Lo Sphere è davvero il futuro della musica e del cinema? | Rolling Stone Italia
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Lo Sphere è davvero il futuro della musica e del cinema?

Dopo l’inaugurazione del grande show degli U2 e il lancio del film ‘Postcard from Earth’ di Darren Aronofsky, in tanti si chiedono se la venue di Las Vegas costituirà il nuovo standard per l’intrattenimento. Ne abbiamo parlato con chi ci lavora: il producer e sound engineer Francesco Donadello

Lo Sphere è davvero il futuro della musica e del cinema?

‘Postcard from Earth’ di Darren Aronofsky proiettato al nuovo The Sphere di Las Vegas

Foto courtesy of Francesco Donadello

Quando il 31 luglio del 1969 Elvis salì per la prima volta sul palco del nuovissimo International Hotel di Las Vegas, ancora non sapeva che da lì a poco sarebbe diventata la sua “casa”, cambiando per sempre la conformazione dei live show e trasformando Las Vegas nell’unica città al mondo che potesse offrire tale esperienza. «L’ampio palco era largo 20 metri, con un sipario in lamé dorato di fabbricazione austriaca pesante 45 quintali. L’arredamento ricercato comprendeva lampadari di cristallo e figure di angeli appesi al soffitto e un mix di dipinti e statue dell’epoca greca, romana e Luigi XIV. Un’ambientazione adatta per un re che fa il suo grande ritorno».

Precisamente 56 anni dopo, Las Vegas resta stabile nell’Olimpo dei live show con una delle esperienze che potrebbero realmente modificare e cambiare per sempre il mondo dell’intrattenimento: lo Sphere, una cupola ricoperta completamente da uno schermo LED che avvolge l’intero spazio sferico, fornendo una visione a 360° della performance. Chi non si è perso ammirando i video del primo live degli U2?

Abbiamo avuto il piacere di parlarne con il producer e sound engineer Francesco Donadello, collaboratore di nomi come Rick Rubin, Hildur Guðnadóttir, Jóhann Jóhannsson, Modeselektor, Thom Yorke, Moderat, Ludovico Einaudi, Katy Perry, David Sylvian, Ben Frost, produttore di alcune colonne sonore diventate ormai iconiche come Chernobyl (Grammy 2020) e Joker (Oscar 2020), entrambe di Guðnadóttir. L’ultima fatica è stata la registrazione, negli studi di Abbey Road, della colonna sonora firmata dal compositore Rob Simonsen (The Whale) e realizzata per il primo lungometraggio prodotto in esclusiva per lo Sphere, Postcard from Earth di Darren Aronofsky, presentato in anteprima il 6 ottobre.

Con lui abbiamo discusso dei molteplici vantaggi che tale struttura offre e di come potrebbe rappresentare realmente un nuovo standard per l’industria cinematografica e dell’intrattenimento, rivoluzionandola del tutto.

Francesco Donadello al lavoro con il compositore Rob Simonsen. Foto courtesy of Francesco Donadello

Quali sono state le difficoltà nel concepire qualcosa che viene riprodotto da 167 mila speaker?
In generale, trattandosi dello Sphere, non si può discutere della sua conformazione acustica senza spiegare come si sviluppa il video su cui si va successivamente a lavorare: le due cose sono perfettamente interconnesse tra loro. Stiamo parlando di uno spazio che ha una capacità di circa 17.600 posti, completamente sferico anche al suo interno, con uno schermo largo 180° sia in verticale che in orizzontale e una risoluzione di 18K: quindi sei completamente immerso nella sfera, sia a livello visivo che percettivo, tanto da avere la sensazione che lo spazio sia effettivamente molto più grande rispetto alla sua dimensione. Postcard from Earth di Darren Aronofsky, il primo film riprodotto nella sfera, è stato concepito in parte in animazione CGI, mentre tutto il resto è una ripresa reale che comprende tutti i continenti del mondo, tanto che Darren ha dovuto utilizzare una camera sviluppata appositamente per Sphere, di nome Big Sky, che ha una lente grandangolare enorme, priva di difetti e distorsioni. Tra l’altro, una delle riprese è stata effettuata nel Teatro Regio di Parma, e ci sono anch’io come parte integrante del film: registro una violinista che suona sul palco.

