‘La timidezza delle chiome’: così si fanno i documentari | Rolling Stone Italia
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‘La timidezza delle chiome’: così si fanno i documentari

Abbiamo incontrato Benji e Josh, i due gemelli omozigoti con una disabilità intellettiva al centro di uno dei titoli italiani più sorprendenti della stagione. E la regista Valentina Bertani, che ci ha spiegato come è riuscita a raccontare questa incredibile storia

‘La timidezza delle chiome’: così si fanno i documentari

Benjamin e Joshua Israel sono i protagonisti del documentario ‘La timidezza delle chiome’

Foto: I Wonder Pictures

«La smetti di fumare?», dicono i due ragazzi che hanno l’aria di essersi appena alzati, chiome sconvolte, volti stropicciati come le camicie, occhiali da sole scuri. Si rivolgono a Irene Pollini Giolai, co-sceneggiatrice del film su di loro. La prima volta che ho incontrato Benjamin e Joshua Israel è stato alla Mostra del Cinema di Venezia, dove La timidezza delle chiome di Valentina Bertani è stato presentato nella sezione Giornate degli Autori (nelle sale arriva ora, il 10 novembre, distribuito da I Wonder Pictures). Erano seduti in uno dei bar sulla spiaggia del Lido. Non avevo ancora visto il film su di loro, né conoscevo la loro storia (due ragazzi gemelli omozigoti, ebrei osservanti, musicisti, con una disabilità intellettiva). I volti spigolosi, gli occhiali neri da Blues Brothers, i capelli a cespuglio, con i ciuffi – anche quelli “gemelli” – vagamente “rockabilly” davano loro un’aria da veri ribelli punk rocker.

«Quel giorno, dopo che ci siamo incontrati in spiaggia, siamo andati con i ragazzi a scattare un po’ di foto», racconta la regista Valentina Bertani. «Poco dopo è arrivato un uomo della security per dirci che non potevamo stare vicino ai capanni. Gli abbiamo detto che avremmo fatto ancora solo un paio di scatti e ce ne saremmo andati. Poi però ci siamo dilungati. L’uomo è tornato. Josh gli ha ringhiato contro: “Mo’ hai rotto il cazzo!”. L’uomo, poco meno di due metri per cento chili, era totalmente interdetto. Nessuno deve avergli mai risposto così, specie uno che non pesa nemmeno la metà. Benji e Josh non hanno alcun filtro. Ci siamo subito identificate in loro, dal primo momento in cui li abbiamo conosciuti. Sembrano i figli di Harmony Korine». Valentina usa il plurale femminile perché della Timidezza delle chiome è regista, sceneggiatrice e ideatrice, ma il progetto è un lavoro collettivo di una crew di molte ragazze e qualche ragazzo (oltre ai due magnifici protagonisti): dalle co-sceneggiatrici Irene Pollini Giolai e Alessia Rotondo alle produttrici esecutive Federica Spina e Alessia Tonellotto, moglie di Valentina, e poi il co-sceneggiatore Emanuele Milasi e i direttori della fotografia Edoardo Carlo Bolli ed Emanuele Mestriner.

«Una scena analoga alla precedente ci è accaduta andando verso il red carpet», continua la regista. «Abbiamo chiamato un taxi ed eravamo già vestiti da red carpet, io in Givenchy…». «La racconto io!», la interrompe Benji. «Josh aveva una lattina di Coca-Cola in mano: “Adesso te la rovescio addosso!”. Lui fa per versare la Coca sulla Vale, lei sposta la gamba e una goccia cade per terra sul taxi. Il tassista si è arrabbiato e ha tirato giù Josh di forza. Lo volevo mena’! Mi ha trattenuto la Ale (Alessia Tonellotto, nda). Dopo un po’ abbiamo cambiato taxi…».

Ora, a quasi due mesi dalla Mostra di Venezia, alla vigilia dell’uscita in sala del film ci troviamo a Chiaravalle, quartiere alla periferia di Milano, in un bar vicino alla nota abbazia. Benji sta guardando sul telefonino una serie tv sui vampiri (The Vampire Diaries) e racconta la trama a Valentina e Alessia. Joshua invece non si sente troppo bene ed è più taciturno, il che è curioso perché a Venezia era il contrario: Josh tendenzialmente più spavaldo e chiacchierino, Benji più silenzioso. «Lo fanno da sempre, il gioco di alternarsi o scambiarsi i ruoli», osserva Monica Carletti, la madre. «Si sono spesso spacciati anche l’uno per l’altro, ma io li riconosco da prima ancora che nascessero…». Sulla salute di Joshua, Benjamin scherza molesto: «Ha il Covid! Ha il Covid!», in realtà la madre gli ha appena fatto un tampone ed è negativo. Poi ne ha per noi: «Tu scrivi per Rolling Stone?! Non mi piacciono i Rolling Stones, fanno cagare!».

