Massimo Ceccherini oggi ha sessant’anni e la prima cosa che dice è: «Sono vivo, ed è già un jolly». Lo esclama con quella voce un po’ sghemba di chi ne ha viste troppe per prendersi sul serio, ma abbastanza per non fare più la vittima. D’altronde, uno che nasce senza foto («forse non sono mai nato davvero»), cresce nei fossi a inseguire le lepri, si porta dietro il trauma di quando «rimasi chiuso in casa un mese per la vergogna» perché non ammesso all’esame di terza media, dopo anni di eccessi non poteva che definirsi L’uomo guasto, come nel libro autobiografico uscito per Paper First.
È qui che racconta anche i momenti più bui della sua esistenza, fino all’attuale rinascita. Nel mezzo, con il giornalista Luca Sommi, ripercorre il rapporto con un padre che gli lascia una sola, potentissima lettera («soffriva del mio dramma alcolico»), un’adolescenza da bruttino che fa ridere suo malgrado («con i belli bisogna resistere, poi arriva la vendetta»), e l’approdo nel mondo dello spettacolo attraverso «la mia natura, che è rappresentata dalla mia faccia».
Così scorrono i film con Pieraccioni («se si chiamasse Leonarda, saremmo sposati con figli»), Paolo Villaggio “mummificato” dopo una notte di baldoria, i night con «le donnine da scartare come caramelle», la discesa agli inferi: «Locali, bevute, sniffate nei gabinetti sudici e in casa un secchio pieno di piscio». C’è persino lo psicologo che, invece di curarlo, gli propone di seguirlo in una “nottatina”. E intanto il gioco d’azzardo gli mangia tutto: «Se perdi poco o tanto, le emozioni rimangono identiche».
Nel frattempo, la “bestia” gli rode dentro, lo porta quasi alla morte, e ora la tiene a bada grazie alla moglie Elena e al cane Lucio, «angeli mandati da Dio» che lo rimettono in sesto a suon di cazzotti e carezze. Adesso, dopo la co-sceneggiatura di Io capitano con Matteo Garrone («la mia fatina») candidato agli Oscar e il «librino» di cui si vergogna «perché non ho mai letto un libro», ci racconta tutto sorridendo in questa intervista. E godendo ancora per ogni risata del pubblico.

La cover del libro L’uomo guasto (Paper First)
Chi è oggi Massimo Ceccherini?
Intanto sono vivo, che è già un jolly per la vita che ho fatto. Senza stare a fare troppo le vittimelle, il mio conto da pagare per ora è basso. Quindi posso essere contento. Ho 60 anni e mi sento più in forma adesso di quando ne avevo 40. Perché prima ero infognato.
Nella prefazione Luca Sommi racconta che non esistono foto della tua nascita. E tu scherzi: «Forse non sono mai nato davvero».
No, non ci sono foto di quando sono nato o da neonato. Le prime sono di quando avevo 6-7 anni a scuola, ma pochissima roba anche di quel periodo. Bisognerebbe domandare perché a mia mamma. Anch’io, quando ho provato a chiederglielo, non ci ho ricavato granché. Invece di mia sorella, nata prima di me, c’è pieno di foto. È un grande mistero.
La tua infanzia è stata particolarmente selvaggia: «Inseguivo le lepri, salivo sugli alberi, mangiavo frutta fino a sentirmi male». Molto diversa da quella dei bambini di oggi.
Non voglio fare il nostalgico, di quelli che “oggi è meglio di ieri”, perché il passato ci sembra sempre più bello visto che eravamo giovani. E certe cose di oggi non ci piacciono per lo stesso motivo. Quando ero bambino io c’erano già gli anziani che sostenevano: «Prima era meglio». Comunque sì, ero sempre nei campi, tornavo tutto sbucciato dopo aver fatto le bandette con gli amici. Forse oggi, a stare tutto il giorno in casa, si conoscono tante cose ma se ne perdono altre più umane. Ma vedendo come sono ridotto ora, forse era meglio se stavo un po’ più in casa. A parte le battute, qualsiasi cosa hai fatto da ragazzino è bella per forza.
