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Martin Scorsese racconta il Bob Dylan più autentico di sempre

Come si può ancora stupire un fan accanito del menestrello di Duluth? Con "Rolling Thunder Revue", il nuovo documentario Netflix che a 15 anni da "No Direction Home" racconta il leggendario tour del 1974-75

Foto: Ken Regan/Netflix

Proprio all’inizio di Rolling Thunder Revue, il nuovo documentario di Martin Scorsese (su Netflix a partire dal 12 giugno), Bob Dylan cerca di spiegare l’idea alla base del leggendario tour del 1975-’76. Il tentativo, però, lo innervosisce immediatamente. “Sto cercando di arrivare alla radice del significato di Rolling Thunder”, dice, “ma non so da dove cominciare, non c’è un vero significato dietro. È solo qualcosa che è successo 40 anni fa, questa è la verità. Non ricordo nulla di Rolling Thunder. È successo talmente tanto tempo fa, che non mi sembra neanche fossi nato».

Il fatto che l’uomo al centro di quel circo itinerante dichiari di “non ricordare nulla” della storia che sta per essere raccontata è il primo grosso indizio per capire che Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story  non è un documentario tradizionale. La dicitura “A Bob Dylan Story” è il secondo. E senza rivelare nulla, sappiate che questo non è un sequel del documentario (firmato da Scorsese nel 2005) No Direction Home. Quel film mescolava nuove interviste e materiale d’archivio inedito per raccontare la carriera di Dylan fino al suo incidente in motocicletta del 1966, e lo faceva con un approccio rigoroso, storiografico. Anche Rolling Thunder Revue è ricco di interviste e immagini d’archivio straordinarie – materiale che non hanno visto nemmeno i fan più accaniti del cantautore –, ma il suo obiettivo è raccontare una bella “Bob Dylan Story”, non gli eventi esattamente come sono accaduti.

Allo stesso modo, Rolling Thunder è stato diverso da tutti i tour mai organizzati da tutte le rockstar della storia. Tutto iniziò quando Dylan, mesi dopo la pubblicazione del capolavoro Blood on the Tracks, voleva mettere in piedi l’antitesi al lussuoso tour negli stadi dell’anno precedente. Inquieto e nostalgico, invitò gli amici di una vita e colleghi come Joan Baez, Roger McGuinn, Allen Ginsberg e Ramblin’ Jack Elliott per suonare in alcuni teatri dell’East Coast e del Canada. Il prezzo dei biglietti rimase contenuto e nessuno show venne annunciato se non pochi giorni prima della performance.

Il nome di Dylan fu fatto sparire dai biglietti: era solo uno dei tanti musicisti che si sarebbe esibito nel corso dello show, che spesso superava le tre ore. Tuttavia, durante quei concerti cantò con una passione assente nel tour del 1974, regalando al pubblico alcune delle performance più incredibili di tutta la sua carriera. Ogni sera mescolava classici come The Lonesome Death of Hattie Carroll e A Hard Rain’s a-Gonna Fall con alcune canzoni di Blood on the Tracks e una selezione di inediti dall’album successivo, Desire. Insieme a lui sul palco c’erano Mick Ronson alla chitarra, direttamente dagli Spiders From Mars di Bowie; la violinista Scarlet Riviera, invitata a suonare dopo averla incontrata per strada; Rob Stoner al basso, Howie Wyeth alla batteria, T-Bone Burnett alla chitarra e al piano, Steve Stoles alla chitarra e David Mansfield alla steel guitar. Una band con un suono esplosivo.

“L’idea era combinare diversi concerti sullo stesso palco, di avere una certa varietà di stili musicali”, dice Dylan nel documentario. “Non era musica tradizionale, ma piuttosto un format tradizionale”. Il cantautore fa una pausa, sembra disgustato dalle parole appena pronunciate. Poi dichiara: “Queste sono tutte strozzate maldestre”.

