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‘Nudes’, Laura Luchetti: «Stiamo rubando il futuro ai nostri ragazzi»

La serie sul revenge porn di RaiPlay è una straordinaria lente d’ingrandimento su una generazione meravigliosa e in pericolo. Ne abbiamo parlato con la regista

Foto: Raiplay/BIM


«Sono una generazione meravigliosa a cui il Covid ha rubato un pezzo fondamentale della vita e proprio adesso il revenge porn è ancora più un pericolo, ora che il virtuale rischia di soppiantare la vita vera. I like a noi fanno male, ma distruggono i ragazzi: esisti solo se pubblichi e se piace. E una cosa ha sostanza solo se mostrata sui social. Il revenge porn è la fine di un arcobaleno che inizia molto prima, un’appropriazione indebita di un corpo che inizia per noi donne con chi ci mette le mani addosso, con il catcalling, con uno spazio di cui ti appropri che non è tuo. E noi dobbiamo ritrovare un’educazione sentimentale. Se pensi di avere il diritto di invadere un altro, non avrai problemi a diffondere la sua intimità. Dobbiamo cambiare il nostro mondo». Si va subito sui massimi sistemi con Nudes e la sua regista, e capisci immediatamente che non è “solo” una serie televisiva, peraltro appassionante e potentissima.

«Io li amo: hanno talento, responsabilità, una visione. E sono molto fragili». Laura Luchetti, già regista dell’interessante e anticonvenzionale Febbre da fieno e di quel piccolo capolavoro che è Fiore gemello, commenta così la sua serie Nudes, su RaiPlay dal 20 aprile, un viaggio senza rete in una generazione che sta combattendo la battaglia più dura. E attraverso il revenge porn, una delle perversioni più insopportabili di un’epoca prepotente e cinica, ci offre una lente d’ingrandimento su cosa siamo e saremo. Un’autrice che, prima di parlare del suo eccellente lavoro, si fa trascinare dalla passione, dal senso profondo di un racconto segmentato in dieci episodi di 20 minuti che sono istantanee sull’orrore a portata di mano. Anzi, di click. «Sono tanti, troppi, i motivi e le variabili che portano al revenge porn. Affrontiamo con superficialità il fenomeno, ma può colpire chiunque. Non vogliamo comprenderlo, ma solo etichettarlo per allontanarlo da noi. Io mi sono rifiutata, ecco perché in Nudes non guardiamo solo le vittime, ma anche i carnefici».


Ada e Sofia, violentate nella loro intimità perché troppo fragili, emotive, romantiche; ma anche Vittorio, accecato dalla gelosia. «Serve un’educazione alla gestione dei sentimenti tra e degli adolescenti. Quella di Vittorio – un carnefice a cui devi voler bene se non vuoi cadere nella facile e vuota condanna, perché non è un mostro ma l’inequivocabile conseguenza di un sistema cannibale – è l’incapacità di far fronte a un sentimento normale e sano per un adolescente, la gelosia, che però sfugge al suo controllo». Nudes è Summertime, SKAM Italia, Baby, che non pretendono di guardare dall’alto i nostri ragazzi, è uno sguardo alla pari sul nostro futuro. «Per me era fondamentale non mettermi un gradino sopra. Finché mia figlia Lucy non è diventata più alta di me, quando rientrava mi mettevo davanti alla porta in ginocchio. Così che potessimo stare alla stessa altezza. Ho fatto lo stesso con Nudes, volevo la macchina da presa addosso ai protagonisti, anche rischiando i fuori fuoco, volevo essere tra loro». Una Kechiche all’italiana. E ci riesce benissimo.

«Durante le scene delle feste, con l’operatrice ballavo anche io in pista urlando: “Più lingua, voglio vedere la carne!”, non pensando che il girato finiva in Rai! E, contro ogni possibile stereotipo, ne sono stati felici. Dovevo essere una di loro. Ecco come sono stati possibili i venti battesimi di chi non ha mai recitato: nonostante avessimo in media massimo due ciak per scena, non potevo che fare così. E poi io sono così, di istinto e di pancia. Non amo la dittatura della sceneggiatura – e quella di Nudes, firmata da Canonico, Menduni e Fabbroni, è molto bella – né l’assolutismo della visione del regista, è fondamentale che si senta il mondo, il senso della storia. Io do ai ragazzi un cappottino, quando capiscono come gli sta possono portarlo ovunque e su tutto. Devi entrare dentro di loro, il resto conta poco». E, piccolo miracolo, Laura Luchetti ha potuto fare questo con la massima libertà. «La fortuna è che Rai e Bim mi hanno lasciato totalmente libera, anche di modificare a volte la sceneggiatura, non ho avuto paletti. Riccardo Russo in primis, il miglior produttore che abbia mai avuto: merito suo la location, la provincia emiliana, Casalecchio di Reno, San Giovanni in Persiceto e Bologna. Ho voluto che non ci fosse la cartolina, il porticato bolognese, ho preferito muovermi tra archeologia industriale e scenari unici ma universali, per me la geografia cinematografica deve essere prima di tutto dell’anima. E che bello, diciamolo, uscire per una volta dal solito triangolo Milano, Roma e Napoli!».

