Luca Marinelli, cattivo per Danny Boyle | Rolling Stone Italia
Interviste

Danny Boyle e Luca Marinelli, l’intervista per la serie ‘Trust’

Il sequestro del nipote del mitico John Paul Getty secondo il regista di 'Trainspotting', con Donald Sutherland, Hilary Swank e il nostro Luca Marinelli

Danny Boyle e Luca Marinelli, l’intervista per la serie ‘Trust’

Se è vero che il primo amore non si scorda mai, per il miliardario John Paul Getty il mondo degli affari è una storia d’amore infinita. La saga della famiglia Getty diventa ora la serie Trust, e la vita eccentrica del magnate sono esaminate a fondo dal regista Danny Boyle, che nella prima stagione racconta una vicenda che noi italiani conosciamo bene, la storia del sequestro di John Paul Getty III, nipote del petroliere, a Roma, nel 1973. Nel cast Donald Sutherland, Hilary Swank, Harris Dickinson, Brendan Fraser, Michael Esper, e gli italiani Luca Marinelli e Giuseppe Battiston.

Quando hai pensato al progetto eri a conoscenza che Ridley Scott stava girando Tutti i soldi del mondo, basato sul sequestro di John Paul Getty III?
Boyle: Sarei stato pazzo a competere con il maestro! Quando lo abbiamo saputo avevamo già iniziato le riprese. Ma la nostra storia è diversa, la prima serie racconta la vicenda del sequestro, ma ne sono previste altre due, tra passato e futuro, dove vedremo come verrà gestita l’eredità. È la storia di una dinastia, delle stravaganze di Getty e della disfunzione familiare di tre generazioni.

Che uomo era J. Paul?
Boyle: È stato sposato cinque volte e ha avuto moltissime amanti, ma come disse una sua ex moglie, era innamorato del suo lavoro. Viveva con cinque donne perché amava fare sesso tre volte al giorno, a 80 anni suonati! È stato tra i primi a sperimentare una sorta di viagra, che si iniettava direttamente nel pene.
Sutherland: Aveva anche tante altre qualità, dopo averlo studiato provo simpatia nei suoi confronti, voleva solo avere degli eredi che prendessero in mano il suo impero. Era un brillante matematico, ricordava tutti i dettagli delle proprie transazioni, parlava in maniera fluente varie lingue tra cui tedesco, francese, italiano, spagnolo, russo e greco, davvero insolito per un americano. Nel 1949, per negoziare con King Saud, imparò anche l’arabo, tutto per firmare il contratto più importante della vita, 10 milioni di dollari per una “fetta” di deserto dove, cinque anni e 30 milioni di investimenti dopo, scoprì il petrolio che lo rese ricchissimo. Alla fine degli anni ’60 era l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di oltre quattro miliardi. Era molto disciplinato e aveva una vera passione per negoziare i contratti, anche se non era diplomatico. Aveva molto gusto, collezionava arte, ma visto che era anche tirchio, perse l’occasione di comprarsi quadri famosi che gli avrebbero reso altre fortune. Aveva paura di morire giovane: camminava cinque chilometri al giorno, mangiava molto sano e prima di inghiottire masticava per 33 volte.

Quando avviene in lui il cambiamento?
Boyle: Quando scopre che i figli sono debosciati, diventa furioso. Ecco perché inizialmente decide di non pagare il riscatto, vuole che sia suo figlio, una volta nella vita, a prendersi le proprie responsabilità. Alla fine era un uomo profondamente deluso, che si era reso conto che nessun erede era degno del suo nome.

Che ricerca hai fatto sulla madre Gail?
Swank: Nessuno di noi ha avuto modo di incontrare i personaggi reali, per cui ho letto tutti i libri che ho trovato. Su YouTube ci sono delle interviste girate durante le trattative del riscatto: era forte e spigliata, l’unica a preoccuparsi del figlio. Ho anche avuto modo di incontrare l’ambasciatore Usa a Londra di quel periodo, che mi ha dato un senso di quello che accadeva. Non ho figli, ma posso immaginare il dolore di una madre in quella situazione, soprattutto il rimorso che ha dovuto provare pensando che forse era solo colpa sua.

Quando è nata l’idea di fare una serie tv, invece che un film?
Boyle Quando Beaufoy ha capito che si poteva espandere il racconto avendo a disposizione 10 ore. Nel cinema oggi hanno tutti paura di rischiare, in tv no. Ci sono migliaia di show con cui competere, e quindi ti chiedono di essere diverso, di avere coraggio e provare qualcosa di nuovo. Sia benedetta la tv!
Sutherland: È molto difficile raccontare una bella storia in due ore, in tv invece hai l’opportunità di approfondire la complessità dei personaggi ed esplorare tutti i dettagli. E soprattutto nessuno ti chiede di ridurre il tuo cachet!

E il titolo Trust, a cosa si riferisce?
Boyle: Al fattore economico. J.P. Getty è stato un pionere anche nel trovare il modo di evitare di pagare le tasse a livello internazionale, tramite il Sarah Getty Trust, fondato in onore della madre, di cui controllava tutte le società. Comprava opere famose per milioni di dollari e, donandole al proprio museo, poteva dedurle dalle tasse.

Passiamo alla presenza italiana della serie. Luca, quanto sapevi della storia?
Marinelli: Avevo letto dei fatti, sapevo chi era Getty, ma non conoscevo i particolari. Nella serie interpreto Primo, il collante tra Roma e la Calabria. È stato interessante esaminare queste due famiglie così diverse, legali e illegali, con molto in comune. È stato complicato imparare il dialetto: in Calabria ci andavo da bambino, ma non ero mai stato sulla Sila, ho scoperto posti che non conoscevo. Primo doveva essere credibile, non volevo scherzare su nulla: parliamo della ‘ndrangheta, un’organizzazione criminale purtroppo legata alla storia del nostro Paese.

Una puntata è girata da Emanuele Crialese. Com’è stato lavorare con registi diversi?
Marinelli: Ho recitato con cinque registi, quando fai un film crei una connessione profonda, ma in questo caso ho condiviso la mia esperienza con cinque anime. È stata un’esperienza davvero particolare.