa, e una certa serietà sostituisce la sua consueta inflessione popolare.
«Conoscevo River un po’, ma volevo conoscerlo meglio», dice Pitt. «La sua morte ha colpito tutti nel film, ma allo stesso tempo è stata una cosa molto personale. Bisogna rendersi conto che River ha interpretato un ruolo in Belli e dannati che ha portato il tutto a un livello che nessuno di questi altri giovani è ancora riuscito a raggiungere. Non vedevo l’ora di vederlo sul set. Quando lo abbiamo perso, abbiamo perso tutti qualcosa di speciale».
E con questo, la quiete dell’aria pomeridiana viene interrotta dalla lieve esplosione del tappo di champagne. I bicchieri si riempiono, le risate si scatenano e la barista è fuori servizio e senza programmi per il resto della serata. La notte si stende davanti a noi come una strada che si snoda e si trasforma in un punto interrogativo.
«A proposito», dice Pitt, avvicinandosi. «Lo sai che non ce ne andiamo da Glasgow, vero?».
Brad Pitt non è mai stato uno studioso di cinema. È sempre stato un appassionato di cinema. Un esempio lampante: sembra che Pitt, dato qualsiasi argomento al mondo, riesca a riportarlo a Il pianeta delle scimmie («Devi uscire fuori e vedere le cose; è questo che mi infastidisce di più della religione, perché ti dice di non farlo», spiega Pitt. «Ecco perché adoro Il pianeta delle scimmie. Alla fine, quando Charlton Heston vede la Statua della Libertà… cavolo»).
Pitt è anche un bohémien autodidatta. È dotato di una capacità quasi zen di vagare. «Mi piace semplicemente fare un piccolo viaggio in macchina», dice. «Non lascio nessun posto. Vado da qualche parte». Ma possiede anche l’enorme sicurezza di sapere che atterrerà sempre in piedi. Portato a un concerto dei Pavement a Londra, Pitt si è tuffato nel mosh pit da solo, pur non avendo mai sentito la band. Crede che sarà un padre fantastico. Alla domanda se preferirebbe essere una star del cinema o una rock star, risponde: «Stai scherzando? Una rock star. Voglio fare una versione maschile di Why’d Ya Do It? di Marianne Faithfull. Le direi esattamente perché». Incanta chi gli sta intorno indiscriminatamente – uomini, donne, giovani, anziani – ma a tal punto da mettere in dubbio la sua sincerità. Sebbene sottolinei: «Non vado in giro a rubare la gente, e non direi di essere così bravo a letto», si rende conto che il suo ruolo in Thelma & Louise (quello dell’adorabile buono a nulla che fa letteralmente impazzire Geena Davis) è il più vicino che abbia mai interpretato a se stesso.
E tutte queste qualità gli tornano molto utili in questo momento. Il pomeriggio è diventato notte, e qualche birra ha lasciato il posto all’inizio di un’abbuffata. Avremmo bisogno di un po’ di riposo. Invece stiamo mangiando zuppa di pollo fatta in casa con la madre della tanto citata barista. Se mai c’è stato un momento per essere educati e affabili, è proprio questo. Eccolo. Pitt parla del suo tour architettonico di Glasgow, evidenziando le somiglianze tra le opere di Mackintosh e Frank Lloyd Wright. Parla, giustamente, di come la brava gente di Glasgow ci abbia accolto. E con la sua voce, che vacilla al limite di un Eddie Haskellness dal sapore sudista, afferma che questa è senza dubbio il tipo di zuppa per cui un pollo sarebbe orgoglioso di morire. Spara, e mette a segno ogni volta. Il punto è scientificamente provato: Brad Pitt è il tipo di ragazzo che puoi portare a casa da tua madre. E queste qualità stanno per renderlo una grande star del cinema.
«Brad è arrivato alla recitazione essendo se stesso, non è vero?», dice Jordan. «Ci è arrivato perché è un personaggio incredibilmente carismatico. Ma penso che sia molto meglio di quanto finga di credere di essere. Penso che sia fantastico, e credo che in realtà sappia di esserlo. Le persone o sono delle star, o non lo sono. O lo proiettano, o non lo fanno. Nel momento in cui Brad è entrato in Thelma & Louise, è successo. Da quel momento in poi è diventato una star».
