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Marina Cicogna è sempre stata più avanti di noi

La riconferma il documentario ‘Marina Cicogna , La vita e tutto il resto’, presentato alla Festa di Roma 2021 e ora al cinema. Abbiamo chiacchierato con la Signora Produttrice: carriera, libertà, bellezza, nostalgia (e tutto il resto)

Foto: press

La Signora Produttrice afferra la sedia e la sposta con decisione per mettersi di fronte a me. Si parte, si va, la Signora Produttrice l’ha sempre fatto e lo fa anche ora che è qui, alla Festa di Roma, a presentare Marina Cicogna – La vita e tutto il resto (presto in sala per Luce Cinecittà), il documentario di Andrea Bettinetti che la celebra ma senza fronzoli, in quel modo in fondo spiccio proprio come è lei, che sposta sedie e produce/distribuisce il Cinema Italiano (Leone, Pasolini, Wertmüller, eccetera), che si diverte a fare l’icona in Gucci e vince Oscar (per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri). Ma ancora tutto al presente, il passato ovviamente c’è e pesa – la stirpe dei conti Volpi di Misurata di cui è erede (il nonno, tra le altre cose, inventò la Mostra di Venezia), l’amore sfacciato ma mai militante con Florinda Bolkan, le amicizie con Agnelli, Callas, Jackie, Warhol – ma, in fondo, chi se ne importa.

Nel film la chiamano “ribelle chic”: le piace come definizione?
Direi che non mi appartiene totalmente, son due cose completamente diverse. Io non so se sono chic, e non mi considero necessariamente una ribelle. Lo chic è un fatto momentaneo, posso essere elegante oggi e non esserlo domani. La ribellione non l’ho mai avuta, ho seguito le mie idee e i miei sentimenti, quello in cui credevo, e basta.

Ecco: l’altra parola chiave in questa storia è libertà. «Marina è la persona più libera che conosca», dice la sua compagna Benedetta. Oggi dovrebbe essere proprio il tempo delle libertà, e delle identità, ma a me pare tutto meno libero, in fondo più etichettato di prima… Non so, mi dica lei.
Siamo entrati da qualche decennio – neanche molti – in un mondo estremamente moralista, in cui dobbiamo sempre definire le cose. Ma se pensiamo, per esempio, agli anni ’30, e ai ’20 ben più ancora… ecco, lì la libertà personale, e anche quella sessuale, era considerata una cosa del tutto normale. Il moralismo è arrivato con l’entrata degli americani nel mondo europeo, e l’America nasce da Paesi moralisti, sono un popolo proveniente quasi tutto dal Nord Europa, da Paesi che in partenza erano ben poco sofisticati. Forse nelle grandi città sì, ma in generale in America non c’è mai stata una gran libertà.

La sua libertà qual è stata, qual è?
Quella di essere cresciuta in una famiglia benestante, certamente, ma anche di dovere a un certo punto occuparmi io stessa di mantenermi. Son dovuta entrare piano piano nel mondo del lavoro, e la mia libertà è stata quella di poter scegliere, di poter lavorare, di non essere mai costretta a fare cose che non mi interessavano. Per questo io non parlo mai di ribellione, non parlo mai di andare “contro”. Parlo di scelte, e le scelte vengono dai propri sentimenti, dal rapporto con le persone. È sempre quello che ti fa scegliere, nella vita.

Marina Cicogna con Luchino Visconti, Federico Fellini e Marcello Mastroianni. Foto: press

L’autorità – parola che usa invece Alessandro Michele per descriverla – se la riconosce?
Penso di essere una persona che ha le proprie idee e le esprime, e che dunque, in questo senso, mette una certa autorità. Ma questo lo devono dire gli altri, io posso solo dire di avere una personalità abbastanza forte. Quello sì.