Come si interconnettono suono e visione, dunque?
Quindi partendo da questo schermo LCD che ricopre completamente lo spazio visivo, lo stesso processo avviene per la sua strutturazione sonora. Realizzata in collaborazione con una società di Berlino, HOLOPLOT, il sistema chiamato X1, che si sviluppa secondo la tecnologia Wave Field Synthesis (tecnica di rendering audio spaziale che colloca sorgenti sonore virtuali nello spazio reale), è un modulo al cui suo interno sono inseriti più speaker, utilizzabili anche singolarmente, all’incirca 16 da 5 pollici e 64 da 1,3 pollici, quindi in totale 81 speaker solamente per un modulo, con una pressione sonora media di 140 decibel. Di questi moduli ce ne sono all’incirca 2000 nello Sphere. È abbastanza impressionante il setup di cui si dispone e il modo in cui è stato distribuito. Immagina che questi moduli non sono presenti in tutto lo schermo ma si suddividono su tre file orizzontali, nella parte centrale dello schermo, e poi ci sono diversi cluster che si muovono in verticale suddividendo perfettamente in due la sfera.

L’elemento veramente interessante e rivoluzionario di questi speaker è la modalità con cui puoi determinare la direzionalità del suono, da larga a molto a fuoco, e puoi decidere anche dove il suono deve essere strettamente concentrato tramite il 3D Audio-Beamforming (mappare e misurare l’intensità e la pressione sonora). Le onde sonore si comportano in una determinata funzione rispetto al materiale che tu vuoi far sentire e deciderne di conseguenza il range, ad esempio paragonabile all’utilizzo di una determinata lente quando scatti una foto.

Come avete lavorato per la registrazione della colonna sonora per sfruttare al meglio il sistema di cui mi hai appena parlato?
Partendo dal presupposto che stiamo parlando di qualcosa ancora in fase di sviluppo, tanto che esistono pochissime software house che progettano elementi per lo Sphere, sono entrato un po’ alla volta all’interno di questo progetto proprio per studiarne lo sviluppo tecnologico, e le limitazioni con cui dovevi confrontarti rispetto a una venue così grande, dal tempo di riverbero ad altre problematiche legate all’architettura del luogo. Il compositore che mi ha coinvolto in primis nel film è stato Rob Simonsen, autore della colonna sonora sia di The Whale che di Postcard from Earth, e abbiamo iniziato a parlare di quest’idea nella primavera di quest’anno, capendo insieme come sfruttare al massimo questa nuova tecnologia. Successivamente, siamo andati fisicamente dentro lo Sphere i primi di luglio, abbiamo fatto alcuni test audiometrici e playback audio, e abbiamo ascoltato alcune session pre-registrate, così come dei demo della colonna sonora stessa. È stata una fase di analisi molto importante per comprendere come registrare effettivamente l’orchestra ad Abbey Road. In realtà abbiamo registrato con un sistema abbastanza standard, ma quello che abbiamo cercato di fare è stato suddividere l’orchestrazione in più sezioni in modo che ogni parte fosse separata e potessimo poi posizionarla liberamente all’interno di un sistema audio così complesso.

L’interno dello Sphere col palco degli U2. Foto courtesy of Francesco Donadello

Quindi hai cercato effettivamente di simulare in fase di registrazione il sistema sferico dello Sphere?
Sì, assolutamente, sfruttando anche la microfonazione Atmos che ormai rappresenta uno standard cinematografico, tanto che le stesse produzioni spesso richiedono un mix anche in questo determinato formato.

Che vantaggi offre per chi lavora nel mondo della musica per il cinema?
Prima di tutto, puoi usufruire di una dinamica sonora incredibile, puoi andare dai pianissimo a qualcosa di veramente strabordante. Di solito è molto complicato sfruttare una dinamica così dettagliata. Nonostante conosca dei cinema e dei teatri che hanno impianti molto belli, all’avanguardia, la maggior parte non riesce a mantenere uno standard così alto: sei costretto a rispettare determinati parametri sapendo che non puoi spingerti oltre ciò che l’impianto di riproduzione ti offre. Quindi, sicuramente la dinamica è il primo elemento che ti permette di sfruttare a pieno il lavoro che viene realizzato sul sonoro. In più hai questo uso della spazialità in maniera quasi estrema, nel senso che puoi localizzare il suono in qualsiasi parte della sfera in maniera precisa, realizzando delle composizioni che devono essere specificamente pensate per uno spazio del genere, ampliando anche le possibilità sonore di un compositore o di un sound designer. Secondo me nella musica può aprire dei confini veramente interessanti, puoi pensare di ricreare dettagliatamente un’ipotetica realtà sonora all’interno della sfera, così come un mondo fantastico, riuscendo a raggiungere una prospettiva che prima non potevi affatto ottenere e soprattutto immaginare. Puoi realmente guidare lo spettatore verso un mondo compositivo immaginario. In verità, se poi ci vai a pensare, non parliamo di qualcosa di nuovissimo: in passato tanti compositori sperimentali, penso a Stockhausen, lavoravano su questo aspetto. E molti compositori sperimentali di oggi sono interessati allo Sphere perché c’è la possibilità di sfruttare un sistema multicanale. Dietro c’è tutta una corrente sia cinematografica che di composizione musicale pensata appositamente per fare cinema e audio per venue specifiche. Le possibilità di produzione musicale sono effettivamente infinite: oltre agli speaker presenti intorno alla sfera, nella maggior parte delle sedute c’è uno speaker singolo, attaccato letteralmente alla sedia, che può essere sfruttato per specifici sound effect. In una scena di Postcard from Earth, per esempio, c’è un elefante che cammina dirigendosi quasi verso lo schermo, e anche la seduta risponde ai suoi movimenti, così come la composizione musicale, che dà un sensazione di movimento grazie alle onde sonore basse che arrivano dagli speaker. Ogni seduta può essere sfruttata per avere il suo effetto specifico.