Di certo Thelma & Louise, che portò anche alla storia d’amore tra l’allora sconosciuto attore e la megastar Davis, fu il primo tassello del domino a cadere nella carriera di Pitt. A meno che, naturalmente, qualcuno non si fosse imbattuto in Glory Days, una serie drammatica in stile 90210 per la Fox, che per fortuna si concluse dopo una manciata di episodi. «È stato terribile», ricorda Pitt. «Amico, preferirei non fare nient»”. Quindi, nonostante avesse già interpretato diversi ruoli, Thelma & Louise sarà sempre il fondamento su cui poggia la carriera di Pitt.
«Ho sempre pensato che la mia svolta sarebbe stata interpretare un bravo ragazzo», dice Pitt. «Ma sento sempre gente lamentarsi di essere venuta a Los Angeles e di non essere stata presa sul serio. Bisogna farglielo vedere. Quando ho iniziato, mi mandavano a fare sitcom. Mi piacciono le sitcom, ma recitarle nelle sitcom faceva schifo. Quindi devo trovare qualcosa che so fare e andare a prendermela. Poi dicono: “Oh, sa fare anche questo”. Ma aspetta, c’è di più. E voglio farlo adesso».
Si trattava di una serie eterogenea di film che vedevano Pitt impegnato in omicidi (Kalifornia), a pattugliare un universo di cartoni animati (Cool World) e trasformato in un patetico idolo rockabilly con i capelli alla pompadour (Johnny Suede). Nessuno dei tre ispirerà mai una fuga precipitosa in un videonoleggio. Ampliarono però gli orizzonti di Pitt, arrivando fino al Montana, dove andò a lavorare a In mezzo scorre il fiume, il primo film di qualità che Pitt fu chiamato a portare sulle spalle.
«Ho sentito un po’ di pressione su In mezzo scorre il fiume», dice Pitt. «E ho pensato che fosse una delle mie interpretazioni più deboli. È così strano che sia finita per essere quella per cui ho ricevuto più attenzione».
Questa è la prassi standard di Pitt: minimizzare la sua arte. Dopo aver ricevuto complimenti per l’innata comprensione e il realismo assoluto suggeriti dal suo scansafatiche perennemente fatto in Una vita al massimo, Pitt afferma semplicemente: «È stato divertente. Ma sono stato lì solo per un paio di giorni». Quando gli si chiede quali siano le sue più grandi passioni, la recitazione non viene menzionata. Invece, Pitt blatera con entusiasmo di musica. Possiede tre chitarre, ma giura che il suo legame principale è puramente quello di ascoltatore. Il suo amore per l’architettura e il disegno è così intenso che disegna e studia continuamente nel tempo libero. Va anche a caccia di oggetti d’antiquariato e professa un fervente rispetto per chiunque crei splendidi mobili artigianali. E poi, naturalmente, ama vagare senza meta.
«È facile sparire se si vuole», dice Pitt. A Los Angeles le conversazioni non cambiano molto. La verità è che ho altre cose che voglio fare, quindi le faccio. La gente prende tutto così sul serio. La mia risposta a tutto ciò per cui non ho una risposta è “Non prendere tutto così sul serio”. Davvero. Rilassati, per favore. È così che faccio questi film. Ne faccio alcuni, posso fare anche altre cose. Perché ho altre cose che mi piacerebbe davvero fare che non hanno nulla a che fare con i film».
Ciò che Colui che cammina sulla Terra desidera di più è mimetizzarsi tra la folla, «mettersi in gioco» con la gente di Glasgow. Dopo aver superato l’approvazione dei genitori, siamo seduti in una discoteca, chiacchierando tranquillamente con un piccolo gruppo di amici che si scambiano storie come una famiglia allargata. La seconda bottiglia di champagne omaggio della giornata è in fresco accanto al tavolo, e la nostra barista/guida turistica sta deliziando la folla ubriaca intorno a lei. Sono le 3 del mattino e il nostro viaggio on the road è giunto a destinazione. Pitt sorride e chiacchiera con la nostra ospite. Glasgow tace. Luci spente.
