Luca Bizzarri, ci vorrebbe un amico (o forse no) | Rolling Stone Italia
Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra

Luca Bizzarri, ci vorrebbe un amico (o forse no)

È uno dei pochi comici, insieme al suo compare Paolo, che tira bordate da entrambe le parti, spinto dal semplice desiderio di raccontare la realtà per quella che è. Anche se così passi da stronzo. Una chiacchierata in questi giorni che è partito il suo tour teatrale, titolo: 'Non hanno un amico'. Appunto

Luca Bizzarri, ci vorrebbe un amico (o forse no)

“Non hanno un amico”. Luca Bizzarri non ci gira intorno (e noi proprio per questo lo amiamo) e trasforma in spettacolo teatrale la cosa probabilmente più bella che abbiamo visto, udito e seguito durante le ultime elezioni elettorali: il suo podcast NonHannoUnAmico. È nato tutto lì, tra un seggio e l’altro, una sparata e un post di troppo. Lo spunto è semplice: il monologo che Luca Bizzarri porta in scena, dal 5 maggio, in tutta Italia (prima tappa a Ferrara, poi Torino, Bologna, Genova, Milano…) parte dalla domanda che tutti ormai ci facciamo ascoltando governo e opposizione. Ovvero: “Ma questi non hanno qualcuno che gli vuole bene e dica loro che stanno facendo una cavolata?”.

Però, Luca, pure tu…
Cosa?

Be’, hai fatto LOL – Chi ride è fuori e lo show di Loretta Goggi, Benedetta primavera. Ogni settimana sei su La7, con Paolo, a Dimartedì. Hai appena girato il nuovo film Da grandi di Fausto Brizzi e ora stai viaggiando per mezza Italia. Pure tu non hai un amico che ti dica: “Fermati e riposati”.
Ma io sono il capostipite dei #NonHannoUnAmico. Chi, come noi, non ha un amico è come i gay: abbiamo il radar, ci riconosciamo subito!

Perché, oltre al podcast, hai voluto fare anche il tour? Intendo oltre che per i soldi…
In realtà i soldi a teatro sono una chimera: credo che nessuno lo faccia per questa ragione. La verità è che da un po’ volevo provare a scrivere un monologo e poi, quando sono arrivato alla puntata 160 del podcast, mi sono detto: “Be’, forse l’ho già scritto”. Spero di essere riuscito a tirare fuori, da tutto questo materiale, 50 minuti buoni. Ovviamente ci saranno anche delle parti inedite.

Nello show, come nel podcast, prendi parecchio in giro i politici. E dire che dopo Berlusconi la satira veniva data per spacciata: possiamo dire che gli allievi hanno superato il maestro?
Superato no, perché il maestro resta il maestro. Però devo dire che Berlusconi è stato l’unico che talvolta, in qualche modo, riusciva a essere sia un politico autorevole che il simpatico guascone del bar. I politici di oggi invece non ci riescono quasi mai: non hanno autorevolezza e, quando cercano di fare i simpatici, risultato spesso patetici.

Non salveresti proprio nessuno?
Dal punto di vista della comunicazione, l’unico che salverei è Di Maio, perché è stato zitto e si è trovato un lavoro.

E cosa ne pensi di Renzi a capo del Riformista?
La cosa che mi piace di Renzi è che fa sempre incazzare tutti. Qualsiasi cosa faccia. In questo mi rivedo moltissimo… me lo fa risultare abbastanza simpatico.

Qualcuno ha mai chiesto a te e a Paolo di entrare in politica?
Noi due facciamo cose molto più serie… (ride)

Se fossi al governo, quale sarebbe la prima cosa che faresti, oltre alla legalizzazione della droga?
Come hai fatto a capirlo subito?! Essendo io un vecchio radicale – faccio parte di quel 1,5% in cui sono confinati da cinquant’anni i radicali – farei tutte le cose che farebbero loro. Tipo chiamare Cappato e dirgli: fai tutto tu.

Hai dichiarato: “A me non piace parlare di politica, mi piace parlare di comunicazione politica”. Scusami ma è un distinguo un tantino paraculo: ormai le due cose coincidono, visto che sono sempre e solo chiacchiere…
Lo dicevo nel senso che difficilmente vado a contestare le scelte politiche: non mi interessa dire la mia sullo ius soli o il decreto legge tal dei tali. Preferisco parlare del video della Meloni che sembra girato da Kubrick o di Nardella che fa lo spiritoso facendo finta di fare l’autostop. Queste sono le cose che mi piace sottolineare. Quanto alle scelte politiche, a volte sono d’accordo con quelli di destra, altre volte con quelli di sinistra.

Per fare il tuo mestiere ci vogliono talento ironico, intelligenza e un po’ di stronzaggine. Di quale di queste tre qualità ti senti più dotato?
Forse di quello che tu chiami talento ironico, che per me vuol dire saper spostare il proprio punto di vista. Mi riesce abbastanza bene osservare da un’altra angolazione il mondo. Poi probabilmente sono anche un po’ stronzo…

Tu, Paolo e Maurizio Crozza siete i pochi comici che parlano di politica in maniera poco faziosa. Ve la prendete sempre con tutti, senza distinguo. Questa libertà ha avuto un prezzo?
L’unico prezzo – anche se è una parola grossa – è che non hai amici. Io vengo definito ora come fascista da quelli di sinistra, ora come comunista con il Rolex da quelli di destra. Anche perché il vero “dramma” della situazione attuale è che il comico viene visto come un avversario politico. È scomparsa la distinzione tra i ruoli: se faccio una battuta su Gasparri, questa non viene presa come tale e immediatamente ti danno del comunista.

