Johnny Depp: il dolore dei soldi - Prima parte | Rolling Stone Italia
Interviste

Johnny Depp: il dolore dei soldi (parte I) | parte II

Cause legali multimilionarie, vino a fiumi, un amico sparato col cannone e uno stile di vita insostenibile: sogni, paure e deliri di Johnny Depp.

Johnny Depp: il dolore dei soldi  (parte I)

Johnny depp non è ancora arrivato. Eppure la sua presenza è ovunque nella villa da 3000 metri quadri affittata al 16 di Bishopswood Road, nel quartiere londinese di Highgate. Si avverte nelle mani indaffarate di Russell, il suo cuoco personale, intento a preparare l’anatra alla pechinese. Nella canna rollata a sigaro, accanto al lavandino nel bagno degli ospiti. Nella sterminata cantina di vini. Nel quadro dipinto a metà, su cui sono raffigurati una casa in fiamme, Johnny bambino e una donna arrabbiata, che assomiglia a sua madre Betty Sue. Infine appare per davvero. È in salotto, e accompagna la sua entrata canticchiando “Oh my darling, oh my darling, my darling Clementine”.

Depp ritorna da uno shooting fotografico con gli Hollywood Vampires, la band messa in piedi con Alice Cooper e Joe Perry. Dietro di lui c’è il suo avvocato, Adam Waldman. Depp è vestito da gangster degli anni ’40: capelli neri impomatati all’indietro, gessato, bretelle e ghette. Il volto è pesto, ma continua ad avere quegli stessi ossessivi occhi marroni che in 35 anni di carriera hanno fatto la spola dallo stralunato al minaccioso. Oggi il suo studiato sguardo lascivo ricorda l’ultimo Marlon Brando. Non è una coincidenza, visto che ha costruito la sua vita a immagine e somiglianza dei suoi idoli, comprando un’isola come Brando, o diventando un esperto di metaqualone come Hunter S. Thompson. «Ciao, sono Johnny. Piacere di conoscerti». Allunga la mano destra, dove i tatuaggi sulle dita che componevano la parola slim (snella, un riferimento all’ex moglie Amber Heard), di recente sono diventati scum, feccia.

«E così sei qui per sentire la verità», chiede, mentre Russell gli serve un bicchiere di vino rosso d’annata. «È piena di tradimenti». Ci spostiamo in sala per mangiare pad thai, anatra e pan di zenzero con ciliegie. Depp è a capotavola, accennando a delle cartine e a due mucchietti uguali di tabacco e hashish mi chiede se mi dà fastidio. No. Si ferma. «Be’, beviamo prima un po’ di vino». Va avanti così per 72 ore. Ci sono voluti un mese e quasi 200 mail perché il messaggio diventasse chiaro: “Vieni a Londra: Johnny Depp vuole mettersi a nudo riguardo ai suoi conti in rosso”.

Si stima che abbia guadagnato 650 milioni di dollari in film, che hanno fruttato 3,6 miliardi. E quasi tutti sono evaporati. Ha fatto causa alla The Management Group – gestita dal suo vecchio manager Joel Mandel e dal fratello Robert – per negligenza, violazione del dovere fiduciario e truffa. Nella causa, tra le altre cose, si dice che la sorella di Depp, Christi, e il suo assistente, Nathan Holmes, si sono intascati rispettivamente 7 milioni e 750mila dollari; che ha dovuto versare all’agenzia delle entrate oltre 5,6 milioni in more per i ritardi nei pagamenti e che la Tmg ha investito i soldi dell’attore per i propri fini, senza ricavare profitti. Il tutto a sua insaputa. Una causa da oltre 25 milioni di dollari, basata sul fatto che la società ne avrebbe intascati illegalmente a decine in commissioni.

I Mandel negano categoricamente ogni illecito, e hanno a loro volta presentato una querela. Secondo loro, l’attore spende in maniera ossessivo-compulsiva 2 milioni di dollari al mese, rimarcando a tal proposito che «il vino non è un investimento, se te lo scoli tutto subito». A detta loro, Depp «continua a inventarsi accuse calunniose e false», perché la Tmg ha intentato un’istanza di pignoramento su una delle sue proprietà private per via di prestiti non restituiti.