«Scompongo tutto in fasi», sta dicendo Brad Pitt. «Ci sono state delle fasi positive ma salutari e altre davvero malsane. Quelle malsane sono sicuramente più divertenti. E direi che, al momento, sto appena uscendo dalla fase idiota. È un peccato non poterle trattare tutte. Sono molto interessanti, ma vorrei che questo articolo avesse una classificazione non adatta ai minori di 13 anni».
D’accordo, Pitt ha qualche problema di controllo da risolvere, ma una cosa è certa. Questo è il posto perfetto per iniziare una nuova fase della sua vita. È fine estate e Pitt ha appena acquistato una splendida casa nuova sulle colline di Hollywood. Come al solito, chiede subito: «Per favore, potresti non scrivere di questo posto? È speciale per me, davvero sacro». Basti dire che è una casa che si erge come un monumento alle ossessioni di Pitt. Splendidi tavoli antichi, sedie e lampade Tiffany costellano l’interno di una fortezza che a sua volta è incastonata ordinatamente in un complesso perfettamente scolpito. Per non smentire la sua fissazione musicale, la casa un tempo apparteneva al manager di Jimi Hendrix. E nel caso vi foste dimenticati delle sue origini, il primo fucile da caccia che il padre di Pitt gli regalò rimane, insieme a un altro calibro 12 e alla pistola di Pitt. Pitt sarà anche il signor “Vivi e lascia vivere”, ma non otterrete la sua pistola se non gliela strappate dalle dita fredde e morte.
«Nel Missouri, dove sono cresciuto, avere una pistola è una cosa seria», dice Pitt. «E dannatamente giusto. Se qualcuno entra in casa mia nel cuore della notte, gli sparo il culo. Lo dico a tutti i miei amici. Sai, saranno ubriachi e si intrufoleranno in casa per dormire. Dico loro: “Non fatelo senza farmi sapere che siete lì”».
Presto la casa diventerà uno zoo di animali da compagnia invaso dai tre cani di Pitt, decine di camaleonti e le due linci rosse della sua attuale fidanzata, Jitka, che è, sorpresa sorpresa, simpatica, pacata e bellissima. Al momento, però, tutti gli animali sono nella loro vecchia dimora. Pitt è seduto a bordo piscina e ogni suo gesto sembra straordinariamente rilassato e contento. È al suo campo base. Un tempo, Pitt si era trasferito con l’ex fidanzata, l’attrice Juliette Lewis, che aveva incontrato durante le riprese di un film per la TV, Too Young to Die?, e con cui era uscito per tre anni, ma quella era una sensazione diversa da quella evocato da questo posto. «Non era la stessa cosa», spiega Pitt. «Cercavamo di essere Sid e Nancy o qualcosa del genere. Eravamo degli idioti. Ci stavamo solo divertendo».
Quando Pitt è a casa a Los Angeles, non esce spesso. «Riservo le notti selvagge per quando sono on the road», dice Pitt. «Oppure le trascorro a casa. Tutto quello che so è che non sto facendo quello che ha fatto Charlie Sheen, perché quel ragazzo è sul giornale un giorno sì e l’altro pure».
Così, mentre il signor Spirito vagabondo ozia per la fattoria in questi giorni, i pensieri sono pieni di quello che verrà. Il suo compenso corrente per film è balzato al ridicolo (più di 3 milioni di dollari a film), e confessa di stare lottando per accettare ciò che comporta l’obbligo di diventare una star. Intervista promette di essere un successo al botteghino, e Vento di passioni, nonostante sia scivolato nel dominio di una miniserie televisiva, non è solo un film di qualità, ma è anche ampiamente dominato da Pitt. «C’è una responsabilità», dice Pitt. «Non ho ancora capito quale sia». Nel frattempo, dilemmi così complessi e inebrianti vengono aggirati a favore di una pessima programmazione via cavo a tarda notte. «Eccezionale», commenta Pitt quando gli viene chiesto della sua inclinazione per questo genere di cose. «Passo tutto il mio tempo, fino alle 4 del mattino, a guardare film brutti. Richard Grieco ne ha fatto uno che è semplicemente il migliore. Si intitola Tomcat: Dangerous Desires. È Tomcat, due punti, Dangerous Desires. Wow», ride. «Ci sono stato anch’io, e per favore, cercatelo. Si intitola Cutting Class. È orribile».
