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Kid Cudi, sono come sono

Dal padrino musicale Kanye West a quello cinematografico Luca Guadagnino, che l’ha voluto nella serie ‘We Are Who We Are’. E i progetti, la depressione, l’Italia, Donald Trump. Il rapper (ma ormai non basta più) ci dice chi è davvero
Kidi Kudi cover rolling stone

In America, Kid Cudi non ha bisogno di presentazioni: all’anagrafe Scott Mescudi, classe 1984, ha cominciato a rappare quando aveva vent’anni e ha pubblicato il suo album di debutto Man on the Moon undici anni fa, con il sostegno del suo mentore Kanye West. Da allora di album ne ha pubblicati altri sette, tra cui un progetto collaborativo con lo stesso Kanye, e si è affermato anche come attore, recitando in piccole serie di culto come How to Make It in America e blockbuster d’azione come Need for Speed. Nonostante tutto questo, però, in Italia è ancora il classico artista preferito del tuo artista preferito: adorato da una nicchia di irriducibili appassionati, è piuttosto sconosciuto al grande pubblico. Il che è quasi un paradosso, perché il brano che undici anni fa lo ha trasformato in una superstar anche al di là dell’ambito hip hop è un remix del singolo Day’n’Nite firmato dagli italianissimi Crookers (che all’epoca erano ancora un duo). «La prima volta che l’ho sentito ero pieno di speranze, è stato esaltante scoprire che due ragazzi arrivati dall’altra parte del mondo riuscivano a interagire così bene con la mia musica», ricorda Cudi, collegato via Zoom dalla California, dove adesso vive. «Suonava da Dio, era evidente che avrebbe potuto sfondare. Hanno trasformato la mia prima canzone in qualcosa di completamente nuovo, dandole un’energia diversa. Li ho conosciuti di persona solo anni dopo, e ho scoperto che sono anche super simpatici: spero di avere di nuovo occasione di lavorare con loro in futuro».

I legami con il nostro Paese sono destinati a rinsaldarsi ulteriormente anche grazie all’uscita di We Are Who We Are, la serie-evento Sky Original coprodotta da Sky e HBO creata da Luca Guadagnino (prodotta da The Apartment e Wildside, entrambe del gruppo Fremantle, con Small Forward), con musiche originali di Blood Orange. Ambientata in un’immaginaria base militare americana a Chioggia – l’ispirazione arriva dallo storico Camp Ederle di Vicenza, dove l’esercito USA è distaccato fin dagli anni ’50 – segue le vicende di un gruppo di adolescenti figli di soldati, che si trovano a scoprire se stessi e ad affrontare le tipiche crisi di identità dei teenager in un contesto ancora più rigido e restrittivo del normale. Il cast mescola sapientemente attori esordienti, come la giovanissima protagonista Jordan Kristine Seamón, a nomi già affermati, come Jack Dylan Grazer (già visto nel reboot di It), Francesca Scorsese (figlia di Martin, e quindi praticamente cresciuta sul set) e Chloë Sevigny. Kid Cudi interpreta il ruolo di Richard Poythress, un severo sottoufficiale, padre di due ragazzi molto popolari nella loro cerchia. Il classico soldato tutto d’un pezzo, con solidi valori conservatori, modi bruschi e parecchi pregiudizi: l’opposto di Cudi, una persona sorridente, aperta, riflessiva nella vita e nei testi, tradizionalmente orientata a sinistra. «In effetti quella di Richard è un’esperienza molto lontana dalla mia, anche in termini anagrafici», conferma. «Ho solo 36 anni e il mio personaggio era pensato per averne una decina più di me, tant’è che mi hanno invecchiato col trucco e mi hanno ingrigito i capelli. Nella visione del mondo e della politica, poi, siamo agli antipodi: ho dovuto fare molte ricerche per calarmi nei panni di un seguace convinto di Trump come lui. Ho letto centinaia di discorsi e tweet, in particolare quelli dei suoi sostenitori neri. Cercare di capire il loro punto di vista e di spaccarmi la testa sulle loro idee è stato un lavoraccio». Anche sul fronte personale «è stato un flash, perché ho una figlia di dieci anni, e all’improvviso mi sono immaginato come sarà quando ne avrà quindici. Guardare la vita dei ragazzi di oggi attraverso gli occhi dei personaggi della serie è stato illuminante, ma allo stesso tempo da genitore mi ha innervosito tantissimo, perché si avvicina il momento in cui anche la mia bambina avrà quell’età, ed è spaventoso!», ride.

