Lucrezia Guidone, alfabeto sentimentale | Rolling Stone Italia
Interviste

Lucrezia Guidone, alfabeto sentimentale

Dalla A di Amore alla Z intesa come Generazione (ma anche quella di ‘Zio Vanja’). Abbiamo giocato con la protagonista di ‘Fedeltà’, la serie ‘based on’ Marco Missiroli ora su Netflix. Emozioni, sesso, tradimenti. E poi il teatro, il cinema, i sogni, le scelte, le donne. Che devono essere libere, come lei

Foto: Leandro Emede per Netflix

Lucrezia Guidone ha una giacca verde con fiorellone applicato, «ovviamente Gucci», e sotto una maglietta «che ho trovato in albergo, me l’ha mandata uno stilista, mi sembrava divertente e l’ho messa». Sulla maglietta c’è scritto “La sventurata rispose”, e subito s’inquadra l’attrice in questione, colta e ironica, densa e leggera, passata da Luca Ronconi (la formazione teatrale) a Netflix (la consacrazione popolare). O forse dire passata è improprio, perché tutto va insieme, si mischia con libertà e scioltezza. Su Netflix era in Summertime ed è ora in Fedeltà, prima milf di villeggiatura adesso moglie tradita e traditrice (di Michele Riondino) based on Marco Missiroli. Ma la sua Margherita ha, anche lei, una libertà tutta sua, un modo di fare e disfare che è governato da colei che la interpreta. Lucrezia è una che sta al gioco, e allora giochiamo. «Non preparo mai le interviste», le dico, «ma per te ho inventato questo formattino, senti che bello: l’alfabeto sentimentale». Quindi tiro fuori il mio bravo foglietto con tutte le lettere dalla A alla Z. La sventurata rispose.

A – Amore, per forza. Chiedo scusa, poi alleggeriamo.
Be’, ovvio che si inizia da amore. Se dobbiamo stare a Fedeltà, è un amore sia nei confronti dell’altro che nei confronti di sé stessi, è una dualità dell’anima molto presente in tutto il racconto. Proviamo a dire che è vero: se mettiamo al centro noi stessi, riusciamo ad essere presenti anche nell’amore dell’altro in modo più autentico. Ero già preparata da prima della serie, ma è stato bello affrontare il tema attraverso un personaggio che ha reazioni così diverse dalle mie, io farei diversamente, o forse avrei fatto: sto imparando.

B – Bambina, cioè Lucrezia da piccola. Riavvolgiamo il nastro e dimmi: sei di quelli che da sempre volevano fare questo mestiere oppure della risma “è capitato per caso, non era quello che pensavo”, eccetera eccetera?
Io dei primi. Già da bambina volevo fare qualcosa di artistico, volevo riuscire a dare una voce a tutte quelle cose che sentivo in maniera inconsapevole. La fortuna è stata poter fare musica fin da piccolissima, e poi danza, sono cresciuta in una famiglia che ha sempre messo l’espressione artistica al centro. Forse questo mi ha ispirata, mi ha spinta a voler cercare un mio modo di tradurre le cose che avevo dentro. Quindi sì, ero la bambina che voleva diventare qualcosa, anche se non sapeva bene cosa.

Un ritratto di Lucrezia Guidone. Foto: Leandro Emede per Netflix

C – Cinema: possiamo dire che oggi, per un’attrice che dal palcoscenico si trova davanti alla macchina da presa, la parola cinema comprende un po’ tutto?
Con la trasformazione della serialità direi di sì, il passo è veramente più vicino. Però è chiaro che la narrazione cinematografica è diversa, il film sta in quel momento, nasce, cresce, si esaurisce. Io sono una spettatrice famelica, guardo tantissimi film e spesso da sola, anche ora che al cinema ci vado meno continuo a farlo a casa, è un momento di introspezione che mi dà sempre molta forza. Mi piace parlarti di cinema più da spettatrice, perché è qualcosa che mi emoziona fin da quando ero piccola, tipo che avevo 10 anni. Il cinema è la forza degli sguardi che si incontrano, degli immaginari che ci permettono di trovare una spinta vitale nel dolore, nelle cose felici… Il cinema per me è un modo di vedere la vita, di viverla proprio.