Ma nonostante la sua nonchalance, è chiaro che ciò che Brad Pitt desidera di più è iniziare una carriera longeva e significativa. Si tormenta sui ruoli più che mai. Allo stesso tempo, quasi ogni centesimo guadagnato è stato investito nel patrimonio che si estende intorno a lui. Quindi cosa può fare un giovane neohippie spensierato e disinvolto? Il piano di Pitt è quello di scovare i migliori e i più brillanti della sua generazione. Il momento è vicino a Hollywood, Pitt ne è certo, e vuole esserci. Il problema è che la giovane Hollywood è anche piena di un sacco di stronzi. Non è esattamente una notizia dell’ultimo minuto. È, però, un dilemma.
«Quando sono tornato da Intervista, volevo incontrare alcuni dei miei coetanei», dice Pitt quando si parla degli Stephen Dorff del mondo. «Ho incontrato un sacco di gente, e c’era tutta quella competizione, quella specie di controllo, quella cosa da mensa del liceo. È stato un peccato. Cosa c’è dietro? Ecco perché sono rimasto così colpito da Christian Slater. Era un ruolo difficile da interpretare, alla fine del film, tutti cercano solo di finire, River se n’era andato. Lui è arrivato ed era semplicemente una persona vera. È entrato come un professionista, senza ego o altro».
Pitt prende la sua lattina di cream soda e scende lentamente i gradini di pietra verso il suo soggiorno. Per un attimo si ferma e guarda oltre il suo cortile. «Voglio dire, alcune cose diventano più difficili, ma d’altronde, guarda questo posto», dice. «Anche le cose diventano molto più facili. Mi piacerebbe avere una carriera alla Wilford Brimley. Sarebbe l’ideale. Ma chissà, potrebbe sparire tutto. Potrei finire come Mark Hamill». Fa una pausa ponderata. «Arrivi qui con questa impressione che non sia vero. Recitare nei film non ti fa ridere di più e non ti rende meno triste».
Pitt entra, va allo stereo, sostituisce un CD dei Gipsy Kings con uno degli Stone Temple Pilots e si siede su una delle sue sedie antiche. Ha risposto alle domande e si agita sulla sedia. Nonostante la sua elusività, Pitt dà l’impressione di voler disperatamente essere capito. Non necessariamente conosciuto, ma sicuramente capito. Si porta le ginocchia al mento.
«Devo usare una parola banale, ma direi che cerco di vivere la mia vita con onestà», dice Pitt. «E questa è una cosa difficile. Non l’ho mai padroneggiata. A volte posso essere un bugiardo di merda».
Gli viene chiesto: se mai lo preoccupi che il lavoro di attore sia intrinsecamente disonesto. Pitt si dimena sulla sedia e si concede una lunga, imbarazzante pausa.
«Non mi preoccupo perché non sarò mai un attore troppo bravo», dice Pitt, con un tono di voce esageratamente casalingo. «Sono un bravo attore, sono costante, ma non sarò mai un grande attore. Ogni tanto sarò bravo. Ogni tanto sarò pessimo». Sorride soddisfatto, sicuro di aver espresso il suo punto di vista, ma tenendo comunque le carte coperte. Mentre la notte volge al termine, Pitt decide di non uscire nel buio per un bicchierino della staffa. Accompagna il suo ospite fino al vialetto e guarda le luci posteriori spegnersi lungo la strada, contento di rimanere al sicuro dalla sua parte della linea.