Però sui social tu ci sguazzi: su Twitter replichi alle critiche, rispondendo a tono a vip e non. Si tratta di sadismo, masochismo o cos’altro?
Si chiama: tempo da perdere! (ride) Però c’è anche da dire che mi diverto a rispondere ai “potenti”: mi piace rotolarmi nel fango con loro e vedere quanto la loro vanità li spinga ad avere l’ultima parola, senza capire che si stanno confrontando con uno che dovrebbero, semplicemente, lasciare perdere. Mi diverte molto.

Mai ricevuto querele?
Uh, sì, sì. Un paio di volte ai tempi delle Iene. E poi una volta per una roba su Twitter, ma non c’entravano i politici.

Direi però che è andata bene, visto che sei ancora qui tra noi, da uomo libero…
Sì, per ora sì. Tra l’altro ne ho anche fatte, di querele.

Chi hai denunciato? Qualcuno di potente?
Qualcuno di fesso, ma non ti farò mai i nomi anche perché la denuncia non si è ancora chiusa.

La mia impressione però è che siamo davanti a una pandemia di “stupidera”: passi per noi italiani, che siamo da rinchiudere ormai da un po’, ma negli Stati Uniti hanno avuto Trump e poi Biden, in Francia volevano tagliare le pensioni, in Russia Putin ha sbroccato… Cosa sta succedendo?
Ne parlo anche nello spettacolo e dico che mi sento come se stesse per finire tutto. Da quando è arrivato il Covid è successa tutta una serie di eventi per cui dici: “Cazzo, ma sta finendo il mondo”. Un po’ ci scherzo, ma un po’ ho anche iniziato a vivere davvero alla giornata… Della serie: arriviamo a sera e divertiamoci finché si può. Sembra che ci sia un ammattimento generale e non solo tra i politici: la stessa gente comune mi sembra più arrabbiata, cattiva. Mi pare che siamo usciti peggiori dalla pandemia…

Tra le apocalissi paventate ora c’è anche l’Intelligenza Artificiale. Cosa ne pensi?
Ho fatto un esperimento. Ho provato a fare realizzare una puntata del mio podcast all’IA. È stato impressionante, quindi te lo racconto. Gli ho detto: “Fai un pezzo di satira politica”. E lui ha fatto un pezzo su un politico che promette delle cose durante alle elezioni e poi non le mantiene. Gli ho detto che doveva dare un nome al politico, altrimenti non avrebbe fatto ridere, e lui ha scelto un nome di fantasia. “Di’ un politico esistente”, ho precisato. Allora ha scelto Matteo Salvini. Quando gli ho domandato come mai proprio lui, si è bloccato, ha riflettuto e poi ha detto di averlo selezionato per via del suo seguito social. A quel punto gli ho chiesto di fare la stessa gag, ma con la Meloni protagonista. Si è rifiutato dicendo che non poteva perché “sono una IA e non posso prendere in giro persone esistenti”. Gli ho fatto notare che Salvini è esistente, e a quel punto l’IA si è giustificata dicendo: “Ho scelto Salvini perché ho sbagliato”. Allora ho rilanciato: “Mi fai una storia di satira politica senza parlare di nessuno?”. Risposta: “No”. Ed è andato in blocco. A me ha fatto spavento perché sembrava che si fosse accorto di aver pestato una merda e, per questo, si è tirato indietro.

Quindi sei preoccupato?
La prima volta che sono andato su Altavista mi era sembrata poca cosa, invece poi cavolo se ci ha cambiato la vita… Quindi se tanto mi dà tanto, non bisogna sottovalutare l’IA.

A proposito di mondi avveniristici, parliamo della Rai. Mandare Quelli che il calcio… in prime time era un suicidio annunciato. Perché avete accettato una cosa del genere?
Sì, probabilmente era un suicidio annunciato ma perfino adesso, con il senno del poi, lo rifarei per un semplice motivo, che poi è lo stesso che ci ha spinto ad accettare il passaggio in prime time: per tutelare la nostra squadra di lavoro. Se avessimo rifiutato, tutta questa gente sarebbe rimasta a piedi. Sarebbe stato da vigliacchi. Quindi ci abbiamo provato pur sapendo che portare alla sera uno show del pomeriggio, che peraltro andava bene, era da matti.

Ma esattamente chi avete fatto arrabbiare per meritarvi una collocazione così kamikaze?
Capire i meccanismi che portano alle decisioni Rai è difficilissimo. Chiunque lavori nel pubblico dovrebbe fare un paio di anni a viale Mazzini, quasi come una sorta di corso intensivo: se sai muoverti lì, puoi muoverti ovunque. Io non so farlo e quindi non sono in grado di dirti perché ci abbiano spostato in prime time. Onestamente non so nemmeno se esista una persona che lo sappia davvero.

Però potevate giocarvela meglio e gridare all’epurazione.
In realtà il vero momento in cui avremmo potuto un po’ lamentarci, ma senza gridare all’epurazione, è stato quando ci hanno chiuso Quelli dopo il Tg2: facevamo il doppio di quello che fa ora Tg2 Post. Quella fu una mossa politica perché evidentemente lo spazio dopo il Tg2 delle 20:30 faceva gola a qualcuno…

Tornerete in Rai?
Non al momento, anche perché in Rai non si può fare satira: non esiste uno spettacolo – uno! – che la preveda. Ed è un peccato, perché in passato le reti pubbliche erano la culla della satira politica.

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