D – Donne, nel senso dei modelli che proponi: penso agli ultimi, la Rita di Summertime e ora Margherita in Fedeltà. Queste donne libere ti vengono a cercare o sei tu che le cerchi?
D è una lettera importante, se la associamo alle donne. (Resta in silenzio per qualche secondo) È un momento in cui devo un po’ mitigare le reazioni… Allora: abbiamo bisogno di metterci davvero al centro, e con grande forza. Sento che è iniziata una rivoluzione soprattutto in noi, ma non l’abbiamo ancora portata a termine, la strada che dobbiamo fare è lunga. Nonostante i bei discorsi, le belle parole, ci troviamo sempre a dover dimostrare qualcosa in più, e succede anche nel cinema, nelle serie, in Italia ma anche all’estero non c’è ancora uno spazio davvero nostro. Quindi sì, le mie sono donne che cercano un pezzo di cielo nel quale stare legittimamente e splendere, avere la propria luce. Forse è quello che faccio anch’io nella vita, non lo so. Ma cerco sempre di riportare dei pezzettini di storie diverse, di qualità diverse, all’interno di ogni personaggio. Mi piace. E mi piacerebbe farne ancora di più, collezionare tutte queste donne guerriere.

E – Emozioni: anche qui non mi veniva di meglio.
Emozioni uguale… tempesta. Sono spesso invasa dalle emozioni, per me è difficile avere un vero controllo, non lasciarmi coinvolgere troppo. Nel tempo sto imparando che invece a volte è importante mettere una distanza. Margherita è una che mette un controllo e una distanza enormi, soprattutto all’inizio, e mi ha insegnato proprio questo. Io invece vivo tutto intensamente, totalmente. Poi, stando nei suoi panni, ho capito che non è che se hai più controllo soffri di meno…

F – Fedeltà, e anche qui perdonami. Però, nel tuo caso, penso anche alla fedeltà rispetto a un percorso, a un curriculum: l’attrice del teatro “alto” che si sporca con le serie pop. Un’altra forse si sarebbe rifiutata.
Io no. Io ho sempre detto, e dico ancora, che esiste solo la fedeltà a quello che ci piace. All’essere liberi. A non essere vittima dei sensi di colpa. Fedele è chi è libero.

Lucrezia Guidone, alias Margherita, con Michele Riondino, che interpreta Carlo. Foto: Sara Petraglia/Netflix

G – Guidone, le origini.
Penso sempre a questo fatto del cognome, tanta gente mi chiede: “Ma non hai un nome d’arte?”. Ma io non potrei mai togliermelo, riguarda troppo la mia identità. Vengo da una famiglia pugliese dove tutte le femmine si chiamano Lucrezia, tutti i maschi Rocco, abbiamo questi nomi tutti uguali. Guidone – e ora perdonami tu – è un cognome che davvero mi guida.

H – Hot. Nella libertà delle tue donne c’è anche il mostrare il lato sensuale, e sessuale.
(Ride) Hot… che te devo di’? Per me è importante concedersi questa possibilità di esplorazione, anche all’interno della coppia. Vuol dire trovare una voce, una propria espressività, anche nel gioco del sesso. Vuol dire prendersi il proprio spazio, il proprio piacere, sempre secondo l’ascolto dell’altro. Non so se ti ho risposto, ma questo è per me.

