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“Atlanta”, l’intervista al protagonista Donald Glover

Donald Glover a.k.a. Childish Gambino ritorna su Sky Atlantic con la serie tv più cool del momento. Sempre a tempo di rap e trap

Atlanta nuova capitale musicale – ha polverizzato sia N.Y. che L.A. – grazie anche alle centinaia di strip club, all’interno dei quali si provano per la prima volta riff e track di hit future (per gli old school Dupri, Lil Jon, Ludacris, Cee Lo Green, 2 Chainz, T.I. e i nuovi discepoli da Lil Yachty a Gucci Mane e Young Thug fino ai Migos).
Atlanta città gemellata con Rio De Janeiro. Atlanta in continua evoluzione economica e urbanistica. Atlanta capitale dei diritti civili americani, Atlanta la nuova Hollywood grazie a tutti i Marvel, i vari Walking Dead, Stranger Things, e anche la prossima stagione di Mindhunter, e per finire… ATLANTA nuova città televisiva grazie a Donald Glover e al ritorno del suo show intitolato Atlanta Robbin’ Season (nuova sigla fuckin’ creativa!), che ritorna dopo un anno di pausa dal suo debutto nel 2016 – per permettere così a Glover di interpretare Lando Calrissian nello spin-off di Star Wars dedicato a Han Solo.

La serie, scritta, creata, prodotta e interpretata da Glover – in arte Childish Gambino e una carriera parallela da rapper – ci fa vedere la città in modo comico, reale, drammatico e grottesco, aggrovigliando la sua esperienza e quella dei suoi abitanti in una sitcom fresca, intelligente e surreale. Usando situazioni di vera vita, messaggi musicali, problemi razziali, cultura pop e celebrità, rapporti affettivi, gentrificazione, Atlanta segue le avventure di Earn (Glover) che, dopo aver abbandonato la prestigiosa Università di Princeton, decide di diventare il manager del cugino rapper Paper Boi (interpretato da Brian Tyree Henry) dopo che questi inizia ad avere un discreto successo su YouTube. Una laurea in scrittura drammatica e creativa alla Tisch School of the Arts di New York, Glover esordisce come sceneggiatore nella sitcom di Tina Fey, 30 Rock. Con Atlanta ha vinto due Golden Globe, attore e miglior serie comedy, e due Emmy per Outstanding Lead Actor in a Comedy Series e Outstanding Directing for a Comedy Series, il primo afroamericano a vincere come regista per una serie comica. Agli ultimi Grammy, dove ha vinto per Best Traditional R&B Performance con Redbone del suo terzo album Awaken My Love!, Glover ha annunciato che Childish Gambino andrà in pensione, anche se lui non finirà di rappare per lo show. Incontriamo i due protagonisti a Pasadena, mentre entrano, insieme al resto della posse, nella cavernosa Hall del Langham Hotel.

La seconda stagione non ha un numero, ma un titolo, Robbin’ Season. Cosa significa?
Glover: Finita la prima stagione abbiamo cercato di fare qualcosa di diverso, cercando di dimenticarci quello che era successo in precedenza. La prima stagione è stata girata durante l’estate mentre adesso siamo nel periodo invernale, prima delle vacanze natalizie. In Atlanta quel periodo viene definito Robbin’ Season, nel senso che in città aumentano i crimini perché tutti cercano di portare un po’ di felicità in famiglia e nelle proprie case, facendo più regali possibili. Purtroppo non tutti possono permetterselo. È il momento in cui se ordini qualcosa su Amazon è molto possibile che qualcuno te lo rubi davanti alla porta di casa. Mentre stavamo girando hanno rubato l’automobile alla mia vicina di casa che aveva parcheggiato in garage.

Henry: È un periodo abbastanza disperato, che si ripete ogni anno. I nostri personaggi stanno vivendo una fase di transizione, e quindi il titolo è la giusta metafora per quello che sta succedendo. Questa stagione è tutta sulla sopravvivenza e il senso di rabbia in una città che ci espone a situazioni difficili, dove le relazioni si creano e si distruggono, le amicizie vengono lacerate e forse sono impossibili da recuperare, e navigare per Atlanta è diventato oscuro e rischioso. Il senso del pericolo è sempre presente, perché la realtà è che, con la fama e la notorietà, si sviluppa anche un senso di perdita. Il titolo si riferisce all’incertezza del non sapere come cambia il mondo e come i personaggi si evolvono dopo aver assaporato il significato di successo, alla transizione dal loro passato al presente e al futuro.

