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Milla for (p)resident

Abbiamo incontrato Milla Jovovich e Paul Anderson, star e regista di “Resident Evil 6 , The Final Chapter”, che ci hanno raccontato il capitolo definitivo di una saga che ha fatto innamorare molti (loro due in primis)

Milla Jovovich is back! Ritorna in Resident Evil: The Final Chapter – sesto capitolo della serie, al cinema da oggi – al fianco del marito Paul W.S. Anderson, regista e sceneggiatore dell’ultimo film del franchise. Due cose da sapere: ambientato dopo il precedente Resident Evil: Retribution, The Final Chapter ripropone Alice/Jovovich (gnocca D.O.C.), che, per salvare l’umanità dalle forze del male della Umbrella Corporation (ricordate?), deve ritrovare le abilità sovrumane perse nel film precedente e quindi è costretta a tornare a Raccoon City, dove è iniziato il tutto (e se non ricordate, correte a rivedervi tutti gli altri film). Nel cast anche la biondissima Ali Larter (Heroes), Iain Glen (Il trono di Spade) e le nuove aggiunte, la tatuatissima Ruby Rose (Orange Is the New Black) e la modella giapponese Rola.

«Sono passati 15 anni dal primo film», mi racconta Milla, «Alice è cambiata molto, è cresciuta sia come donna che come killer. Come attrice è molto interessante poter interpretare lo stesso personaggio in film diversi, perché impari ad avere con lei una relazione simbiotica. Ho iniziato ad ascoltare anche la sua voce, dandole la possibilità di evolvere, cercando di plasmarla senza che la mia personalità diventasse troppo dominante. Alice è stata molto importante per me, non mi sarei mai immaginata che un film avrebbe potuto cambiare così drasticamente la mia vita. Grazie a lei ho conosciuto mio marito e dalla nostra unione sono nate due figlie. È stata davvero un’avventura, peccato che sia arrivata alla fine».

Ritornando a Raccoon City, Alice scoprirà anche molti elementi misteriosi rimasti finora inspiegati. «Per Alice è un ritorno non solo fisico, ma un viaggio emotivo», si inserisce Anderson, «è un viaggio alla scoperta della verità su se stessa, il perché della perdita di memoria, lo scopo finale della Umbrella Corporation, la sua relazione con la Red Queen, tante cose che non sono mai state spiegate nella serie vengono chiarite in questo film, molto personale sia per me che per Milla. Ci sono molte idee che avrei voluto realizzare 15 anni fa, ma non avevamo $$ per utilizzare la tecnologia disponibile a quell’epoca. Prendi per esempio The Hive (L’Alveare), di per sé una forza malefica, un ambiente dove nulla è sicuro: mi sono ispirato a classici come Shining e Haunting-Presenze. È un film decisamente molto dark, ermetico, intenso e claustrofobico».

Oltre a padroneggiare arti marziali e ogni tipo di arma psicopaticamente immaginabile, Milla ha anche contribuito a cambiare il panorama dell’eroina femminile a Hollywood. «Adesso ci sono un sacco di ruoli per le donne nei film d’azione, ma quando ho cominciato eravamo solo in tre: io, Sigourney Weaver in Alien e Linda Hamilton in Terminator. Senza dimenticare che questo è stato uno dei primi film tratti da un videogame! Resident Evil è un film iconico, ha riportato in vita il genere horror-zombie ispirato da George Romero, oltre ad avermi dato la possibilità di influenzare una nuova generazione di attrici. È la migliore sceneggiatura che Paul abbia mai scritto: due mesi prima delle riprese, ho scoperto di essere incinta e abbiamo dovuto rimandare le riprese, dando a Paul altri 9 mesi per perfezionare situazioni e dialoghi. Non è stato facile iniziare a lavorare subito dopo il parto, devo ringraziare il mio training in arti marziali… Sono un’esperta di Kali (sistema di combattimento filippino con il bastone, ndr) e di Kukri (lotta nepalese con il coltello, ndr)». E poi mi confessa: «Direi proprio che quest’ultimo film è il mio preferito: è stato scritto e girato come un progetto a sé stante. Ogni film che abbiamo fatto l’abbiamo trattato come se fosse l’ultimo: ecco perché ognuno ha un suo feeling, unico e speciale, e funziona indipendentemente dagli altri».

Anche stilisticamente The Final Chapter è diverso da tutti i film che lo hanno preceduto. «Il precedente era molto stilizzato», continua Anderson, «simmetrico, luminoso, visivamente molto più sci-fi, con parecchio slow-motion. Per questo, invece, volevo avere un look completamente diverso, volevo sorprendere il pubblico con uno stile fresco e nuovo. Abbiamo girato pochissimo su set chiusi, preferendo location naturali, per un realismo più crudo ed essenziale. Non ci sono scene al rallentatore, il ritmo è intenso e veloce, anche se c’è una forte componente emotiva di cui sono fiero. Visivamente è molto diverso, ho deciso di girare con telecamere 2D e poi di fare la conversione di formato in 3D. È la prima volta che sperimento questo sistema e devo dire che il risultato è incredibile. Sono un geek, mi piace usare le nuove tecnologie».

Se ne hai già visti cinque di Resident, perché sei un nostalgico del genere, e ti perdi quest’ultimo film, a Milano si dice che sei un pirla. Non ti meriti nulla.

 

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