A lei che ha scoperto e prodotto tanto cinema italiano chiedo: esiste, o quantomeno si affina, un modo per riconoscere il talento?
È un certo istinto, non totalmente definibile. Quando ho iniziato a fare film con registi non troppo conosciuti, a volte ho fatto delle scelte che poi si sono rivelate giuste, tutto qui. La Cavani, la Wertmüller, Beppino Patroni Griffi…

Ecco: le donne. Lei le ha prodotte sempre e, anche in questo caso, sempre senza etichette, senza pensare alle “quote”.
Io non pensavo al regista come donna o non donna. Io conoscevo bene Lina perché frequentavamo lo stesso gruppo di persone, soprattutto la casa di Franco e Giancarla Rosi, e Lina era spiritosa, intelligente, duttile, legata a un cinema importante, faceva delle cose per Fellini, era una donna interessante. Per la Euro (casa di produzione e distribuzione poi guidata da Cicogna, nda), prima che ci entrassimo noi, aveva già girato qualche film fatto bene, con Rita Pavone. E allora abbiamo pensato di usarla anche noi, e così nacque Mimì Metallurgico.

Nel documentario c’è la sua vita nelle case di Roma e di Milano, e nei grand hotel veneziani, e nella villa di famiglia a Maser affrescata dal Veronese. Quando si nasce e cresce e vive così, al bello ci si può mai disabituare?
Ho avuto il privilegio di crescere in delle case belle, con delle cose belle. Da bambina, anche molto piccola, la sera tiravo fuori le cose che dovevo mettermi la mattina dopo: non mi piaceva mettere una gonna o un pullover che pensavo non andassero bene insieme. Quindi sì, ho sempre avuto una certa tendenza a scegliere quello che piace a me. Quanto al bello, è importante nell’essere umano, ma il bello è anche camminare per la strada e trovarsi di fronte a della gente cortese. La cosa più elegante è l’educazione, e non c’è più.

A veder scorrere la sua vita, i suoi amici, i luoghi che ha frequentato, ci si strappa i capelli per quel mondo che non tornerà più. È una domanda retorica, la mia: ma è davvero così irripetibile?
Non lo so. Io per fortuna sono verso la parte ultima della mia vita, e so solo che questo mondo in cui viviamo adesso non mi piace per niente.

Che cosa non le piace?
Tutto. Non voglio nemmeno aprire i giornali. Ma forse questo mondo non piace neanche a lei.

Non troppo. Però poi lei con questo mondo ci gioca, si fa fotografare da Gucci e, come si dice oggi, diventa virale, social…
Ma questa cosa non posso chiamarla solo “social”. Gucci mi ha proposto di fare una fotografia di moda a ottant’anni e più e io l’ho trovata una cosa interessante, mi è piaciuto quello che mi è stato proposto di portare, e mi hanno pagata abbastanza benino… Quindi non vedevo perché no, anzi. E poi questa cosa che è nata in America di fotografare delle donne non giovani per indossare i vestiti, ecco, mi sembra un’idea giusta. Anche perché, tra l’altro, le persone che hanno più danaro da spendere per i vestiti sono proprio quelle non più tanto giovani.

Tutti, io compreso, le chiedono di ricordare il passato, di raccontare aneddoti fino allo sfinimento… Non le viene mai a noia?
Se uno fa questo mestiere, dev’essere a disposizione di chi gli chiede di raccontare: io cerco solo di non essere ripetitiva. In generale, è molto difficile che mi annoi. Sono molto impaziente verso tante cose, ma, se devo raccontare, per niente.

Allora mi dica una cosa che le va di ricordare, una a caso.
Questo non me lo chieda. Stamattina non mi hanno svegliata e sono completamente rimbecillita.

Torno a quella nostalgia, che forse è solo di noi che quell’epoca dorata non l’abbiamo mai vissuta. Quelle persone, quelle feste…
Le feste non mi mancano. Mi manca la forza di poter andare a sciare, di giocare a tennis: per me è quella la grande nostalgia. Sono contenta di essere vissuta in un momento in cui le feste c’erano, ed erano belle, eleganti… Ecco, Agnelli mi diceva sempre: “Noi facevamo le cose, uscivamo, andavamo alle feste sperando che non ci vedessero, di non uscire sul giornale”. Ora la gente fa qualsiasi cosa per essere vista.

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