La serie, che negli Stati Uniti è già andata in onda e in Italia debutterà il 9 ottobre su Sky Atlantic e in streaming su NOW TV (sarà disponibile anche on demand), è stata acclamata dai critici, che l’hanno definita «visionaria», «il perfetto anello di congiunzione tra cinema e tv», e perfino «talmente viscerale da mettere a disagio, proprio come l’adolescenza». Fin da quando gli hanno proposto per la prima volta di partecipare ai casting, Kid Cudi era sicuro che il progetto sarebbe stato monumentale. «Conoscevo già il lavoro di Luca Guadagnino grazie a Chiamami col tuo nome, che avevo molto apprezzato. Quando ho ricevuto la sceneggiatura di We Are Who We Are e ho letto che era coinvolto, ho esclamato: “Oh cazzo, ma allora è una roba gigantesca!”», racconta entusiasta. «Sono saltato subito a bordo senza pensarci un attimo. Ho letto di getto i copioni di tutti e otto gli episodi e a quel punto ci siamo dati appuntamento su Skype: dopo averci parlato, ho avuto la certezza che era una persona fantastica anche a livello umano». Nonostante le differenze caratteriali tra lui e il suo personaggio, Cudi e Richard Poythress qualcosa in comune ce l’hanno: anche il rapper, infatti, a vent’anni aveva considerato l’ipotesi di arruolarsi (nel suo caso in Marina), ma era stato scartato dalle selezioni perché aveva un piccolo precedente penale per rissa. «Conoscevo superficialmente l’ambiente militare per via dei miei trascorsi, ma non mi ero mai calato così tanto nella parte. Per fortuna, Luca ha organizzato un training per tutto il cast che è durato settimane», spiega. «È stata durissima, eravamo impegnati in esercitazioni tutti i giorni dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio. Ma ci ha aiutato davvero a capire cosa significa essere un soldato, a entrare nella testa di chi sceglie una carriera nelle forze armate».

Kid Cudi in ‘We Are Who We Are’. Foto: Yannis Drakoulidis

Fatica estenuante a parte, il training intensivo ha avuto anche dei risvolti divertenti, racconta Kid Cudi. «È stato tipo una colonia estiva per adulti: oltre alle procedure militari abbiamo avuto modo di imparare tante altre cose, come tirare di boxe, andare in barca o parlare un po’ di italiano. Forse quest’ultima è stata la cosa più difficile, almeno per me: ho dovuto farmi un culo così per imparare quelle poche parole!». Era già capitato dalle nostre parti varie volte in passato, «ma non avevo mai avuto l’occasione di esplorarla davvero. Questa volta, invece, mi sono fermato per cinque mesi e sono riuscito a guardarmi in giro». Il set era a Bagnoli di Sopra, in provincia di Padova, dove la base di Chioggia è stata ricostruita all’interno di una vera ex base militare. «Era una cittadina anonima e lontana da tutto: una specie di remix di tutte le cittadine perse nella campagna che ho visto in Ohio crescendo. Un luogo bellissimo e tranquillo: la gente era super amichevole e mi sono subito sentito a casa». Il che non è affatto scontato, per chi ha i trascorsi di Cudi. La sua battaglia contro una depressione profonda e strisciante non è un mistero: è stato lui stesso a rivelarla a più riprese. Nel 2014 ha dichiarato che, nonostante fosse in cura con farmaci antidepressivi e frequentasse regolarmente uno psichiatra, erano almeno cinque anni che pensava quotidianamente al suicidio, arrivando a dichiarare: «Non c’è stato un solo giorno in cui non abbia pensato “Voglio solo farla finita”». Nel 2016 ha toccato definitivamente il fondo, ma per fortuna ha avuto la lucidità di accorgersene in tempo e ricoverarsi in una clinica specializzata, dove ha trascorso un lungo periodo di recupero. «Mi ci è voluto un po’ per arrivare a questa consapevolezza, ma è qualcosa che devo fare per me stesso, la mia famiglia, mia figlia che è anche la mia migliore amica, e anche per tutti voi, i miei fan”, aveva scritto in un lungo e accorato post su Facebook. «Non sto bene. Non sono mai stato bene, fin da quando mi avete conosciuto».