I – Instagram. Mi sembra che ti diverta molto, posti le tue cose sempre con leggerezza, tua sorella, la moda, è tutto molto gioioso e giocoso.
Mi diverte, sì, poi magari tra due mesi mi scoccio. Finora sono riuscita a renderlo uno spazio dove non metto tutto, ma quello che metto lo condivido con una certa onestà. Lavorare con Netflix, dove la dimensione social è importante, ti fa avere un riscontro diretto da tutto il mondo. Su Instagram mi hanno scritto da ogni parte, è diventato il posto dove ritrovarmi con quelli che seguono quello che faccio. Cerco di vedere il lato positivo, poi ogni tanto mi incazzo perché sento cose atroci, insopportabili, e allora torno un po’ a chiudere, non voglio alimentare la polemica in prima persona. Ma ci sono volte in cui mi dico: “Ma perché te devi sta’ zitta?”. Tipo l’altro giorno su ’sta roba delle gambe di Emma, pora crista, che se deve senti’ dire… vabbè, hai capito.

L – Libri, letture. Per la matrice letteraria di Fedeltà, ovviamente, ma anche in generale.
Mi piace spaziare, adesso sto leggendo un libro Donatella Di Pietrantonio, Mia madre è un fiume, uno dei suoi primi. È una scrittrice della mia terra, abruzzese, con la quale ho un legame perché ho portato in scena L’Arminuta. Cerco di farmi sorprendere, chiedo consigli, ho degli spacciatori di libri tra i miei amici. Leggo di tutto, biografie, saggi, romanzi… C’è stato un periodo in cui sono stata infoiatissima di thriller, il periodo Carrisi, era sulla scia del film (Lucrezia era nel cast del suo La ragazza nella nebbia, nda). Per me la lettura è molto importante anche nell’attorialità, sono affascinata dal portare la parola dal testo alla scena, mi piace osservarlo anche da spettatrice.

M – Missiroli, restiamo inevitabilmente in tema.
È stato molto rispettoso, mi ha lasciato carta bianca. Ma mi ha fatto piacere ricevere una sorta di benedizione da parte sua. Quando ha saputo che avevo accettato il ruolo, mi ha scritto un messaggio molto semplice: “Sei perfetta per Margherita”, punto. E me l’ha scritto su Instagram. Nella sua testa ero una figura che poteva combaciare col suo immaginario, questa cosa mi ha fatta sentire protetta.

N – Noi 4, il primo film, e anche la cosa – penso io – che ti ha fatto pensare che poteva succedere altro, altrove.
È così. Mi emoziono ancora quando entro in un progetto, non sono mai passiva, è sempre tutto: “Oddio! Che figo!”. Ma lì c’era l’emozione dell’inizio, che è legata a quel momento in cui davvero non sai niente e ti sembra di lanciarti senza paracadute da un posto altissimo. Ed è stato bello. Ricordo con tanto affetto Francesco Bruni (il regista e sceneggiatore, nda), ma anche Fabrizio Gifuni, con cui siamo ancora in contatto, e idem con Ksenia (Rappoport, nda). È come quando fai l’amore per la prima volta con qualcuno, io sono contenta di averlo fatto con loro.

Lucrezia Guidone in una scena di ‘Fedeltà’. Foto: Sara Petraglia/Netflix

O – Nel senso di questo O quello, insomma le scelte, i bivi, le strade che si sceglie di prendere.
“O” per me è un grande tema, perché penso sempre che devo dire “o, o”, o faccio questo o faccio quello. Sento che devo scegliere, sempre. E invece adesso sto iniziando a capire – non con gran facilità – che a volte puoi accettare che va bene anche tutto. Sto cercando di non prendere più decisioni nette, ma di includere, di far diventare quella “o” una “e”.

P – Pescara, la tua città, in un’immagine.
Oddio, non lo so… Flaiano? No. Pescara è casa, famiglia, quella bambina, i sogni, il posto dove torno e ritrovo le stesse emozioni. E Pescara è partenza, che poi va sempre sotto la P.