Secondo te, in che modo lo Sphere rivoluzionerà l’intrattenimento dal vivo, accelerando la sua evoluzione in un mondo dove poter usufruire di un’esperienza digitalmente sofisticata? È replicabile?
A titolo del tutto informale, posso dirti che voci di corridoio mi dicono che ci sia l’intenzione di replicare la stessa venue in Europa. Ovviamente è un progetto molto impegnativo, stiamo parlando di un investimento di 2,5 miliardi di dollari, non accadrà nell’immediato. L’idea, secondo me, è quella di costruire effettivamente delle altre sfere, che rimarranno però legate a un posto, uno spazio esclusivo dove poter usufruire di questo spettacolo. Dal punto di vista dell’esibizione, è un po’ come il concept di Disneyworld: solo lì puoi avere un certo tipo di esperienza, vivere qualcosa che viene pensato appositamente per il parco. Per il momento non credo ci sia la possibilità di traslare una tipologia così specifica di film come Postcard from Earth o come l’evento degli U2 che ha aperto la stagione. Per un film, secondo me, il processo è ancora più intenso perché trae realmente vantaggio dalla possibilità dell’audio multicanale e di uno schermo così grande per creare un’esperienza completamente diversa dal punto di vista della visione cinematografica e dell’esperienza nella sua totalità. Per replicarlo dovresti andare a tagliare delle parti della pellicola del film, sarebbe una visione completamente distorta. Non avrebbe molto senso.

Al di là delle possibili difficoltà nel replicare questa esperienza cinematografica, oggi spesso si discute sul perché le persone non vadano in sala preferendo quasi sempre la fruizione casalinga, tanto che le stesse piattaforme stanno studiando dei sistemi di audio spaziale. La nascita dello Sphere potrebbe in qualche modo aprire un dibattito in questo senso?
Sicuramente la nascita dello Sphere stimola l’apertura di una discussione, dà un’altra prospettiva su ciò che è la fruizione cinematografica oggi. Per vedere un film prodotto appositamente per quella determinata tipologia di visione, devi per forza andare in questa location. Non è un sistema replicabile a casa o in altri spazi, è un’esperienza unica. Io resto dell’opinione che bisogna andare al cinema, nel senso che va benissimo usufruire di alcuni prodotti via streaming, non ne sono affatto contrario, ma dipende anche da cosa si vuole vedere. Ci sono dei film che devono essere vissuti espressamente al cinema: è proprio un’esperienza diversa, è come dire vado realmente in vacanza in Giappone oppure lo vedo attraverso lo schermo del mio computer in un documentario. Inoltre il suono che hai in un qualunque cinema è sempre meglio della resa sonora che hai a casa, non c’è paragone.