Tuo padre era un uomo silenzioso, ma un giorno spunta una lettera: «Era la prima volta che vedevo la calligrafia del mio babbo, soffriva del mio dramma alcolico».
Il dialogo con lui era particolare. A volte, anche senza parlarsi, non si sta male. Sono sempre stato bene con i miei genitori. A furia di avvelenarmi con l’alcol, però, alla fine lo hanno capito. Essendo conosciuto, poi, gli andavano a riferire quello che facevo in giro. Ma siccome il mio babbo era uguale a me, forse per timidezza non mi ha detto niente di persona. Infatti è stato un grande sforzo inserire nel libro quel passaggio, perché davvero non avevo mai visto la scrittura del mio babbo. E leggere quelle sue parole è stato un colpo molto forte, ma in senso positivo. L’ho interpretato come un regalo enorme. Gli amici ti possono aiutare, ma i genitori, se arrivano con una cosa del genere… è qualcosa che ti rimane dentro. Così, ogni volta che andavo ad avvelenarmi, mi tornava in mente e mi spingeva a frenare.
Arriveremo al tuo rapporto con i night, e quindi con le donne a pagamento, ma qual è stata la tua prima esperienza con una ragazza senza bisogno di pagarla?
La prima trombata? Non me la ricordo. È come le foto da bambino. Mi ricordo le donne con cui sono stato, ma non mi ricordo la prima. Un altro mistero. Per le foto da bambino si può chiedere alla mia mamma, per la prima foto della mia trombata non saprei a chi chiedere.
Ma com’è che il figlio di un imbianchino, a un certo punto, ha aspirazioni artistiche?
Non ho mai avuto la chiamata per il mondo dello spettacolo. Io a scuola, già a sei anni, interrompevo le lezioni montando sopra il banco o la cattedra per inscenare degli spettacoletti. E venivo punito. Stessa cosa fuori da scuola. Non volevo fare l’attore e non erano per forza spettacoli, ero un capobanda delle marachelle. Tutte cose per prendere la vita a ridere, non uno che spingeva a fare le rapine.
Eppure, nel libro ammetti: «Avevo intrapreso quella stradetta. Cominciai a rubacchiare».
In un periodo della mia giovinezza avevo intrapreso quella stradetta, che per fortuna si è interrotta subito. Fa sempre parte di quella fiaccolina, un po’ come per gli eccessi con droghe, alcol e per le scommesse ai cavalli, alla fine il meccanismo è sempre quello. Visto che non arrivo mai fino in fondo a niente, per fortuna mi sono fermato prima di entrare in brutti giri. Da un lato è negativo, perché mando tutto a puttane prima, dall’altro mi ha bloccato dal trasformarmi in un ladro quando, da ragazzino, avevo cominciato a rubacchiare.
Chi ha questa fiaccolina di mettersi al centro dell’attenzione, di solito ha tre strade: lo spettacolo, l’illegalità o la politica. Quest’ultima, però, non mi pare ti abbia mai attirato.
No, perché io seguo la mia natura. Che è rappresentata dalla mia faccia. Non è che ne fossi fiero, anzi. Invidiavo gli altri ragazzi belli, precisi e pettinati. Io invece ho sempre avuto una faccia che da ragazzino non è tanto un bene. Non rimorchi le ragazze e gli amici belli ti pigliano per il culo e ti fanno venire dei complessini. Facevo ridere per l’aspetto fisico, anche involontariamente. All’inizio non è che mi piacesse. Poi, tirando fuori quella cosa interna che non mi spiego, invece di accusare il colpo reagivo e prendevo il sopravvento con l’ironia. Io sono convinto che, se ho fatto quello che ho fatto nel mondo dello spettacolo, lo devo molto alla mia natura fisica. Non ho studiato, non mi sono impegnato, sono solo uno dei tanti grulli. Ma non nascondo il godimento di fronte al pubblico che ride, è impagabile. Viceversa, nei fallimenti amplifico molto la sofferenza. Mi torna a galla la presa per il culo dei belli.
Il successo è stata anche una rivincita?
