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Kevin Spacey: «Scorsese, ti aspetto. Ma l’idolo è Jack Lemmon»

Dopo esser diventato Presidente con ’House Of Cards’ torna al cinema una delle icone moderne di Hollywood con Baby Driver. Noi lo abbiamo incontrato, ecco com'è andata
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Kevin Spacey nel poster di ‘Baby Driver – Il genio della fuga’

Elegante, sornione, all’Hotel Cavalieri Doc arriva con un’ora abbondante di ritardo. Ma gli bastano due battute per sedare il malumore e rapire la platea di addetti ai lavori che si sono innamorati da subito di Baby Driver, heist movie e musical cult che viaggia ad alta velocità, in cui il suo Doc è un boss elegante, deciso, cattivo il giusto. «Ma io non giudico i miei personaggi, siete voi che li definite bad guys. Il mio lavoro non è dare un giudizio morale dei miei personaggi, ma interpretarli, recitare ciò che pensano e che fanno. È vero che il pubblico, soprattutto da 20 anni a questa parte, ama di più gli antieroi machiavellici e complessi, come quelli che ho interpretato spesso. Ma ciononostante non parlerò di politica!».

Sì, l’uomo che ha incarnato e incarna il presidente degli Stati Uniti televisivo che più invade il nostro immaginario, rifiuta categoricamente di affrontare l’argomento Donald Trump. E allora è un piacere sentirlo parlare del suo ritorno al cinema, nelle sale italiane dal 7 settembre, dopo impegni teatrali che lo hanno totalizzato. «Sì, la direzione dell’Old Vic a Londra mi ha preso tempo e attenzione, ma ora ho voglia di grande schermo. Anche se lo ammetto, a parità di bellezza tra un ruolo teatrale e cinematografico, io sceglierò sempre il primo». Tanto che, come gli ricorda il collega Gabriele Niola, a Hollywood Reporter, anni fa, disse che non voleva più interpretare “il fratello di nessuno”, che si era rotto le scatole di non protagonisti e che se non fosse venuto Scorsese a proporgli una bella parte, avrebbe “mandato a fanculo” chiunque altro.

Lui sorride, si rende conto che la domanda è bella e spinosa ma che non rientra nei mille divieti da lui imposti (non si potevano fare fotografie, parlare di politica e neanche dire due parole sul film di Ridley Scott su Getty che poi è il vero motivo per cui era a Roma) e quindi decide di precisare cosa intendesse allora. «Intanto devo contestualizzare quella frase: ero in un momento della mia carriera in cui per fare un salto di qualità dovevo smettere di accettare certi ruoli ‘marginali’. Ora invece sono molto interessato a ricostruire una carriera cinematografica: dopo aver deciso di trasferirmi a Londra per dirigere l’Old Vic ero uscito dai radar anche di Hollywood. Voglio essere una parte importante di una storia importante, mi basta questo. In ogni caso Martin, tranquillo: qualsiasi ruolo tu mi proponga, nessun “fuck off” per te».

La locandina di ‘Baby Driver – Il genio della fuga’. Nei cinema dal 7 settembre

Scherzando dice «E poi questa era un’ottima parte per Michael Caine, quindi non potevo rifiutare! Il regista Edgar Wright è un uomo brillante è pieno di talento, come non ce ne sono molti di questi tempi, non potevo rifiutare». E anzi, pare che il buon Kevin auspichi uno spin-off tutto per lui, un Baby Doc. «Le uniche parti che non accetto sono quelle scritte male. Non ho paura di alcun tipo di personaggio, non mi impongo alcuna censore: sono solo terribilmente spaventato dalla stupidità, quello sì. Ma non crediate che noi attori decidiamo chissà cosa: non è che io, Clooney e Hanks ci mettiamo a tavolino e ci dividiamo i film: possiamo fare solo quelli, buoni, che ci propongono. E non sono così tanti».

Inevitabile cercare dei modelli per quello che è uno dei più grandi attori di Hollywood e della contemporaneità. Anche se quando gli dici che lui stesso è un modello, una risata argentina riempie la lussuosa sala dell’hotel romano in cui siamo.«Ho avuto la fortuna di avere una madre appassionata di cinema e teatro che mi ha fatto conoscere talenti come Henry Fonda, Katherine Hepburn, Spencer Tracy, Jimmy Stewart, Bette Davis e tanti altri. Ma come persona, oltre che come professionista, cito Jack Lemmon: per me è stato importantissimo, lo conobbi da giovanissimo e lavorai per quattro volte con lui (tra cui anche in un’opera straordinaria come Americani). Non lo dimenticherò mai. E ancora Michael Bennett, il regista di Chorus line, e Alan Parker».

Kevin Spacey alla premiere londinese di ‘Baby Driver – Il genio della fuga’. Foto di Lexi Jones/WENN.com

Da lì capisci quanto la musica sia importante per Kaiser Soze e Frank Underwood e quanto forse sia stata fondamentale per la scelta di far parte del cast di Baby Driver. «Quando abbiamo letto lo script per la prima volta abbiamo sentito tutte le canzoni, perché Edgar aveva già deciso la colonna sonora prima del set. È stata una lettura sexy piena di energia e ritmo e lui voleva in alcune scene che recitassimo a passo di musica, quasi danzando. E così ci faceva tenere le cuffie fino a pochi secondi di cominciare». Cosa che gli capita spesso. «Magari ascoltando i Beatles o Marvin Gaye, ma ancora di più Ella Fitzgerald o Stevie Wonder». Civettuolo, aggiunge «adoro l’idea di fare parte di un mix, di un tape come avviene in questo film. E mi pare ci sia proprio un disco in cui c’è la mia voce». Chissà che non si riferisca proprio al nostro Caparezza.

Di sicuro Kevin Spacey ama essere molto più che un attore. «Mi piace molto fare il producer. È un ruolo che mi affascina. Amo essere un facilitatore, scegliere le persone giuste, dare fiducia e vedere che la cosa prende forma e va avanti da solo. Penso a Unabomber, serie fantastica, ma anche ai miei lavori teatrali: sono un uomo di compagnia, tale mi sento sempre». Chiude, dicendo che per lui non è una fatica lavorare su personaggi diversi e sfaccettati. E che sopporta poco i colleghi che fanno le vittime. «È stupido, sciocco dire che fare il mio lavoro sia duro. È fottutamente divertente, è un piacere è una gioia fare l’attore, vado ogni giorno al lavoro felice». Ventitré minuti di chiacchierata, per sessantacinque d’attesa. Ma per uno come lui, vale la pena. Go Baby Spacey.

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