Joel Edgerton non è, come ammette lui stesso, quello che definiremmo un topo da biblioteca. Se questo attore 51enne si mette a leggere qualcosa, con ogni probabilità è per lavoro. È abbastanza fortunato da essere richiesto da decenni, prima nella Tv australiana e poi in tutto, dai prequel di Star Wars ai più intimi character study indipendenti; e di solito è impegnato in qualche progetto in corso anche come sceneggiatore, regista e/o produttore. È un tipo molto occupato. Quelle sceneggiature accumulate sulla sua scrivania non si leggeranno da sole. E poi le librerie lo intimidiscono. Troppa scelta.
Ma Edgerton è anche convinto che l’universo abbia uno strano senso dell’umorismo, e un modo particolare di spingere verso di noi le cose giuste al momento giusto. E se una persona si prende la briga di regalarti un libro specifico, di solito c’è un motivo, anche se non è subito evidente. Così, quando qualcuno gli mise in mano una copia della novella di Denis Johnson del 2011, Train Dreams, subito dopo che Edgerton aveva terminato le riprese del suo dramma familiare del 2018, Boy Erased – Vite cancellate, sentì il bisogno di ritagliarsi del tempo per leggerla. «Spesso regali un libro a qualcuno perché pensi che possa trovarci dentro qualcosa che per lui ha un significato», racconta una mattina di novembre, guardando fuori dalle finestre del 35esimo piano del Mandarin Hotel. «E poi una novella è chiaramente un ottimo regalo. È corta».
Edgerton l’ha aperta il giorno dopo, e si è sentito immediatamente conquistato dalla storia di Robert Granier, un lavoratore migrante impiegato nella costruzione delle ferrovie nei primi anni del Novecento. Non c’era nulla di particolarmente spettacolare o unico in quel personaggio che abbatteva alberi e posava binari nel West americano; era semplicemente un uomo qualunque che contribuiva, un callo alla volta, a costruire il Paese. Granier non uccideva draghi, non guidava eserciti in battaglia, non faceva esplodere Morti Nere. Semplicemente viveva, amava, soffriva, moriva. Fine. E in quella storia solo in apparenza lineare Edgerton vide un mondo completamente diverso. Riconobbe una vita di frontiera che somigliava alla sua infanzia nel nord-ovest di Sydney, in una zona rurale sul limitare di un parco nazionale. Ci vide suo nonno e suo padre e una generazione di uomini stoici che parlavano poco e contenevano, in qualche modo, moltitudini.
«L’ho semplicemente amato», dice Edgerton. «Quel libro mi ha detto qualcosa, e non so esattamente perché, se non per il fatto che mi è sembrato…». Cerca le parole giuste, le mani che si muovono nell’aria prima di poggiarle finalmente sul tavolo davanti a sé. Poi si aggiusta sulla sedia e cambia improvvisamente direzione. «Lo dico anche del nostro film: non credo che ti dia il senso della vita, per niente. Ma credo che si avvicini al porre buone domande del tipo: qual è il significato delle nostre vite?».
Train Dreams, amatissimo nei festival e arrivato finalmente su Netflix, porta sullo schermo la novella di Johnson seguendo Granier mentre attraversa paesaggi naturali mozzafiato, uno dopo l’altro. Incontra una donna di nome Gladys, interpretata da Felicity Jones, costruisce una capanna nei boschi e mette su famiglia. Il boscaiolo e posatore di binari incrocia di tanto in tanto eccentrici americani: un vagabondo chiacchierone incline a sfoggiare versetti biblici, un vecchio esperto di demolizioni con inclinazioni filosofiche. Granier è testimone di cose tanto belle quanto orribili, conosce la pace e attraversa una grande tragedia. È, con ogni probabilità, l’interpretazione più significativa di una carriera costellata di intensi ruoli da protagonista (Loving – L’amore deve nascere libero, Warrior, Il maestro giardiniere) e di numerose prove da comprimario più che solide (Animal Kingdom, Black Mass – L’ultimo gangster, Zero Dark Thirty). E, nel modo in cui Edgerton lo interpreta, quest’uomo rude incarna perfettamente l’idea che essere il tipo forte e silenzioso non significhi affatto non avere una ricca vita interiore.
A proposito del libro: Edgerton era così innamorato della visione di Johnson – di un’America che passa dalla natura selvaggia alla modernità, una storia che a suo avviso era «allo stesso tempo cinematografica e pericolosa» sulla pagina, pur essendo un character study piuttosto ellittico – che si mise subito alla ricerca dei diritti poco dopo aver finito di leggere. Ha scoperto che erano già stati acquistati. Edgerton ammette di esserci rimasto un po’ male, dato che era il primo libro che leggeva per piacere da molto tempo e si era lasciato conquistare da quest’uomo qualunque che conduceva una vita modesta, di tanto in tanto travolta da pregiudizi, progresso e Storia. Dovette accantonare tutto e andare avanti: c’erano altri film da fare. Forse, semplicemente, non era destino.
