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Michela Andreozzi, pop porno

La sua nuova commedia, 'Pensati sexy' starring Diana Del Bufalo e Valentina Nappi, parla di accettazione femminile in chiave porno, ma senza mai indulgere nel morboso. E poi gli inizi a 'Non è la Rai', l'educazione sessuale, le donne nel cinema italiano...

Foto: Emanuele Manco

Gianni Boncompagni lo aveva capito subito. Mentre lei annusava le ascelle delle ragazzine di Non è la Rai (poi ci arriviamo), le si è avvicinato, l’ha fissata intensamente e ha predetto: “Tu devi scrivere”. E allora Michela Andreozzi si è fermata. Già. Anziché bruciare le tappe, arraffare tutto l’arraffabile e volare, come un enfant prodige, nel cielo della tv, Andreozzi ha gentilmente declinato l’offerta di Macao e si è messa sotto a studiare recitazione, regia e scrittura al DAMS e alla Holden, con tanto di «una non ben identificata laurea in filmologia». Solo dopo, quando si è sentita pronta («anche emotivamente, ero molto giovane e ho attraversato una fase di depressione»), si è ripresentata al mondo dello spettacolo. Ha fatto un po’ di Zelig e Colorado, poi la radio, diversi film da attrice, ma soprattutto si è proposta regista quando le donne a farlo erano ancora quattro in croce: «Lo facevano solo Wertmüller, Cavani, Archibugi, Comencini», elenca Andreozzi. «E poi, io: Michela, centravanti di sfondamento».

Oggi è arrivata a quota sette opere: un corto, cinque film e una serie tv (Guida astrologica per cuori infranti), e ciascuna di queste cose è tutto fuorché la solita storiella alla sole, cuore e amore. Soprattutto l’ultima. Il nuovo film di Andreozzi è Pensati sexy, su Prime Video dal 12 febbraio, e parla di accettazione femminile a colpi di… porno. La protagonista Maddalena, interpretata da Diana Del Bufalo, impara infatti a volersi bene grazie a un singolare spirito guida: la pornostar Valentina Nappi, qui nei panni della sua disinibita coscienza. La retorica è (quasi) zero, così come la morbosità. Nonostante la singolare co-protagonista e l’immaginario da lei evocato, la battuta che vi scandalizzerà di più sarà quella di una mamma, così estasiata dal parto dal voler “cucinare la propria placenta”. Fate voi…

Come ci sei riuscita?
A fare cosa?

Be’, parli di sesso, corpo, amore e porno senza indulgere nel morboso.
Ho usato la fantasia. Per non scadere nel morboso, dovevo trovare delle soluzioni creative. Da qui, per esempio, l’idea di fare quella sequenza in stop motion dove dei pupazzetti all’uncinetto fanno sesso tra loro, in diverse posizioni. In fondo, tutti noi abbiamo fatto fare i primi rapporti sessuali a Barbie e Ken, ma pure a Barbie e Barbie o Ken e Ken: i miei hanno fatto delle ammucchiate bellissime. Quindi non c’era nulla di pruriginoso in questa scelta registica. Era una scena che rievocava l’ingenuità della protagonista e la nostra infanzia. Ma la vuoi sapere una cosa divertente?

Dimmi.
Ogni pupazzetto aveva in dotazione un set di peni di misura diversa! Me ne hanno consegnata una scatola piena!

Mi ha colpito molto anche il look di Valentina Nappi: dai vestiti capisci immediatamente il suo mestiere, ma non risulta volgare. Una scelta di campo?
Sì, anche se in realtà lei non è mai volgare. Il lavoro che abbiamo fatto in Pensati sexy è stato renderla ancora più iconica: doveva incarnare il lato forte della protagonista. Che poi era anche una richiesta di Valentina.

Valentina Nappi in ‘Pensati sexy’. Foto: Prime Video & Amazon Studios

In che senso?
Prima di accettare mi ha chiesto due cose. La prima era (cito): non apparire “come una f*ga di legno”, ossia non tradire il percorso di emancipazione che sta portando avanti da anni. Come saprai, lei si batte per promuovere un’immagine della donna che sia soggetto e non oggetto del porno. Che poi è anche il senso del mio film: accettarsi ma anche imparare a essere un soggetto della propria vita.

Qual era la seconda richiesta di Nappi?
Desiderava fare delle letture a tavolino prima di girare. E noi, già che c’eravamo, l’abbiamo sfruttata come consulente. Per esempio, c’è una scena dove la coscienza illustra a Maddalena le varie tipologie di donne che animano il mondo del porno: le milf, le over 60, eccetera. Era un modo per dimostrarle che tutte le donne sono desiderabili indipendentemente dal loro aspetto. Poi però nel film lo spirito guida chiosa: “Gli uomini hanno bisogno di indicazioni pure per farsi una sega”. Ecco, questa battuta è proprio Valentina in purezza!

È stato complesso gestire due personalità forti come Nappi e la protagonista Diana Del Bufalo?
No, ci siamo e si sono prese all’istante. Sono entrambe due ragazze molto dolci, vere, genuine: sono così come le vedi, anche se caratterialmente agli antipodi. Diana vive tra le nuvole, è spontanea, esuberante, mentre Valentina è molto riservata, con i piedi piantati per terra, una donna che riflette sempre prima di parlare. Potremmo dire che una è un cucciolo di cane e l’altra un cucciolo di gatto. Che però si adorano. È come se fossero cresciute insieme.

