La prima regista donna di un cinecomic non sente la pressione | Rolling Stone Italia
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La prima regista donna di un cinecomic non sente la pressione

Il suo 'Monster' ha fatto vincere l'Oscar a Charlize Theron. Patty Jenkins è tornata dietro la macchina da presa per dirigere 'Wonder Woman' e non ha paura di nessuno. Ecco cosa ci ha detto

La prima regista donna di un cinecomic non sente la pressione

Patty Jenkins e Gal Gadot sul set di Wonder Woman

«Non mi interessava Wonder Woman in quanto donna, ma come figura eroica. Mi reputerò soddisfatta quando potremo fare cinema senza pensare più alla sessualità dei personaggi, ma ci concentreremo innanzitutto sulle loro qualità» ci spiega Patty Jenkins quando la incontriamo a Londra in una calda giornata di fine aprile. È entusiasta ed energica mentre parla del cinecomic che segna il suo ritorno dietro la cinepresa, a distanza di 13 anni da Monster (il suo film di debutto, che valse un Oscar a Charlize Theron).

Dopotutto, questo è il progetto di una vita: la regista americana, 45 anni, ha infatti atteso circa un decennio per portare sul grande schermo la principessa delle Amazzoni, di cui è sempre stata fan. Oltre 75 anni dopo la sua nascita (la prima avventura a fumetti risale al dicembre 1941) e dopo l’apparizione in Batman V Superman, l’eroina creata dallo scrittore e psicologo William Moulton Marston torna con una origin story attesa da legioni di fan e applaudita dalla critica.

«In passato si pensava che le donne dovessero essere rappresentate come delle dure per risultare interessanti sul grande schermo. Per me è il contrario: lei è gentile, compassionevole e porta avanti ideali di bellezza e verità. Sono convinta che conquisterà il pubblico » dice Jenkins. La principessa Diana (Gal Gadot) è cresciuta a Themyscira, un’isola fittizia popolata da sole donne, ed è stata addestrata da sua zia, il Generale Antiope (la Robin Wright di House of Cards), per diventare una guerriera invincibile. Quando l’aereo del soldato americano Steve Trevor (Chris Pine) precipita misteriosamente sull’isola, Diana si schiera con lui per cercare di mettere fine alla Prima guerra mondiale.

Sei la prima regista nella storia del cinema a dirigere un cinecomic. Una bella responsabilità!
Sentivo un’enorme pressione, ma non potevo distrarmi né lasciarmi intimorire dal budget (100 milioni di dollari, ndr). Il mio compito principale era realizzare il miglior film possibile. Spero di esserci riuscita.

Pensavi a questo progetto già 10 anni fa. Cosa ti affascina del personaggio?
Ho sempre amato le storie di supereroi e mi piace il fatto che siano una grande piattaforma per parlare di temi universali e importanti. Nell’arco dei secoli i miti greci e i personaggi religiosi ci hanno insegnato tanto sulla vita e i suoi ostacoli. Quando in America furono creati i primi supereroi fu subito chiaro che si trattava di modelli slegati da qualunque tipo di credo, perciò tutti potevano finalmente relazionarsi con loro.

Perché ci sono voluti più di 70 anni perché Wonder Woman arrivasse al cinema?
La verità? Credo che sia stata soprattutto una questione di soldi. Quando è iniziato il fenomeno dei blockbuster, con film come Lo Squalo, gli Studios hanno iniziato a focalizzarsi soprattutto sui weekend di apertura: chi va a vedere un film più e più volte, chi porta soldi al box office? Risposta: i teenager. Da una parte ciò ha spostato gli interessi delle grandi case di produzione verso quel tipo di mercato, dall’altra ha alimentato una domanda.

Quale?
I dirigenti si chiedevano se ai ragazzi potesse piacere anche un personaggio che non era necessariamente connesso a loro, proprio come nel caso di Wonder Woman. Non penso che ci siano state altre riflessioni sessiste, si trattava principalmente di capire se ne sarebbe valsa la pena. Di recente, per fortuna, pellicole come Hunger Games hanno contribuito a dimostrare che non è così e che c’è un mercato per le storie guidate dalle donne.