Voglio dare un consiglio ai ragazzini bruttarelli, lo stesso che ho dato a me stesso. Quando ti prendono per il culo bisogna resistere, perché poi, con il trascorrere degli anni, verso quelli belli arriva come una sorta di vendetta. Ho incontrato di recente amici che da giovani erano belli e ora sono brutti. Io, invece, anche se sono sempre brutto, sono ormai forgiato alla sofferenza in questo “settore”, perché sono allenato a essere considerato brutto e patisco meno. Loro che erano belli ora non sono abituati a passare per bruttarelli. E lì arriva il momento per vendicarsi.
I tuoi esordi sono con Alessandro Paci, con il quale formate i Duemendi.
Ecco, per esempio il Paci, quando eravamo agli inizi, rimorchiava sempre. Era bellino, somigliava al primo Jovanotti. Non sai quante volte, viaggiando per fare cabaret in giro per l’Italia, ci davano una stanza d’albergo insieme per risparmiare, e io ho patito nottate intere di lui che si portava le ragazze a letto. E a me toccava dormire accanto a loro, da solo, mentre lui mi sbeffeggiava pure. Adesso lo vedo invecchiato più di me. Non ci andiamo, perché ormai siamo tutti e due sposati, ma se dovessimo rimorchiare ora me la giocherei alla pari.
Perché, dopo gli inizi insieme, Paci non ha avuto la tua stessa traiettoria nel cinema?
Dovremmo chiederlo a lui, anche se dimostra che ognuno fa quello che la natura e la fortuna permettono di fare. Non è detto che tutti si abbia gli stessi risultati. Il nostro spettacolo a teatro era un capolavoro. Al cinema o in Tv puoi fare tante cose e magari niente lascia il segno, o fare una parte e rimanere nella memoria. Io fino a pochi anni fa ero finito, anche per colpa mia. Non piangevo tutti i giorni perché non mi chiamava nessuno. Ho fatto delle cose, se non fossi tornato a farle mi sarei rassegnato. Ero ridotto male e mi davo completamente la colpa. Ma finché sei vivo, all’improvviso, delle cose inimmaginabili possono sempre accadere. Come la collaborazione con Garrone.
A Garrone ci arriveremo. Ma ti aspettavi di scrivere un libro?
Addirittura un libro? Macché! Io lo definisco un librino, perché non mi sono mai vergognato tanto non avendo mai letto un libro in vita mia e senza avere la terza media. Non lo dico per passare da ignorante, lo sono proprio. Certo, “vergogna” fra virgolette. Alle prime dei film ho paura della reazione del pubblico, me ne sto acquattato in un angolo, ma non provo la stessa ansia da prestazione di aver scritto un libro. Poi ci penso e in fondo passa, perché ho raccontato la mia vita, per cui non l’avrei potuta scrivere meglio o peggio. In più farlo mi ha fatto scoprire una teoria tutta mia sulla scrittura dei libri.
A questo punto ti tocca spiegarla.
Le poche volte che mi sono messo a leggere ho capito che poteva essere bellissimo. Come giocare a calcio, che è bellissimo ma io non sono capace. Una sola volta ho letto un libro. Ero a San Francisco, perché avevo seguito una donna, e non capendo niente di quello che dicevano in Tv ho letto un libro, Tropico del Cancro di Henry Miller. Abbastanza stuzzicante.
Ma la tua teoria sulla scrittura?
Ah sì, m’ero perso. Questo librino, se lo stacco dal discorso editoriale, mi ha fatto scoprire una specie di cura. Avevo già partecipato alla scrittura di un film, ma sempre insieme ad altri. Il mio ruolo era più parlare, recitare e suggerire, mentre altri scrivevano. Stavolta, andando a pigiare sulla mia “bestia”, che mi tiene compagnia fin da ragazzino, mi sono accorto prima di tutto che il tempo vola. Mi mettevo a scrivere al mattino, credevo fossero passati cinque minuti e invece era già sera. Ma più importante è l’effetto. Come quando fai una camminata dopo che non la fai da tempo, torni a casa che ti sembra di avere vent’anni di meno. Non solo, perché ho parlato anche in Tv o nei podcast dei miei problemi, solo che non mi dava lo stesso effetto. Questo è più simile ad andare da uno psichiatra. Infatti, alla fine, è più la voglia di continuare che quella di smettere. Scrivendo, in pratica, lotti direttamente con la “bestia”, che ha provato diverse volte a farmi smettere con dei veri e propri boicottaggi.