Gli ultimi 18 mesi sono stati forieri di brutte notizie per Johnny. Oltre ai guai finanziari, si è vociferato che non fosse in grado di ricordare le battute e che avesse bisogno di farsele suggerire attraverso un auricolare. Ha rotto con il suo avvocato e agente di lunga data. E si è ritrovato solo. Il suo divorzio con l’attrice Amber Heard è diventato ufficiale, non prima che fossero mosse convincenti accuse di violenza fisica, da lui sempre fermamente negate. La sua cerchia lo aveva implorato di non sposarla, o almeno di firmare un accordo prematrimoniale. Ma lui ha ignorato i consigli, e alcuni hanno insinuato che il consumo di droghe e alcol gli stesse facendo perdere la ragione.

Durante la mia visita londinese, Depp alterna ilarità, timidezza e incoerenza. I giorni iniziano dopo il tramonto e vanno avanti fino alle prime luci del mattino. Ha uno sguardo spaurito e allarmato. Non mettiamo mai piede fuori di casa. Mentre la sua mente ci conduce in diverse tane del coniglio, penso di continuo a una sua battuta nelle vesti del Cappellaio Matto in Alice nel Paese delle Meraviglie: “Sono diventato matto?”.

Il suo confidente più stretto sembra essere Waldman, un avvocato conosciuto meno di due anni fa. Ha 49 anni, il volto liscio, capelli biondo-rossicci, una giacca di pelle nera e una voce rassicurante, capace di rendere accettabile persino l’influenza aviaria. Mi racconta di essere sposato con il “numero uno dei dottori del viso”. Waldman sembra averlo convinto che sono combattenti per la libertà, che stanno affrontando la macchina di Hollywood e non dei saprofagi che litigano per un patrimonio sperperato. Un giorno Depp mi mostra le sue opere, e mi rendo conto che ormai è un logoro Dorian Gray. «Mi immagino Johnny in una versione di Jack Sparrow a 70 o 80 anni», mi ha detto la sua amica Penelope Cruz. «Sarebbe comunque affascinante», afferma, prima di raccontare di quella volta in cui ha provato a levarsi un dente mentre era a cena con lei e Stella McCartney. Ma le cose che affascinavano di lui a 28 anni – tipo drogarsi o correre lungo i ponteggi del palazzo dell’Atlantic Records a Los Angeles – a 55 anni appaiono inquietanti. Forse essere un perenne Peter Pan è la chiave del suo fascino sullo schermo. Ma il tempo è passato. Da giovane indifferente si è lentamente trasformato in un uomo che invecchia comportandosi da bambino, ancora carismatico, sì, ma solo se osservato di sfuggita. Se la sua vita non è una copia perfetta degli ultimi giorni di Elvis Presley, ne è un decoroso facsimile.

Depp e Tom Petty sono stati amici a lungo, e la morte del cantante ha profondamente colpito l’attore. «Ci chiamavamo e ci chiedevamo: “Ehi, fumi ancora?”. Tom rispondeva “sì, fumo ancora”, e mi sentivo meglio. Se Tom fuma ancora, allora è tutto ok». Si zittisce e si asciuga gli occhi. «Gli volevo bene». I due avevano molto più in comune della sola dipendenza da nicotina. Erano due bianchi sempliciotti, arrivati a Los Angeles dalla Florida con l’intenzione di sfondare nel mondo del rock. Depp aveva poi cambiato strada, dopo che il suo compagno di bevute Nicolas Cage gli aveva detto che recitando si potevano fare bei soldi. E nel 1987 aveva raggiunto il successo nella parte dello spacciatore liceale nel telefilm 21 Jump street.

Photo by Ian Gavan/Getty Images

GLASTONBURY, ENGLAND – JUNE 22: Johnny Depp indruduces a screening of “The Libertine” film at the Cineramageddon cinema on day 1 of the Glastonbury Festival 2017 at Worthy Farm, Pilton on June 22, 2017 in Glastonbury, England. (Photo by Ian Gavan/Getty Images)

Ci sediamo per cenare, e gli chiedo se si ricorda cosa avesse acquistato con i primi guadagni. Rolla un’altra canna, che passa prima a me e poi a Waldman. Il regalo era una casa per la mamma. «Lei è nata in una minuscola valle del cazzo nel Kentucky orientale. A 12 anni ci dava già dentro col Fenobarbital». Depp era il più piccolo di quattro fratelli, ed è stato cresciuto dalla madre. Il padre era un ingegnere civile, per la maggior parte del tempo assente. Hanno vissuto prima in Kentucky e poi in Florida, traslocando, a detta sua, più di 40 volte. La mamma gli tirava addosso di tutto. «Mi picchiava senza motivo. Magari ti beccavi in faccia un posacenere. O un telefono». Si ferma. «Era una casa di fantasmi. Non parlava nessuno. Sulle persone, specie le donne, il mio unico pensiero è sempre stato: “Io posso rimetterla in sesto”». Della madre (morta due anni fa dopo lunga malattia, ndr) ricorda quando tornava a casa da un doppio turno come cameriera. Lui le massaggiava i piedi, mentre lei contava le mance. Con i primi soldi guadagnati le ha comprato un piccolo allevamento di cavalli a Lexington, in Kentucky. «Betty Sue, l’adoravo», mormora con un sorriso che svanisce in fretta. «Era capace di essere una vera stronza, la persona più meschina che abbia mai incontrato».