Valentina Nappi e Diana Del Bufalo in ‘Pensati sexy’. Foto: Prime Video & Amazon Studios

La provocazione del film è chiara: la pornostar come spirito guida è un’iperbole. Tuttavia il terreno in cui ti sei avventurata è scivoloso: per molti il porno è uno di quei mondi che promuove la violenza sulle donne, oggettificandole. Cosa replichi?
Dico che è vero, ma vale solo per un settore del porno. Esiste una pornografia violenta che promuove una narrazione abusante dell’uomo sulla donna, ma c’è anche un porno più ludico. Nappi, per esempio, si autoproduce, e sceglie lei cosa fare e con chi. A mio avviso è giusto rivendicare una sessualità delle donne e sdoganare che a volte usano il porno come strumento di eccitazione con il proprio compagno.

Oggi si dibatte molto su come regolamentare l’accesso ai porno, per via dell’abuso da parte dei ragazzi: che ne pensi?
Credo sia giusto. Il punto non è però mettere le mutande alle albicocche perché sembrano delle chiappe: il paletto di per sé non basta. Il vero problema è che i ragazzi arrivano al porno privi di un’educazione sentimentale e sessuale. Solo se ce le hai capisci che quello che vedi lì non è ciò che normalmente si fa in camera da letto. Lo snodo è tutto qui. Per dire, se vedo Mission: Impossible non mi lancio dall’elicottero, perché so che sarebbe pericoloso. Posso raccontarti un’altra cosa?

Vuoi tirare fuori le Barbie?
No, le suore.

In che senso?
Negli anni ’80 io andavo a scuola dalle suore e il mio professore di biologia ci faceva lezione di educazione sessuale. Ognuno di noi aveva un quadernetto che si chiamava Io sono l’ovaia di Giovanna e Io sono il testicolo di Gianni. Erano insegnanti illuminati che ci spiegavano tutto, precauzioni sessuali comprese. Ed erano gli anni ’80! Ecco, è questo che manca oggi.

Veniamo a te. Dopo sette titoli da regista e sceneggiatrice, possiamo dire che aveva ragione Boncompagni?
Di sicuro non sono mai stata la mia attrice preferita.

In che senso?
Ma sì, ogni volta che ottengo una parte e leggo il copione penso sempre: “Questa Carlotta Natoli l’avrebbe fatta meglio”. Sono fatta così, mi accompagna un’insicurezza atavica, e forse anche per questo mi sono rivista nella protagonista di Pensati sexy. Io ho più di cinquant’anni, appartengo alla Generazione X, quella dove, da adolescente, dovevi essere bella per forza: una vera schiavitù. Gianni è stato bravo a intravedere le mie qualità. Quella di Non è la Rai è stata una vera e propria scuola per me. Ricordo che lui diceva: “Noi facciamo il nulla, ma dobbiamo farlo meglio di tutti”. Il suo era un racconto proustiano delle ragazze in fiore.

Michela Andreozzi sul set con le protagoniste. Prime Video & Amazon Studios

Qual era la tua mansione?
Stavo dietro le quinte. Avevo diversi compiti all’interno della redazione, tra cui annusare le ascelle delle conduttrici… scherzo, non era proprio così! Diciamo che dovevo controllare che fossero depilate e mai sudate perché altrimenti si sarebbe visto l’alone sui vestiti. E poi aiutavo Sabrina Impacciatore con la sua Posta del Cuore e cantavo al posto delle ragazze: ne doppiavo sette, cambiando ogni volta la voce, per un totale di ben tre dischi incisi di Non è la Rai.

Oggi molte attrici tentano il salto della regia, ma solo tu hai osato farlo nel 2014 quando ancora il settore era tutto al maschile. È stata dura farsi largo?
In realtà la parte difficile è stata convincere… me stessa. Come ti dicevo, all’epoca ero praticamente una delle poche donne del DAMS. Quindi mi sono mossa per gradi. Prima ho iniziato a collaborare con altri, scrivendo i dialoghi per Fausto Brizzi e poi per Massimiliano Bruno. Dopodiché ho tentato il passo del cortometraggio. Lì ho capito che tutti i miei difetti – sono una control freak, impicciona, onnivora, probabilmente molesta nel mio interessarmi di e a tutto – si trasformavano in virtù sul set. D’altronde pure Gabriele Salvatores disse che la sua ossessività si placa quando gira un film, perché diventa utile. Quindi mi convinsi e andai a cercare i produttori Isabella Cocuzza e Arturo Paglia della Paco Cinematografica, con i quali avevo lavorato, come attrice, per Basilicata coast to coast. Ho portato loro il soggetto e mi hanno detto subito sì: evidentemente c’era un vuoto concettuale tra le donne e la commedia. Quindi, che dire? Dovevo solo deciderlo io. Una volta che l’ho fatto, ho trovato subito spazio. Noi donne siamo così: ci domandiamo tremila volte se siamo all’altezza, se ce la faremo…

Il successo di C’è ancora domani di Paola Cortellesi rappresenta uno spartiacque?
Per forza, il film è talmente bello e acuto che ha aperto le cataratte, ha dimostrato che i tempi sono maturi perché il mercato sia più equilibrato. Ora secondo me saremo considerate per la qualità del nostro lavoro di registe e non per la mera appartenenza di genere. Mo’ quindi arriveranno le note dolenti!

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