Una battaglia vinta?
Mi ritrovo con questa cosa scritta, che mi fa sentire di aver vinto un altro round. Per questo dico che chi è nelle mie condizioni farebbe bene a scrivere quello che gli succede, più che ad andare in Tv o nei podcast. Quando ne parli di persona, a un certo punto torna quasi la voglia di bere e drogarsi. Mentre se uno scrive la storia per conto suo, l’effetto è diverso. E non dovrebbe per forza pubblicare un libro, l’importante è proprio farlo per sé.
Chissà che, dopo cabaret, cinema e Tv, non si apra una nuova fase da scrittore.
Ma perché non un Massimo Ceccherini scrittrice? Io sono donna dentro. Brutta, ma donna.
Poi arriva il cinema, con film come Cari fottutissimi amici di Monicelli, dove incontri Paolo Villaggio e, dopo un po’ di diffidenza, ci passi una nottata folle di eccessi e lo porti a casa in taxi “mummificato”. Con quanti altri hai fatto baldoria nello spettacolo?
Non per forza del mondo dello spettacolo, perché non lo facevo apposta in quell’ambiente, ma solo con quelle esperienze potrei scriverci altri cinque o sei librini. Se ci fai caso, però, come nell’episodio con Villaggio, sono storie che, dopo aver sorriso, nascondono grande tristezza. Come i film comici, che se hanno una vena malinconica sono anche più belli. Adesso ci ridiamo perché sono vivo. Ma allora questi episodi erano squallidi, sempre per colpa mia.
La droga nel mondo dello spettacolo è così presente o è una leggenda?
A me non hanno mai offerto chissà cosa. Tra l’altro il mio avvelenamento parte da molto più lontano, da quando ero ragazzino. A chiunque può capitare, visto che siamo inondati da questi veleni, tra droga e bevande alcoliche. Sulla droga offerta nel mondo dello spettacolo, mi viene in mente la leggenda che i genitori dicevano ai bambini: all’uscita da scuola non accettate le caramelle dagli sconosciuti. In questa società non c’è bisogno di offrirti la droga. Mi sembra un po’ la logica dell’allevamento di trote, dove ti danno da mangiare un certo mangime e alla fine, a furia di mangiare solo certe cose, ti ritrovi a cadere nel retino.
Un po’ come il gioco d’azzardo, visto che le pubblicità mascherate sono ovunque.
Se entri in una tabaccheria è come essere in un casinò. In Tv o nei podcast è pieno di spot di scommesse. E poi, caso strano, a parlare in pubblico è soltanto la vittima. Io non sono neanche così convinto che esista la ludopatia come malattia, mi sembra un modo per allontanare la colpa. Io vedo che vogliono tenere in giro un veleno potentissimo, che se non viene tolto o limitato prima o poi chiunque può esserne intossicato. Com’è che non va mai in Tv a parlare chi ha inventato le slot machine e si vedono solo quelli che hanno perso tutto?
Con i soldi dei film scopri anche il “luna park”, cioè il night: «Quel luogo mi folgorò, l’idea di poter avere una donna semplicemente pagando mi sembrava come essere un bambino al luna park, queste donnine da scartare come caramelle». Se il libro lo leggerà qualche femminista rischi che si possa scandalizzare.
Le capisco, solo che dico tutta la verità. Quando hai 19 anni ed entri in un night è un paradiso, perché vedi tutte donne mezze nude a tua disposizione a pagamento. Se qualche donna dovesse offendersi, allora dovremmo parlare in modo più approfondito del mestiere delle ragazze al night. Non è colpa mia se da ragazzino mi si rizzava il cazzo con un alito di vento. Entrando in un posto dove le donne erano tutte mezze nude, non potevo mica pensare: interessante come situazione, quasi quasi gli propongo una tisana e la lettura della Bibbia. Ora le mie opinioni rispetto al settore della prostituzione sono molto cambiate. Non la penso più come quando avevo vent’anni. Ma in quel momento è ciò che pensavo, visto che per un giovane era davvero il Paese dei Balocchi. Non mi passavano per il capo idee moralistiche.