Passiamo a parlare di come è nato il film. «Io e mio fratello stavamo andando a giocare a calcio», racconta Benjamin. «La Vale ci ha visti in strada, ci ha avvicinati e ci ha raccontato che voleva fare un film su di noi. “Sono troppo belli!”, si sarà detta. Noi però ce ne sbattevamo totalmente. Lei ha chiesto se fossimo maggiorenni. “Ma che vuole questa da noi? Chi ti conosce?”. Non mi fidavo per niente dei suoi capelli (Valentina ha trecce rasta, nda), ce ne siamo andati. Lei però non ha mollato, ha cominciato a chiedere di noi in giro e rimediato il numero di telefono della signora seduta vicino a te (la madre dei ragazzi, nda). Ci ha voluto conoscere, è venuta a casa nostra, ma io continuavo a chiedermi: “Che vuole questa da me e da mio fratello? Perché me vo’ rompe’ li cojoni?!”. Dopo un po’ abbiamo cominciato a vederci per alcune cene, all’inizio con mamma e papà (Sergio Israel, nda), e alla fine ci ha convinti. E abbiamo cominciato a girare. Se vedo il film adesso fisicamente non mi riconosco più, sono cambiato tanto! Guarda il taglio di capelli (sfoggia una chioma tagliata, nda)».

La timidezza delle chiome ci fa entrare nel mondo di Benji e Josh. Mette a fuoco il loro vero esame al liceo musicale Marconi (batterista il primo, trombonista il secondo), i loro amori, le guide in auto con il padre, il campeggio ebraico, le preghiere in sinagoga (girate nella sinagoga di Mantova, perché ottenere i permessi a Milano è più complicato) e, infine, il viaggio in un campo militare in Israele in cui decidono di andare (nel film non viene mostrato ma Joshua è stato poi premiato come migliore cadetto). E adesso, cosa succederà? «Io sono già attore, calciatore, batterista…», dice Benji, che parla sempre in romanesco, anche nel film, benché sia milanesissimo. Gli chiediamo come mai. «Facevo gli scout e a ogni campeggio a Roma, Torino o Firenze, stavo di più con le regazze, le pischelle romane, e mi hanno attaccato questa bellissima “malattia”. E da mo’ sto a parla’ romano. La mia testa è Roma, ‘a città mia. Nella mia testa ci vivo già…».

«Io non so cosa voglio fare», risponde Josh, «forse un giorno tornare nella base militare israeliana che ho frequentato. Ho conosciuto anche il mio migliore amico, Akiva (un ragazzo autistico, nda), non parla mai con nessuno e con me invece parla. E poi mi piace sparare, sono bravo, ho una buona mira. Finito il Conservatorio, che abbiamo già cominciato e dura sette anni, vorrei tornare in Israele. Sono bravo anche a pallacanestro e nel tiro con l’arco». Nel film vediamo Josh giocare a basket. Indossa la canotta numero 43 dell’Olimpia Milano, il numero del campione croato Krunoslav Simon, ex giocatore dell’Olimpia (scudetto nel 2016). «“Kruno” è il mio idolo! Ecco perché indosso la sua maglia!». Dopo le riprese, la regista invece è riuscita a fare avere un video in cui Francesco Totti saluta il “romano” e romanista Benji, e gli ha fatto avere una maglia con autografo. «Ciao Benji, sono Francesco Totti. Come stai? Ti mando un saluto grande. Fa’ il bravo!». Valentina ha anche filmato Benji mentre guarda in loop il video-regalo: «Nooooo! Il capitanooooo! Nooooo! Grandeee!».

Benji e Joshua nel campo militare in Israele. Foto: I Wonder Pictures

Dato che il film mostra Benjamin e Joshua alcune volte in preghiera e in sinagoga, chiediamo ai ragazzi se sono religiosi. Risponde Benjamin: «Io credo in Dio, ma non credo alla Madonna, a Gesù e ai santi. Osservo lo Shabbat, dal venerdì sera fino al sabato sera, quando poi esco a bere e a vedere le pischelle. Fino a qualche tempo fa pregavo tantissimo, ora meno. Siamo circoncisi, fa ancora male solo pensarci…». Interviene Joshua: «Ero religioso, soprattutto al campeggio ebraico. Prima credevo in Dio, adesso no». «Ecco perché sei un maleducato!», lo incalza Benji.

Il titolo La timidezza delle chiome fa riferimento ad alcuni tipi di alberi che, quando crescono parallelamente, a un certo punto della loro esistenza smettono di toccarsi con i rami. «La teoria», osserva Valentina, «è che lo facciano per non farsi ombra a vicenda». Il titolo rimanda alla personalità dei fratelli, ma anche alle loro chiome (anche se ora le hanno tagliate parecchio). «Da gemelli», riprende Valentina, «Benji e Josh sono cresciuti insieme, ma poi devono anche separarsi per emanciparsi. Per avere un’identità distinta».

Il film ha avuto una gestazione di cinque anni ed è un ritratto potente, originale e poetico di due gemelli fra loro identici, ma diversi da tutto e tutti, a cominciare dal ciuffo. Tra ossessione per il sesso, arrabbiature, riconciliazioni, sgradevolezze e senso di inadeguatezza. Uno dei migliori documentari italiani dell’anno. Un’opera prima destabilizzante, sentita e davvero unica. Fa venire in mente quel commento di Roland Barthes alla foto Istituzione mentale di Lewis H. Hine in La camera chiara: «Io mi spoglio di ogni sapere, di ogni cultura… vedo solo l’enorme colletto inamidato del bambino (con la testa troppo piccola, nda), il dito fasciato della ragazza (dalla testa grande, nda)». O per dirla con Basaglia: «Da vicino nessuno è normale».