Durante il 1975 Dylan era anche impegnato sul set di Renaldo and Clara, girato da Howard Alk e David Meyers. Il film – che mescolava filmati dei concerti con momenti di improvvisazione dei membri della troupe – non verrà distribuito prima del 1978, e la critica lo definì un caos pretenzioso e indecifrabile. Il montato originale durava quattro ore, una piccola frazione del materiale girato per tutto il tour. Decenni dopo, quando il team di Dylan decise di produrre un altro documentario, dopo il successo di No Direction Home, il materiale di quel periodo sembrò una base perfetta per un nuovo film. C’era solo un problema: “Il negativo era stato perso”, dice una fonte vicina al Dylan Camp. “È stato spaventoso. Con le grandi aziende c’è sempre il problema della catalogazione e nel nostro archivio qualcosa era andato storto, la numerazione era sbagliata. Non c’era modo di trovare il negativo, e ti assicuro che abbiamo cercato. Adesso è tutto al sicuro a Iron Mountain. Ma non siamo riusciti a trovarlo, è davvero triste. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere ancora nascosto in qualche cantina».

Fortunatamente, il team aveva una copia in 16mm nei suoi archivi. “Era una ‘copia da lavoro’, il termine parla da sé”, dice la fonte. “È la copia che stampi per il montaggio, per provare diversi tagli. Ci avevano lavorato molto, quindi era piena di graffi. A noi sembrava molto bella, molto anni ’60, ma Scorsese, con la sua saggezza, ha detto che dovevamo renderla più bella, per farla sembrare attuale”, spiega la fonte. Gli specialisti di Scorsese hanno lavorato su ogni singolo fotogramma del film, restaurandolo il più possibile. “Non sembra sia stato girato oggi, ovviamente: ha sempre la grana del 16mm. Ma è bellissimo”.

Nessuno sapeva esattamente cosa ci fosse su quella pellicola. Quando hanno esaminato tutto il girato, hanno scoperto scene incredibili: Dylan e Joni Mitchell che cantano Coyote nell’appartamento di Gordon Lightfoot; Dylan che guarda Patti Smith mentre legge una poesia in un club dell’East Village; performance incredibili di canzoni come Hurricane, One More Cup of Coffee e Knockin’ On Heaven’s Door.

Nei piani del team di Dylan, il materiale andava completato con una serie di interviste girate circa 10 anni fa a Joan Baez, Roger McGuinn, T-Bone Burnett e Scarlet Rivera. Scorsese, però, ha usato quelle conversazioni solo raramente. Nel caso di Burnett e Rivera, non le ha utilizzate affatto. “T-Bone è stato fantastico, ma non si inseriva nella narrativa”, ha spiegato la fonte. “A lui sta bene così, ha capito”.

Due anni fa, quando Scorsese ha trovato il tempo per dedicarsi al documentario, anche Dylan è stato intervistato. “Marty era al lavoro su film difficili, incredibili”, dice la fonte. “Non ha lavorato al documentario in maniera continuativa”. (Così come è successo con No Direction Home, Scorsese ha ricevuto il materiale dal team di Dylan e ha avuto piena libertà per costruire il film che desiderava).

Nonostante non vogliano sbottonarsi più di tanto sui segreti del film, dall’entourage di Dylan sperano che il documentario meriti più di una visione. “Speriamo che i fan lo guardino più volte per scoprire tutti gli easter egg“, dice la fonte. “Il girato di un documentario può essere usato per raccontare tante storie diverse, e ci auguriamo che il pubblico riesca a trovare quello che gli interessa di più”.

A differenza dei precedenti progetti di Dylan, tutti distribuiti da PBS e HBO, Rolling Thunder Revue è stato prodotto con Netflix. “Con la morte del mercato DVD e dei negozi al dettaglio, solo Netflix può portare il film nelle case di tutto il mondo”, dice la fonte. “C’è un villaggio in India che festeggia Bob ogni anno. Si chiama Shillong. Una volta la gente del posto non sarebbe riuscita a vedere il film, adesso sì”.

I musicisti scomparsi come Jacques Levy e Mick Ronson appaiono brevemente nelle immagini d’archivio, ma il film non si ferma mai per sviscerare il loro ruolo nella vicenda. “Oggi c’è Google, chiunque sia interessato può guardare i titoli di coda o andare su Wikipedia e scoprire chi ha fatto cosa”, dice la fonte. “A Marty non interessa quell’aspetto. Lui vuole ricontestualizzare quella storia in maniera tale da farla sopravvivere nel tempo. E credo che ci sia riuscito”.

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