Subito dopo comincia il tuo girone dantesco infernale: «Locali, bevute, sniffate nei gabinetti sudici, prostitute una sopra l’altra, soldi che scorrono come la merda dal culo». E la descrizione della casa: «Comodino ricoperto di cenere, un secchio pieno di piscio». Ma neanche andare dallo psicologo riesce ad aiutarti, perché dopo qualche seduta, affascinato dalle tue scorribande, ti propone di accompagnarti in una “nottatina”.
Anche in questo caso non dò la colpa allo psicologo. In quel periodo ricordo che ci andavo perché mi aveva obbligato una donna per non lasciarmi. Ma la molla non veniva direttamente da me, per cui non poteva funzionare. La forza per cambiare va trovata dentro di sé. Non a caso capita che, se non trovi quella forza, o vai vicino a morire o proprio ci muori. Non è uno scherzo. Lo psicologo, probabilmente, è stato traviato dal mio modo di raccontare e l’aveva preso come una sorta di cabaret, quindi l’ho invogliato a venire con me. Alla fine, non solo ho smesso di andarci, ma non l’ho neppure pagato perché mi sono giocato tutti i soldi.
Il comico Giorgio Montanini, dopo anni di eccessi e un mese e mezzo di coma, ha spiegato di aver perso 500mila euro. Tu invece quanto hai gettato al vento?
Ecco, vedi, queste sono le cose che mi danno fastidio e che vengono esaltate in televisione o nei podcast. Sembra quasi un modo per fare colpo. Perché se ascolto qualcuno che mi racconta la sua storia tra droga, alcol e gioco d’azzardo e ha speso 6 miliardi, forse mi viene più voglia di provare che di non provare. O sono solo io che ho questa sensazione? Comprare la droga è troppo facile. Se cerchi i funghi porcini, fuori periodo non li trovi. La droga, invece, la trovi in ogni stagione e in ogni angolo. Adesso c’è persino il delivery, non devi neanche uscire da casa. Conosco amici che, insieme a panini e pizze, ordinano quello che vogliono. In questioni così delicate bisogna andare più a fondo, ci girano intorno interessi di miliardi. Invece di far parlare solo le vittime bisognerebbe andare da chi crea questi veleni. E comunque, ho perso più di Montanini. Puoi aggiungere due o tre volte i soldi persi da lui.
Hai spiegato che l’importante è giocare, non la cifra: «Quando vinci è un incidente di percorso, i soldi vinti li rigiochi subito alla ricerca del flipperino».
Se hai cento perdi cento, se hai due perdi due, ma le emozioni rimangono identiche. È l’atto del giocare che crea l’ebbrezza. Sono passato dal giocare cifre enormi al giocare cifre minuscole, ma quando sei infognato va bene lo stesso. Diventa una compagna di vita con la quale convivere. In questo momento l’ho domata chiedendo aiuto a Dio, che mi ha mandato degli incontri che mi hanno salvato la vita. Degli angeli con il compito di proteggermi.
Parli di tua moglie Elena e del cane Lucio?
Sì, ma se sei puro e sincero nel volerne uscire, anche se sei disperato come ero io, e davvero implori Dio, lui ti ascolta. Lo so che a fare questi discorsi rischio di sembrare Paolo Brosio, che è anche un amico, ma non mi piace la moda che se parli dell’importanza che ha avuto per te Dio ti si piglia per il culo. Se ne parli poco ti accettano, se insisti rischi di diventare quello un po’ fissato. E allora ti dicono che hai perso la testa. Ma se è vero che io la “bestia” ce l’ho dentro, secondo me ce l’hanno anche tanti altri. E così le loro si ribellano, per cui devo lottare anche con la loro “bestia” e non solo la mia.
Da Pino nei Laureati a Libero nel Ciclone di Pieraccioni, passando ai tuoi film da regista, Lucignolo e Faccia di Picasso, fino a Max in Viola bacia tutti di Veronesi o la Volpe in Pinocchio di Garrone, qual è l’interpretazione migliore di Massimo Ceccherini?