Lo Sphere a Las Vegas. Foto courtesy of Francesco Donadello

Si può dire che in un film come Oppenheimer la colonna sonora componga quasi il 70/80% della narrazione, dando l’idea del personaggio e di come Nolan abbia voluto costruire la storia. Pensi che la nascita dello Sphere sia un ulteriore passo verso un cinema sempre più interattivo, anche a discapito della narrazione?
Spero che lo Sphere possa rappresentare effettivamente un’opportunità a livello di ispirazione per altre produzioni cinematografiche. Credo che andare a Las Vegas e avere questa esperienza sia un’esperienza interessante non solo per il pubblico generalista, ma soprattutto per i professionisti del settore, per comprendere a pieno se si possa concretamente fare qualcosa in più anche senza realizzare una produzione legata a quella location, ma ispirandosi a questa interazione e a questa tridimensionalità che sono in parte replicabili. Oggi molte sale cinematografiche dispongono di tecnologie come Dolby Atmos o IMAX, che possono ottemperare a tali mancanze. Ovviamente stiamo parlando di mezzi che possono essere messi a disposizione della creatività del regista ma che non devono rappresentare un vincolo. Pensando ad esempio a Quentin Tarantino, non credo sia un regista che si sposi perfettamente con la tecnologia dello Sphere: ha sempre avuto una visione molto vintage, ed è sempre stato molto legato allo storytelling. Però ci sono tanti altri registi a cui questi mezzi potrebbero servire per ampliare le proprie possibilità narrative ed essere ispirati da questa nuova immersione sonora.

È da molti anni che collaboro con compositori per il cinema, e ho sempre tentato di convincerli a scrivere la loro musica ragionando già con un audio in multicanale, in modo da avere senso a livello surround. Un po’ alla volta, penso di esserci riuscito, come con le colonne sonore di Assassinio a Venezia e di TÁR, entrambi composte dalla premio Oscar Hildur Guðnadóttir. C’è l’ambizione di lavorare con il suono in maniera avanzata, considerando la colonna sonora non come qualcosa che viene dopo la realizzazione del film, ma ragionandoci già in fase compositiva, coinvolgendo anche il regista su quelli che saranno i suoni utilizzati e su come verranno successivamente mixati.

Ti sei sentito un po’ come Elvis che entra per la prima volta nella sala da concerto dell’International Hotel? Ti senti parte di qualcosa che potrebbe cambiare letteralmente la storia dell’intrattenimento?
Credo che se non hai un minimo di stupore quando entri nello Sphere, tu non disponga di emozioni umane (ride). Lo schermo è il primo elemento che ti rapisce in maniera profonda: non hai mai visto una cosa del genere. Quando sei seduto e vedi queste immagini così grandi, con una qualità audio stupefacente, è quasi come dicono gli americani: bigger than life. La seconda cosa a cui pensi subito dopo esserci entrato è come poter realmente sfruttare tutte le potenzialità di quel luogo.

Darren Aronofsky's Postcard From Earth | Behind the Scenes

Se infatti per un regista come Aronofsky l’ambizione è stata quella di girare un film che avesse una riproduzione in 18K, studiandone le inquadrature e gli effetti visivi, qual è stata l’ambizione per te e per Rob Simonsen nel realizzare la colonna sonora, creando quasi un nuovo standard per il futuro?
L’idea al principio era avere una composizione che si basasse principalmente sull’orchestra. Soprattutto il primo brano, che si trova a metà del film, mostra quale fosse effettivamente la nostra ricerca sonora. L’elemento da cui siamo partiti è l’uso delle parziali armoniche di un gong, che non sono tutte le note precise, ma microtonali. Tutta la composizione è stata quindi scritta creando degli accordi che andassero a simulare le armoniche del gong: li abbiamo registrati attraverso orchestra e synth, con tutti i musicisti che eseguivano degli accordi con queste intonazioni fuori scala. È stato molto interessante da realizzare, abbiamo voluto creare una commistione tra musica acustica ed elettronica. In un altro brano, invece, siamo partiti dall’elettronica riprocessando l’orchestra dopo la registrazione, filtrandola, scomponendola, mettendo in risalto una linea di violino presente all’interno della sequenza del Teatro Regio di cui ti parlavo prima. Questo brano è basato unicamente su questo assolo, che si scompone proprio a livello di note.

A parte questi due brani, il resto è quasi tutto orchestra vera e propria, la sfida era avere un senso di immersione sonora totale. L’idea iniziale era proprio quella di portare lo spettatore all’interno dell’orchestra, ma ci siamo successivamente resi conto che potevamo spingerci ancora più in là, sfruttando non solo la spazialità ma anche la verticalità, suddividendo più elementi così come alcune sezioni vocali del coro, che puoi ascoltare davanti o dietro di te. Il film è composto principalmente da queste immagini bellissime del pianeta Terra, non ci sono molti attori, c’è solamente un voice-over che guida la narrazione, quindi c’era molto spazio per la musica. La composizione e i sound effect la fanno da padroni in questa produzione. Nello Sphere, lo spettatore è completamente immerso nella musica dello Sphere.