Poi, nei cinque anni successivi, accaddero due cose decisive: Edgerton diventò padre di due gemelli. E Clint Bentley si fece vivo. Bentley era un filmmaker che, insieme al suo co-sceneggiatore e partner creativo Greg Kwedar, si stava costruendo piano piano la reputazione di autore da tenere d’occhio. L’ultima corsa (Jockey), il suo dramma del 2021 su un fantino professionista alla ricerca dell’ultima vittoria, era un film indipendente e intimo, tutto incentrato sull’attore protagonista (Clifton Collins Jr., ndt), che conteneva diversi dettagli autobiografici; Sing Sing, che Bentley ha co-sceneggiato e Kwedar ha diretto, era incentrato su un programma teatrale in carcere e ha fatto ottenere a Colman Domingo una candidatura all’Oscar. Bentley era un grande fan del lavoro di Edgerton e, quando lui e Kwedar realizzavano cortometraggi ad Austin, in Texas, considerava il lavoro dei Blue Tongue – il collettivo australiano fondato da Joel e suo fratello Nash nei primi anni Duemila – una grande fonte d’ispirazione.
Si scoprì che proprio Bentley aveva ottenuto i diritti di Train Dreams. Lui e Kwedar avevano già una sceneggiatura pronta, e anche se non sapeva che Edgerton avesse provato a sviluppare quel libro come progetto personale, voleva che fosse lui a interpretare Granier. «Avevamo scritto un ruolo che richiedeva qualcuno che potesse essere credibile come boscaiolo e allo stesso tempo apparisse a suo agio mentre faceva fare il ruttino a un neonato», racconta Bentley. «Qualcuno altamente fisico, dell’età giusta, e che allo stesso tempo potesse essere come un attore del cinema muto: uno capace di darti tanto con poco. In altre parole, ci eravamo preparati a qualcosa di impossibile. Ma non sarebbe stato impossibile per questo attore…».
Bentley lo contattò con cautela e volò a Chicago, dove Edgerton stava girando la serie Apple TV+ Dark Matter. Quando gli disse che stava lavorando a Train Dreams, Edgerton rimase sbalordito. Ma era anche spaventato: ora che era padre, la paura che potesse accadere qualcosa alla famiglia aveva assunto per lui un peso molto concreto. E senza rivelare troppo, quella paura è qualcosa con cui anche Granier deve fare i conti. «Abbiamo avuto un periodo complicato prima della nascita dei nostri figli, che ha portato a un sacco di paranoie da ricerche su Google», racconta Edgerton. «Stanno benissimo, sono meravigliosi e in salute, ma quando da neo-padre quella paura ti viene messa addosso non va più via. E l’idea di dover entrare in quella parte dopo tutto questo…». Lascia la frase in sospeso.
Ma più Edgerton e Bentley – che pure da poco era diventato padre per la prima volta – parlavano del libro, dei loro figli e dei loro padri, più Edgerton capiva che doveva farlo. Anzi, fu proprio perché era diventato padre, e aveva compreso in prima persona sia l’amore incondizionato che provi per i tuoi figli, sia la sensazione che qualunque cosa possa accadergli sarebbe devastante, che Joel sentì un legame con Granier ancora più profondo di prima. Era quasi come se fosse stato “tenuto in attesa” apposta per questa occasione. «Quando tornai dall’incontro, raccontai a mia moglie del progetto e del libro», dice Edgerton. «Le dissi che ero incerto, e in un certo senso spaventato dall’idea di farlo adesso. E mia moglie, che non ama staccarsi dalle grandi città per via del suo lavoro, mi guardò e disse soltanto: “Quindi immagino che andremo tutti a Spokane. Quanto tempo staremo lì?”. Lo sapeva prima di me».
«Forse Joel non avrebbe potuto farlo senza essere padre», riflette Bentley. «Ma posso dirti che io non avrei potuto fare questo film senza di lui. Credo che lo abbia cambiato. Ha cambiato tutti noi».
Joel Edgerton sul set di ‘Train Dreams’. Foto: Daniel Schaefer/BBP Train Dreams/Netflix
“Trasformativo” è una parola che ricorre spesso quando Edgerton parla di Train Dreams. Nei suoi primi anni, dice, era determinato a emulare il tipo di attori che ammirava, cioè quelli che tendevano a scomparire dentro i personaggi. Aggiunge anche che, nella sua vita personale, era cresciuto guardando film che esaltavano un certo tipo di mascolinità muscolare. «Per me il cinema erano Stallone e Schwarzenegger, se parliamo della rappresentazione della mascolinità al cinema, era quello che vedevo», ammette Edgerton. «Quelli erano gli esempi che ti venivano dati. Così ho sempre avuto una visione un po’ semplicistica di cosa fosse la mascolinità. Era durezza. I duri avevano le risposte a tutto».