Qual è il tuo primo ricordo legato a Wonder Woman?
Da bambina guardavo religiosamente la serie tv con protagonista Lynda Carter, è stata il mio modello di riferimento. A scuola io e le mie amiche volevamo essere come lei: che donna fantastica, forte e affascinante! Diana non ha dovuto rinunciare a nulla per ottenere i propri poteri: la sua forza straordinaria non la rende una persona cattiva e il fatto che sia sicura di sé non implica che debba essere meno bella. Negli anni ’70 non c’era nessun’altra paragonabile a Diana Prince: insomma, la possibilità di dirigere un film incentrato su di lei è un sogno che si realizza.

Batman e Superman hanno muscoli e addominali in bella vista, ma nessuno si è mai lamentato dicendo di modificare i loro costumi. Perché allora dovrebbe farlo Wonder Woman?

Esistono numerose versioni delle sue origini. Quali sono stati i tuoi punti di riferimento?
Abbiamo deciso di partire dalla fonte originale, la sacra Bibbia di Wonder Woman, ossia il fumetto scritto da Marston. E poi abbiamo fatto riferimento alle altre avventure che ne esploravano l’evoluzione, ampliandole con nuovi dettagli e aggiornandole.

Nel film c’è un equilibrio perfetto tra azione e commedia. Difficile da raggiungere?
Sì, decisamente. Se penso alle pellicole che mi hanno ispirata, per quanto riguarda i toni, mi vengono in mente Superman, Casablanca e Indiana Jones. Superman, in particolare, era un film potente, splendido e limpido nello humor, privo di cinismo. La mia visione era esattamente quella, non mi interessava che Wonder Woman fosse più moderna o di nicchia. Volevo girare un grande classico, perciò abbiamo lavorato sodo per trovare il giusto mix di avventura, risate e colpi di scena.
Diana è cresciuta su un’isola popolata da donne, perciò non ha mai visto un uomo. Questo offriva numerose possibilità dal punto di vista dello humor.

In effetti è proprio così. Lei non fa alcuna distinzione tra uomo e donna perché, semplicemente, è cresciuta in un altro modo. È stato divertente lavorare sugli aspetti più ingenui del suo carattere, se vogliamo. La sceneggiatura gioca molto con le dinamiche di genere: in una scena Steve le dice: “Dobbiamo trovare l’uomo che può aiutarci a vincere la guerra” e lei gli risponde, decisa: “Sono io quell’uomo”. Diana sta parlando del genere umano, non capisce la differenza! Lei fa il suo ingresso nel mondo nel 1918, un’epoca decisamente sessista, ma non ne è consapevole: è sempre stata circondata da sole donne, non c’è mai stato qualcuno che l’abbia maltrattata o fatta sentire inferiore.

La storia è ambientata durante la Prima guerra mondiale. Come mai hai scelto proprio quel periodo?
È leggermente diverso rispetto alle sue origini nei fumetti. Si tratta di un’epoca affascinante, nonché di un momento di grandi cambiamenti per il genere umano, sia sul fronte dei progressi tecnologici che su quello sociale, con la nascita del movimento femminista. L’idea che una divinità entrasse in quel mondo e ce lo mostrasse attraverso i suoi occhi mi è sembrata un’opportunità davvero meravigliosa.

Wonder Woman è considerata un’icona femminista, ma secondo alcuni il costume sexy sminuisce la forza del suo messaggio. Che ne pensi?
È sessista pensare che non possa essere femminista e, allo stesso tempo, indossare quei vestiti. Ragazzi, stiamo parlando di un fantasy. E poi cosa significa? Batman e Superman hanno muscoli e addominali in bella vista, ma nessuno si è mai lamentato dicendo di modificare i loro costumi. Perché allora dovrebbe farlo lei?