Dopo la casa, si era concesso una Harley Davidson del 1940, che ha ancora. Dal 1986 al 2006 ha recitato in 32 film, mostrando una capacità unica di spaziare da Edward mani di forbice a Donnie Brasco. Nel tempo ha acquisito il gusto per la vita sfarzosa. All’inizio degli anni ’90 ha comprato il Viper Room, una vecchia rivendita clandestina di alcolici, un tempo frequentata da Bugsy Siegel, e l’ha trasformato in un piccolo club rock dove hanno suonato tutti, dai Guns N’ Roses a Johnny Cash. Ha sofferto per la morte per overdose dell’amico River Phoenix al club, e per le voci secondo cui fosse stato lui a fornirgli la dose fatale. Non ha voluto recitare la parte del classico eroe raffinato di Hollywood. Un suo consulente gli ha gridato contro, quando ha deciso di accettare il ruolo da protagonista in Ed Wood. «Mi ha detto: “Johnny, non devi fare film in bianco e nero su un regista di b-movie che si vestiva da donna. Devi scoparle le donne, e avere la pistola”».

hristi, la sorella maggiore, si è sempre occupata dei suoi affari quotidiani. Nel 1999 i due si erano resi conto che la società di management dell’epoca non era più in grado di gestire il suo business, in costante espansione. Nella sua tenuta da 2500 metri quadri, soprannominata il Castello di Dracula, aveva passato un’intera giornata a incontrare manager finanziari. L’ultimo meeting era stato con Robert e Joel Mandel, e Johnny si era preso subito una cotta per quest’ultimo, figlio più piccolo di un sopravvissuto di Auschwitz. In lui vedeva un’anima gemella. «Era ansioso, continuava a sudare. Era messo male». Gli chiedo perché avesse deciso di mettere i suoi soldi nelle mani di uno che descriveva come “messo male”. Depp dice che sentiva un’affinità. «Tutti i personaggi che ho interpretato sono messi male, ridotti uno schifo». Provo a scavare più a fondo, ma è irrequieto. La villa è spaventosamente silenziosa. Sono le tre o le quattro del mattino, e il cuoco e gli addetti alla sicurezza sono andati a dormire. Nonostante l’ora il suo cervello è una palla impazzita, che si muove a caso in una serie di schede di memoria della sua vita.
Si dirige verso i divani in salotto e accende il televisore. Ha un’attrazione che rasenta l’ossessione per i viveur degli anni ’70, che siano Marlon Brando, Hunter S. Thompson o Don Rickles. Si considera un tipo divertente e mi confida che in uno dei primi film dei Pirati dei Caraibi, quando Sparrow viene trascinato a riva dalle onde, biascica una parolaccia a sfondo sessuale. La scena sarà tagliata prima dell’uscita del dvd. Depp ha un grande legame con Sparrow, ispirato a Keith Richards, un altro dei suoi idoli. Ha un atteggiamento protettivo nei confronti del personaggio, e sostiene di aver discusso ripetutamente con gli sceneggiatori della Disney. «Perché ci devono essere quelle terribili digressioni?», chiede. «È una cosa contorta. Chi cazzo mai vorrebbe vedere il capitano Jack Sparrow triste?». Passa in rassegna i notiziari e si imbatte in un servizio su Harvey Weinstein. Scuote la testa e lo definisce uno stronzo per aver affossato il film Dead Man. Ma racconta che una volta ha accompagnato Weinstein a prendere la figlia a scuola e che si vedeva che le voleva bene. «Quella sorta di enorme Shrek, che si china per metterle l’impermeabile, mi ha tolto il fiato».