A queste domande fatico a rispondere. A me già la parola “interpretazione” fa l’effetto del libro, che mi vien da chiamare al massimo librino. Ho fatto dei film belli, ma altri molto brutti. Non riesco, anche se ne ho fatti tanti, a considerarmi un attore. E quando mi parlano di cinema riferendosi a me, provo una certa timidezza. Ho fatto un po’ di tutto, ma l’unica cosa che posso dire è che, dopo aver fatto qualsiasi cosa, se alla fine il pubblico ride io ci godo. A volte mi fermano in giro e mi ricordano delle battute, e non per forza che vengono da prodotti artistici di alto livello. Anche perché chi è che certifica l’alto e il basso? Ci sono stati tanti attori bistrattati in vita e rivalutati in morte dai critici, invece il pubblico li ha sempre amati. Il pubblico sa cosa vale e cosa non vale, e lo si può verificare nelle reazioni per strada.
E la Tv che cosa ha rappresentato per te?
Bravo, qui volevo arrivare. Nella televisione marcetta che ho fatto, tipo Isola dei famosi, quando involontariamente mi è scappata una bestemmia fui cacciato da quel mondo di merda neanche avessi ucciso qualcuno. All’inizio non mi ero neanche reso conto, perché non ero in studio ma su un isolotto. Quando sono tornato, le reazioni in quell’ambiente mi hanno fatto molto male e ho rivissuto i tempi della scuola, di quando non mi ammisero all’esame.
Parli dell’esame di terza media: «Quando non fui ammesso all’esame rimasi chiuso in casa un mese per la vergogna».
Stessa cosa dopo la bestemmia all’Isola dei famosi. Ma quando cominciai a uscire per strada, incontrai la gente e nessuno che mi abbia giudicato per quella cosa là. Le persone mi volevano bene tanto quanto prima, li avevo fatti ridere, e quelle reazioni mi hanno fatto tornare in forma. Per cui, di ogni cosa che ho fatto, se la gente si diverte è l’unico premio. Se devo essere sincero, io non stavo male neanche a lavorare come imbianchino. Solo che poi c’è qualcosa che si chiama destino, ho vissuto dei sogni e non mi lamento di certo.
Il rapporto con Leonardo Pieraccioni lo definisci quasi “sessuale”, ma lui spesso sui social pubblica tuoi video o foto e ti prende in giro. È goliardia toscana?
Leonardo dimostra che nella vita non sono importanti solo i rapporti di lavoro, ma soprattutto quelli di amicizia. Nel mio momento di avvelenamento è la persona che mi è stata più vicina e che ha tentato in tutti i modi di aiutarmi. Definirlo un amico sarebbe persino poco. E mi prende in giro sui social perché non può stare senza di me. Se invece di Leonardo Pieraccioni si fosse chiamata Leonarda Pieraccioni, forse ora saremmo sposati e con figli. Non è un rapporto omosessuale, ma c’è un’attrazione molto forte. Sua verso di me, sottolineo, io ce l’ho anche con altri. Se ci fossimo fidanzati, l’avrei fatto soffrire. Quindi, essendo innamorato, non resiste a prendermi per il culo sui social perché mi pensa sempre.
Poi arriva il passaggio della tua vita artistica che meno ti saresti aspettato: nel 2023 sei co-sceneggiatore di Io capitano, di Matteo Garrone, candidato agli Oscar.
Lui è arrivato dopo il mio incontro con Dio, attraverso Elena e Lucio. Intanto ci tengo a dire che lo reputo uno dei più grandi registi italiani. Già ci conoscevamo, ma lui conosceva bene anche la mia “bestia”, quindi non ci vedevamo. Quando invece ci incontriamo, non a caso è per Pinocchio, e Garrone diventa la mia “fatina”. La nostra amicizia, prima lieve e frastagliata, dopo quel film è esplosa in qualcosa che ci ha fatto innamorare amichevolmente.
Una carriera segnata più dagli “amori” maschili che femminili.