Se guardate a molti dei ruoli in cui Edgerton è stato scritturato nella prima parte della sua carriera, troverete una lunga lista di poliziotti, criminali, soldati, uomini rissosi e tizi forti e silenziosi. Alcuni parlano a voce alta e portano un grosso bastone. Altri lasciano che sia il bastone a parlare per loro. Sapeva come aggiungere sfumature a personaggi come il combattente di MMA in Warrior (2011), e la sua interpretazione di Richard Loving, il muratore che si ritrovò al centro della battaglia per il riconoscimento dei matrimoni interrazziali in Loving – L’amore deve nascere libero (2016), dimostrò che sapeva anche incarnare figure più trattenute. Ma Edgerton era un australiano aitante e robusto, mascella squadrata e spalle larghe, ed era bravo a interpretare i duri. Se aggiungi il fatto che lui e i suoi colleghi dei Blue Tongue prediligevano film di genere che richiedevano uno stile di recitazione fisico e audace, capirete perché rispondeva perfettamente a un certo stampo.
Col tempo, però, Edgerton ha iniziato a guardare a un altro tipo di attori, quelli che, come dice lui, «si aprivano il petto e basta, erano onesti e non ricorrevano a trucchetti né si nascondevano dietro… strati di cose». Train Dreams è stato questo per lui, proprio per via di quello che stava vivendo. «C’erano cose che portavo con me e pensavo: “Oh, forse non devo provare a nascondermi dietro niente. Forse porto davvero la paura e il dolore in questo ruolo, e ho la sicurezza di restarci dentro senza tirare fuori nessun trucco”».
Aggiunge che gli piacciono ancora i ruoli che gli permettono di “esagerare” – Edgerton racconta di aver appena interpretato un detenuto larger-than-life in un dramma carcerario di prossima uscita, in cui ha «alzato il volume a un 11,5 su 10» – ma impersonare Granier gli ha permesso di accedere pienamente a un lato di sé come attore con cui aveva solo sfiorato il contatto prima di allora. Dopo questo film sente di poter essere più “aperto” sullo schermo. E Train Dreams ha contribuito a proseguire quel percorso di crescita personale iniziato con la paternità, quando Edgerton ha cominciato a riflettere davvero su cosa significhi essere un uomo.
«C’è sempre quest’idea che tu debba essere all’altezza di quell’ideale di “durezza”», dice Edgerton. «Ma ora mi rendo conto – e forse lo senti anche tu – che siamo solo ragazzi cresciuti, un po’ imbiancati e con la barba, che per caso assomigliano a uomini più anziani». Scoppia in una risata fragorosa. «Stiamo ancora fottutamente cercando di capirci qualcosa! Non abbiamo risposte, e stiamo cercando di comprendere e di esprimerci. Interpretare Robert mi ha fatto pensare a questo. Quelli erano uomini che non riuscivano a esprimersi emotivamente perché vivevano nel tempo in cui vivevano. Qual è la nostra scusa?».
«Sai, “mascolinità” è una parola che secondo me andrebbe quasi eliminata, per evitare che venga fraintesa in qualche modo», continua. «Perché penso che continuiamo a credere che significhi una cosa sola, mentre dovrebbe significarne molte di più. Guarda cosa ha fatto a questo Paese: l’ha spaccato in due. Una parte pensa che l’opinione dell’altra sia debole, troppo frivola. E l’altra parte pensa che quei tipi vivano in un mondo antico, che parliamo di brutalità contro sensibilità. Ma devono esistere entrambe». Edgerton si ferma. «Perfino Clint Eastwood ha bisogno di un abbraccio. Voglio vedere Clint Eastwood che si fa abbracciare!».
Gli piace che Robert Granier gli abbia permesso di elaborare tutto questo. Gli piace che Bentley l’abbia visto in lui ancora prima che lo vedesse lui stesso, e che lo abbia incoraggiato a lasciarsi andare in quella direzione. E gli piace che Train Dreams sia riuscito a toccare proprio quella cosa che lo aveva colpito quando lo lesse per la prima volta anni fa: l’idea che non importa chi tu sia, hai una storia che vale la pena raccontare.
«Quei diversi modelli narrativi – la persona ordinaria che compie qualcosa di straordinario, oppure il contrario, la persona straordinaria che si abbassa all’ordinario, come il re che si umilia o il contadino che scopre di essere in realtà un principe – ecco, questa storia è diversa persino da tutto questo. L’ordinarietà di Robert non cambia. Il film, invece, rende omaggio alla natura straordinaria della vita stessa».
«E questo, per me, è qualcosa di speciale da vedere sullo schermo», aggiunge Edgerton, «perché credo davvero che più del 90% di noi si percepisca come insignificante, destinato a essere presto dimenticato, gente che macina dentro un ingranaggio di qualche tipo, che tu vada in ufficio o che abbatta alberi. E adoro che il film guardi a persone come i nostri genitori e i nostri nonni, a quella generazione di uomini. Non ci sarà nessuno a costruire una statua in loro onore, ma erano persone che hanno significato qualcosa. Ognuno lascia un segno, in qualche modo».