Kid Cudi con Jordan Kristine Seamón in ‘We Are Who We Are’. Foto: Yannis Drakoulidis

Da allora le cose vanno molto meglio, e Cudi non ha mai smesso di impegnarsi in prima persona per dare l’esempio, sensibilizzando il pubblico sulle problematiche della salute mentale e sull’importanza di curarsi correttamente. «Quando fai musica, racconti la tua verità: allo stesso modo, quando si è trattato di parlare della mia depressione, ho voluto raccontare la mia storia in modo che la gente potesse entrare in connessione con quello che stavo vivendo», spiega semplicemente. «In fondo la maggior parte dei miei album era già costituita da messaggi di SOS che lanciavo al mondo, sperando che qualcuno li cogliesse e mi rispondesse, facendomi sentire meno solo. Per quanto mi riguarda era già tutto evidente nelle mie canzoni: non ho fatto altro che essere onesto e sincero». In questo periodo storico si tratta di un argomento cruciale, perché le preoccupazioni per la pandemia e lo stress della quarantena hanno reso tutti più vulnerabili. «Sicuramente il lockdown ha cambiato la percezione dei problemi di salute mentale: tanti di noi hanno dovuto trascorrere molto più tempo in compagnia unicamente di se stessi, e chi non ci era abituato poteva davvero finirci sotto», riflette. «Per fortuna io passo già molto tempo da solo, perciò da quel punto di vista non sono stato particolarmente toccato, ma so bene quanto possa essere dura. Sto cercando di concentrarmi su altre cose, ad esempio sulla musica e sul mio podcast (intitolato All Love No S**t Talkin’ e per ora non ancora disponibile, nda), che è un altro strumento per arrivare a chi si sente isolato e fragile».

Sul fronte musicale, negli ultimi anni Kid Cudi si è fatto apprezzare soprattutto per l’ottimo gioco di squadra: negli ultimi mesi ha pubblicato un singolo con Eminem, The Adventures of Moon Man and Slim Shady, e prima dell’estate era arrivato in cima alle classifiche americane con un altro brano, The Scotts, in collaborazione con la vera superstar del rap del momento, Travis Scott. Più che una mossa strategica, The Scotts è stato il coronamento di un rapporto umano che dura fin da quando entrambi militavano nella neonata etichetta di Kanye West, la G.O.O.D. Music: «Lavorare con Travis è stata una bellissima esperienza, ci conosciamo da anni e ci siamo sempre sentiti in sintonia, sia a livello musicale che personale. Lo considero uno di famiglia».



Lo stesso vale per Kanye, tant’è che se gli chiedi cosa ne pensa della sua controversa candidatura alla presidenza degli Stati Uniti declina gentilmente la domanda, spiegando che preferisce parlare del loro sodalizio musicale coronato nel 2018 con l’album collaborativo Kids See Ghosts, che ha rappresentato anche la fine del suo periodo più buio. «Lavorare a quel disco mi ha salvato: ai tempi non sapevo se avrei continuato a fare musica o no, e Kanye è stato lì per me, per aiutarmi a rialzarmi. In quel momento ne avevo davvero bisogno». Naturalmente, però, non è privo di una sua visione sulle imminenti elezioni americane. «Fino a quattro anni fa non ero una persona particolarmente attenta alla politica, ma tutto è cambiato con questa nuova amministrazione: ora ci tengo a essere a conoscenza di tutto ciò che succede», afferma deciso. «We Are Who We Are va in onda in un periodo in cui Trump si gioca la rielezione, e siamo davvero in una situazione del cazzo, in questo momento: votare bene è più fondamentale del solito». Nel suo futuro, comunque, c’è soprattutto la sua carriera discografica, ora che ha la consapevolezza che «con la musica non smetterò mai più». Durante il lockdown, in una diretta Instagram con l’attrice Rashida Jones, ha fatto ascoltare la preview di un suo nuovo brano, Do What I Want, che dovrebbe essere estratto da un misterioso album (e da un’altrettanto misteriosa serie tv firmata Kenya Barris, creatore di Black-ish e Black AF, show incentrati sulla vita quotidiana delle famiglie afroamericane) intitolato Entergalactic. Lui, però, preferisce restare sul vago: «Non voglio anticipare niente, ma nel prossimo futuro ci saranno parecchie novità. Restate sintonizzati».

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