Q – Qui rido io di Mario Martone, una piccola partecipazione ma in un film che sembra tenere insieme tutto il tuo mondo, il teatro, il cinema, un grande regista…
Mi fa piacere che l’hai tirato fuori. Ho una piccola parte, sì, ma quando Martone mi ha chiamata per, come dico io, farmi ’sto regalo ho capito che lì c’era davvero tutto. Ero con Paolo Pierobon, che nel film fa D’Annunzio e che è uno dei miei più cari amici, una persona che amo moltissimo… Stavamo facendo lo Zio Vanja a teatro, con lo Stabile di Torino, e anche quello ha reso tutto più emozionante. E poi quella mia scena è legata alla Figlia di Iorio, quindi a D’Annunzio, unisce la mia terra, il teatro, il cinema di Mario che adoro, e con con il quale negli anni si è creato un bellissimo rapporto, spero di poter continuare a dialogare artisticamente con lui.

R – Ronconi, anche qui però in un flash, perché l’hai raccontato già tante volte. Una sua frase, la lezione che ti resta.
Sii coraggiosa: questo mi resta. Sii forte nel portare avanti le tue scelte con coraggio e autenticità.

S – Summertime, per forza, che messo così subito dopo Ronconi ad alcuni fa l’effetto di un salto mortale, come dicevamo prima.
Sì, il sacro e il profano… Ma che cazzata. Alla fine siamo sempre noi, tutto dipende da come lo fai. Summertime per me è spensieratezza, e anche famiglia: a differenza di tanti altri film più snob, su questo set con gli altri attori siamo diventati un gruppo di persone che si vogliono bene davvero.

T – Tradimento: ti tocca.
Allora ti dico che a volte bisogna tradire e tradirsi per trovare una propria direzione, per essere aderenti alle cose. Happens. Stop.

U – Ubu, e qui mi è venuta in soccorso Wikipedia: il premio più importante del teatro italiano vinto subito, da giovanissima.
Mi fa ancora ridere dirlo e pensarlo… Ubu. Ha rappresentato per me una cosa impensabile, troppo grande. È il premio, mi ha dato un senso di riconoscimento ma anche di responsabilità. Ma tutti i premi che ho vinto non ce li ho io, li ho dati a mia madre. Mi piace l’idea di aver vinto qualcosa, certo, e però devo andare avanti, il premio non lo voglio avere lì, sotto gli occhi.

Lucrezia Guidone con Michele Riondino. Foto: Leandro Emede per Netflix

V – Vita, morte e miracoli di Lucrezia Guidone in sintesi, per chiudere.
Come posso metterla? Allora: la vita e le sfide che mi stanno capitando in questo momento stanno dando il via al miracolo del cercare di manifestare la mia potenza. Questo, se ha senso.

Z – Potrei dire la Z di Zio Vanja, per stare sul colto, ma invece dico quella di Generazione Z, e torniamo al teen, a Summertime: li possiamo davvero capire, questi ragazzi? Ci possiamo davvero parlare, confrontare, o siamo destinati a restare indietro?
Io ho un sacco di amici giovanissimi, e mi trovo benissimo. Che poi è la solita cosa: i social ci rovineranno, Netflix è il male, il cinema morirà… Non morirà niente, bisogna solo imparare a convivere con tutto quello che è nuovo, e questa generazione mi piace, sono fighi.

Vabbè dài, dimmi anche la battuta più bella dello Zio Vanja, così finiamo “alto”.
Allora, sai che non è facile, è un testo così amaro… Ti direi la chiusura del monologo di Sonja: “Sentiremo gli angeli, vedremo tutto il cielo pieno di diamanti, vedremo tutto il male terreno, tutte le nostre sofferenze affondare nella misericordia che riempirà di sé tutto il mondo, e la nostra vita diventerà quieta, soave, dolce come una carezza. Io credo, io ci credo”. Perché è un messaggio di disperata speranza. Ma non è che sembro troppo enfatica?

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