Fuori la notte di Londra sta lasciando spazio a un’alba brillante. Sono tutti sfiniti, tranne lui. Sparisce per alcuni minuti e torna rianimato, affermando che dobbiamo assolutamente vedere il video di Kill4me di Marilyn Manson, che lo vede protagonista in una serie di pose insieme a donne a malapena vestite. Alza il volume della tele e urla sopra le chitarre industrial: «Marilyn è il migliore. È un grandissimo amico. Ha giocato con le Barbie con mia figlia». Waldman brontola per la musica di Manson e infila la testa sotto una pila di cuscini. Comincio a sentire gli effetti del jet lag, e gli confesso che ho bisogno di dormire. Sembra deluso, ma mi conduce lungo un contorto corridoio buio. Poi una porta si apre e appare un uomo gigante, con indosso una mascherina chirurgica. Urlo per la paura. “Ma che cazzo!”. Depp scoppia a ridere. «È soltanto uno dei ragazzi della sicurezza. Ha l’influenza. Si assicurerà che tu esca sano e salvo», dice dandomi un mezzo abbraccio. «Domani parliamo di ingiustizia».

A contattare Rolling Stone per scrivere una storia sull’ingiustizia che ha dovuto subire la reputazione di Johnny Depp è stato Adam Waldman. Ho cominciato a studiare la sua figura. Ho trovato alcune cose sul suo ruolo di avvocato di Cher – la cantante è la madrina di sua figlia Pepper –, ma a colpirmi è stato un pezzo di Business Insider intitolato Ecco i dirigenti americani che stanno lavorando per Putin. Waldman compariva in cima alla lista, e si raccontava del suo rapporto con Oleg Deripaska. Avrebbe ricevuto più di 2,3 milioni di dollari per il suo lavoro per conto dell’oligarca e magnate dell’alluminio, che vanta un ruolo marginale nel Russiagate. Anche Waldman ha fatto un cameo nelle follie di Trump e Putin. A febbraio il presidente americano lo accusa in un tweet – senza nominarlo – di aver provato a fare da intermediario per un incontro tra Christopher Steel, ex agente segreto britannico considerato l’autore di un dossier di accusa del presidente, e il senatore democratico Mark Warner.

Waldman entra in contatto con Depp nell’ottobre del 2016. La Tmg ha appena richiesto la procedura di pignoramento sulle case di Los Angeles dell’attore, per i 5 milioni avuti in prestito dalla società e mai restituiti. In quel momento l’opinione pubblica non ha alcuna idea della sua situazione economica. Ma Waldman di lì a poco avrebbe cambiato le cose. Lo incontra a casa del commercialista di Depp, e diventano velocemente compari. Quando ritiene che qualcuno dei suoi amici sia dalla parte dei Mandel, chiama la star e si limita a dire “Tessio”, in onore del personaggio che tradisce i Corleone nel Padrino. Depp capisce immediatamente e biascica: «Fanculo a Tessio». Due mesi dopo, su consiglio di Waldman, l’attore fa causa ai Mandel, affermando di non aver mai ricevuto gli estratti conto mensili e spesso soltanto una pagina da firmare, per le transazioni. Sostiene che – oltre ai 7 milioni dati alla sorella Christi – la Tmg gli sia costata 6 milioni in multe, per aver pagato in ritardo per 13 anni di fila l’Irs (l’agenzia delle entrate, ndt). Depp li accusa inoltre di aver chiesto prestiti per 34 milioni a causa della loro cattiva gestione. Depp e Waldman ritengono che la causa cambierà per sempre Hollywood. L’avvocato vola alto e afferma che la Tmg debba a Depp più di 25 milioni di commissioni al 5 per cento.
Waldman si è ritagliato il ruolo di vendicatore di Depp. «Nessuno sfida il mostro di Hollywood e sopravvive», mi dice. «Sono tutti terrorizzati. Ma non Johnny». I Mandel dicono di essere venuti a sapere della causa quando un giornalista ha chiesto loro un commento, mentre nel mondo legale è prassi contattare la controparte prima di procedere. Quando gli chiedo un parere sulle sue beghe legali, Depp fa spallucce. «Io c’entro poco. È il fottuto Matrix. Non ho visto il film, e non ho capito la sceneggiatura, ma è esattamente questo». L’estate scorsa la Tmg ha presentato una querela, usando parole pesanti: l’attore è dipinto come un moccioso viziato, incapace di controllarsi. Il legale della società rimarca che la Tmg non sia mai stata citata in giudizio da nessuno dei suoi clienti e che «Depp aveva uno stile di vita ultra-eccessivo, da più di due milioni al mese, ben al di sopra delle sue possibilità». Secondo loro Depp elargiva consapevolmente palate di soldi a Christi e altri amici. Inoltre l’attore «spendeva milioni per un esercito di avvocati, per tirarlo fuori dalle numerose grane legali e comprarsi il silenzio delle persone». I ritardi nei pagamenti delle tasse? Sarebbero stati legati alla perenne mancanza di liquidità di Depp. A sentire le spese elencate dalla Tmg, sembra che l’attore abbia affidato i suoi soldi a un preadolescente iperattivo: 75 milioni di dollari spesi per 14 case. 3 milioni per sparare in cielo con un cannone le ceneri dell’amico Hunter S. Thompson. 7000 dollari per comprare alla figlia un divano dal set di Al passo con i Kardashian. 70 chitarre e 200 opere d’arte, tra cui alcuni Basquiat e Wharol, 45 auto e 200mila dollari al mese di aerei privati. E poi 12 magazzini stipati di memorabilia hollywoodiane, soprattutto di Brando e Marilyn Monroe. A detta di Mandel, Depp spendeva 1,2 milioni di dollari per avere sempre a disposizione un medico e altri 1,8 per la sicurezza 24 ore su 24, anche per la madre. Per l’avvocato dei due fratelli, l’origine dei problemi di Depp è di natura psichiatrica: «Depp soffre di un disturbo che lo spinge a spendere in maniera compulsiva».