Non conta che dall’altra parte ci sia un uomo o una donna, tanto che la mia storia d’amore più grande di questi anni è con Lucio, il mio bambino-cagnino. Pensa che non ho mai avuto un cane prima di lui. Con Lucio è sbocciato un amore gigantesco. Così con Matteo è scattato un feeling tale da scardinare le regole tra regista e sceneggiatore, semplicemente ci garba stare insieme e quindi viene tutto più naturale. Nel mondo dello spettacolo, che mi fa cagare chiamare così, ci sono tanti modi per lavorare. Puoi fare le marchette come routine, mentre in questo caso non è così. Ma è stare con un amico, appassionarsi fino a scrivere Io capitano, un film che sembrava lontano anni luce da me.
Senti, ma a livello comico, visto che imperversa la stand-up comedy, non ci hai mai pensato di prendere un microfono, salire sul palco e fare un monologo?
Già il nome stand-up comedy mi sta sul cazzo. Io ho fatto per anni cabaret con Alessandro Paci, intanto avevo sempre voglia di raccontare cose mie, solo che mi cagavo sotto ad andare a raccontarle sul palco. Poi sono andato ospite al podcast Tintoria, mi erano simpatici Rapone e Tinti, ho cominciato a chiacchierare e ho notato che la gente si divertiva. So che non è stand-up, i monologhi vanno preparati. In questo è un fenomeno Giorgio Montanini, che nominavi. Quando l’ho visto per la prima volta sono rimasto folgorato. Penso che lui sia imbattibile. Non so se sarei adatto, sono uno che si dilunga, tanto che Luca Sommi nel libro mi ha soprannominato Prosopopeo. E magari la gente si rompe le palle.

Foto: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images
Come ha fatto a convincerti Luca Sommi a scrivere un libro?
Be’, un’altra cosa buona di questo libro è che ho trovato un nuovo amico, nonostante io e Luca siamo diversissimi. Prima, quando mi avvelenavo, era difficile per me uscire da un certo tipo di ambienti di gente disgraziata e ridotta come me. Se ti metti con una donna che beve, come fai a smettere? O se stai con persone che giocano, come pensi di uscirne? Luca mi ha portato a casa sua a Parma, ha provato a spiegarmi dei quadri, a me che sono ignorante come una capra. L’imbianchino mi è rimasto addosso, ma nonostante questo, dopo che tengo a bada la “bestia”, faccio degli incontri capolavoro e trovo un feeling diverso con le persone. Come adesso tu che mi intervisti per Rolling Stone quando, fino a poco tempo fa, l’unica cosa scritta che poteva nascere da una delle mie bravate era un verbale dei carabinieri. Che facevano anche ridere, visto che loro trascrivevano tutto quello che dicevo da ubriaco…
Quei verbali, riadattati, potrebbero diventare un tuo prossimo spettacolo o film.
Chissà, per ora prevale la paura di fare delle figure di merda. Conta sempre, stand-up o film, il rapporto con il pubblico. Perché poi, se non dovesse funzionare, ne soffrirei parecchio. Per esempio, con Giorgio Montanini mi piacerebbe girare un film. Siamo stati vicini a farcela, e se non muoio ce la possiamo fare. Nella stand-up Giorgio è il numero uno, ma è anche un attore bravissimo. Lui stesso con gli eccessi ha pigiato troppo il pedale dell’acceleratore, gli auguro che non ci ricaschi. Perché sono cose pericolose. Io tuttora, quando cammino per la strada, ho le sirene che mi risuonano nelle orecchie, e quindi sento sempre il bisogno di essere protetto.
Per ora funzionano le cure drastiche di tua moglie: «Elena è costretta a picchiarmi per cercare di tenermi a bada, mi fa un vero e proprio esorcismo, solo che non mi tira l’acqua santa bensì cazzotti». Quand’è l’ultima volta che ti ha menato?
Ah, vuoi che ci salutiamo con questa domandina un po’ marcetta? Allora ti risponderò in modo poetico, per quel che sono capace di fare: ogni schiaffo di mia moglie è come un bacio con la lingua, di quelli appiccicati e appassionati dove ti scambi l’unguento dell’amore.