A partire dal casting. «Io faccio tutte le interviste dei casting, nella mia carriera ho sempre avuto un tempo limitato per trovare e capire chi potesse raccontare con me le mie storie. I miei provini finiscono sempre in lacrime, perché sono costretta ad andare su terreni minati, devo farli confidare e mostrare loro e a me stessa quella porta che poi varcherò sul set. Nicolas Maupas, Fotinì Peluso, Giovanni Maini sono giovanissimi pur se già ottimi attori, ma per loro è valso lo stesso processo, forse anche per questo siamo diventati un gruppo incredibilmente unito. Devi vedere come loro, devi aprire quel varco che ti permette per un attimo di vedere quella cosa davanti che hanno solo loro, il futuro. Come il tombarolo nella necropoli etrusca che per un minuto, unico e irripetibile, scorge tutto com’era prima che evapori. Sono fiera del casting perché abbiamo dato un tocco più sensuale e completo dell’originale norvegese, dove erano tutti bianchi, scandinavi e borghesi. Qui ci sono seconde generazioni, c’è il punk, il new rock, il gender fluid. Ho lasciato al costumista – un trentunenne bolognese che prende in prestito i vestiti dagli amici – libertà totale, la fotografia è curata da una donna meravigliosa che ha vissuto in Messico per una vita, serviva uno sguardo altro». Su tre esistenze, su tre linee narrative, ognuna con una sua cifra estetica, creativa, antropologica.

E musicale. «La colonna sonora è stata scritta da Francesco Cerasi, un mio collaboratore stimato e fedelissimo, c’è in tutti i miei lavori. È stato un elemento fondante della serie, ne abbiamo parlato prima di tutto il resto, volevo che ci fosse un sottotesto tensivo perché, pur essendo il mio lavoro giovanile e giovanilistico, ci doveva essere sempre un elemento dark sotto, un tono scuro che quasi facesse presagire il male che potesse portare un click sbagliato, magari fatto con leggerezza. Ecco il motivo dell’uso della musica elettronica. Abbiamo usato sempre la sua musica sul set, in particolare durante le feste mandavo i suoi provini e li ho dati agli attori prima delle prove. Ha composto tutti pezzi originali per noi – anche il jingle sul titolo è suo – e in più abbiamo avuto Gazzelle, che ha composto per noi il brano Un po’ come noi, che va sui titoli di coda di ogni episodio (e il suo video ha le nostre immagini in esclusiva). Poi ci tengo a citare gli Underlou, bolognesi, che suonano due canzoni nell’episodio di Vittorio, due ragazzi giovanissimi uno dei quali è diventato maggiorenne durante la lavorazione della serie. E uno dei loro pezzi, Mud, il mio preferito, torna nell’episodio in vari flashback. Uno dei tanti battesimi di Nudes di cui vado orgogliosa: sono bravissimi, ci siamo innamorati tutti di loro, il cast, i tecnici, io». E la musica ha accompagnato Laura Luchetti pure per trovare il mood giusto: oltre a loro e ai provini dell’autore della colonna sonora, «nelle orecchie avevo la rapper e cantautrice Azealia Banks, gli Still Corners e Bianco, una delle mie ultime passioni. E King Krule, credo di essere stata la prima a sentirlo in Italia».



Nudes è un viaggio in tutto ciò che volutamente ignoriamo degli adolescenti – gusti musicali compresi – e che invece dovremmo sapere. Ed è una serie terribilmente sexy, lucida, emozionante, dolorosa. «Come loro. Dovremmo proteggerli, questi ragazzi. Dovremmo aiutarli, e invece gli stiamo rubando il futuro ostinandoci a non volerli conoscere davvero. Pensiamo al revenge porn come un problema solo loro, ma lo vogliamo dire quanto eravamo promiscui noi? Ci siamo salvati solo perché non avevamo questa disponibilità di mezzi e di canali di comunicazione. Loro vivono un’età così in mezzo a pericoli che noi neanche immaginavamo, con tempi supersonici, mentre noi avevamo ritmi più rallentati e sicuri». Insomma, chi non guarderà Nudes è complice.

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