C’è un motivo particolare per cui avete deciso di non definirla come una “seconda stagione”?
Glover: Sì, perché volevo far capire che non stiamo facendo solo uno show. Atlanta è un’esperienza di vita, culturale e musicale, che va oltre una semplice narrazione dei fatti. Sono contento di aver vinto dei premi, ma lo scopo di Atlanta è un altro, l’importante per me è raccontare storie di qualità intrattenendo il pubblico. I Globes e gli Emmy servono solo a darmi la possibilità di continuare lo show, magari incuriosire la gente sulla vita di persone diverse da loro, per andare oltre gli stereotipi, simpatizzare con realtà differenti.

Henry: Appena crei qualcosa di nuovo, tutti cercano di paragonarlo a qualcosa che conoscono, cercando di spiegare ciò che non capiscono. Robbin’ Season è un altro capitolo, ma questo non significa che Donald voleva sminuire la prima stagione: semplicemente voleva concentrarsi su qualcosa di nuovo e speciale, senza adagiarsi sul successo ottenuto finora.

In Robbin’ Season avete raggiunto una certa notorietà. Com’è il rapporto tra voi e l’industria musicale?
Henry: Nel business della discografia si dice: “Hai tutta la vita per fare il tuo primo album ma solo otto mesi per il secondo”. Volevamo creare un parallelo con il nuovo lavoro di Paper Boi, il primo è piaciuto e quindi la pressione per creare il secondo è davvero pesante. Non potevamo deludere nessuno.

Glover: Molti degli attori nello show erano sconosciuti, nessuno era famoso e quindi anche questo è un parallelo che gli attori vivono con i propri personaggi; è una realtà con cui devono convivere. Ho sempre pensato che scrivere cose che succedono realmente nella vita delle persone possa aiutare a immedesimarsi nel proprio ruolo, e quindi ho indagato nella storia personale di tutti i miei attori, inserendo molti elementi della loro esperienza nello show, così da rendere la storia più naturale e credibile, anche perché così nessuno di loro deve “recitare” e ricreare situazioni troppo lontane dalla realtà.

Atlanta è reale, onesta e diretta. È questa una delle chiavi del successo della serie?
È difficile prendere per il culo gli spettatori. Oggi le informazioni sono istantanee, puoi sapere tutto quello che vuoi in pochi secondi. Chi guarda la Tv sa benissimo quando una serie viene creata solo per soldi. Nel nostro show ci sono molti buchi che lo spettatore deve riempire, forse in un determinato momento viene detta una cosa e nessuno ne capisce il significato, ma poi ognuno tira le proprie conclusioni. Credo che molti show di oggi non diano spazio per l’interpretazione dello spettatore, molti vogliono far capire le cose più importanti subito, in modo da poter mettere cose nuove nelle stagioni successive. Per me è molto più divertente creare una certa curiosità. In fondo tutti vogliamo ritornare bambini e porci delle domande.

Quanto ha influito la politica sullo show?
Glover: Siamo sempre stati coscienti del fatto che la politica avrebbe avuto spazio nel racconto. È impossibile da evitare, soprattutto per chi, come noi, è cresciuto con internet. Potevamo scegliere di ignorarla o costruirci sopra. Se devo essere sincero, da Obama a Trump la situazione economica dei più poveri non è cambiata: non avevano nulla prima, e nemmeno adesso. Per me è stata una rivelazione. La metà della ragione per cui ci ritroviamo in questa situazione assurda è che la maggior parte delle persone che lottano ogni giorno per la propria sopravvivenza non crede di avere il potere di cambiare le cose. Io ho scelto di parlare di questo.

Quanto hai rischiato con questo show?
Glover: Ho rischiato tutto e niente. Tutto perché ho sempre voluto produrre il mio show, niente perché non avevo idea dei rischi che correvo. Quando non sai cosa ti aspetta è difficile avere paura. Molti mi dicevano: “Hey, guarda che stai rischiando!”. Ma cosa rischio, mi chiedevo io. Non so se sono stato stupido oppure molto furbo, in ogni caso non avevo idea dei problemi che avrei potuto sollevare. Nessuno degli scrittori con cui collaboro aveva idea dei rischi che stavano prendendo, volevamo solo essere autentici. Per me questo è sempre stato un buon segno, nessuno di noi voleva evitare di osare. Invece di dire “abbiamo 30 minuti, il tempo che ha ogni sitcom che si rispetta”, dicevamo “abbiamo 30 minuti e possiamo fare e dire tutto quello che vogliamo”. Più facile per tutti.

Com’è cambiata la musica in questa stagione?
Glover: La musica progredisce come progredisce quello che sta succedendo in questo periodo ad Atlanta. Seguo quello che accade in città, ho amici che mi danno delle dritte, e quindi la musica dello show dà voce a tutto quello che avviene, quasi in tempo reale. Il motto di Atlanta è sempre stato “eat or be eaten”, se non mangi, ti mangiano. E anche la musica esprime questa aggressività.

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