ornando a londra, eccomi con Waldman, a rimuginare per qualche ora sull’insensatezza della causa, quando Depp emerge dopo il tramonto – non l’ho mai visto alla luce del giorno –, vestito nel suo stile da pirata-senzatetto: jeans stracciati e maglietta bianca abnorme, addobbata da una serie di fazzoletti. Il suo umore è in egual misura sentimentale e spaccone. Ci tiene a precisare che la Tmg su alcuni punti si sbaglia. Per esempio, sui 30mila dollari mensili che i Mandel sostengono spendesse in vino. «È offensivo affermarlo. Era molto di più». Aggiunge che anche sulla vicenda del cannone c’è confusione. «Per sparare Hunter in cielo non ho speso 3 milioni, ma 5». Il prezzo era salito quando aveva deciso che la parabola di Thompson dovesse superare di 30 centimetri l’altezza della Statua della Libertà. Ho fatto qualche verifica e pare che quella di Depp sia una balla. D’altra parte lo stesso Thompson ha sempre aggiunto qualche dettaglio immaginario a una buona storia vera, per renderla più gustosa.

Non ci vuole certo uno psichiatra per capire che Depp sia stato influenzato da lui e da Brando, due figure paterne a cui non interessava un cazzo di cosa il mondo pensasse di loro. Depp e Brando hanno stretto amicizia nel 1995 sul set di Don Juan DeMarco. Quando Johnny ha comprato un’isola alle Bahamas, Brando, a sua volta proprietario di un’isola vicino a Tahiti, gli ha suggerito di costruire la casa sopra il livello del mare. Il suo legame con Thompson è stato più viscerale, e ha abbracciato letteratura e sostanze. Depp è stato per anni un fan del giornalista, conosciuto in occasione delle riprese di Paura e delirio a Las Vegas, tratto dalla sua autobiografia. I due sono diventati compagni nel consumo di droga. Condividevano anche una conoscenza enciclopedica dei medicinali. Più tardi, quella sera, Depp si rammarica della scomparsa dalla scena del «quaalude di contrabbando». «Era fatto con un po’ di arsenico, o di stricnina». Si alza in piedi e un sorriso invade il suo volto: «In quel modo ti sballavi subito». Una volta Depp ha chiesto a un buttafuori di colpirlo per divertimento. «Volevi solo ridere e spassartela con gli amici, o scopare, oppure fare a botte». Depp è un grande sostenitore dei narcotici e ritiene che avrebbero potuto accelerare la cattura di Osama bin Laden. «Prendi dei fottuti aerei e sganci Lsd. Impregni il fottuto posto di merda. Così escono tutti dalla grotta sorridendo, felici». Con la morte di Brando e Thompson, Depp ha perso le uniche due persone capaci di comprendere la sua esistenza da fantasilandia. Diventa malinconico riflettendo sul suo calvario, quello di un genio malmesso che sente la mancanza dei suoi altrettanto malmessi compagni di viaggio. «Marlon e Hunter. Avevo proprio bisogno dei miei ragazzi».

Photo by Rich Polk/Getty Images for Disney

HOLLYWOOD, CA – MAY 18: Actor Johnny Depp at the Premiere of Disney?s and Jerry Bruckheimer Films? ?Pirates of the Caribbean: Dead Men Tell No Tales,? at the Dolby Theatre in Hollywood, CA with Johnny Depp as the one-and-only Captain Jack in a rollicking new tale of the high seas infused with the elements of fantasy, humor and action that have resulted in an international phenomenon for the past 13 years. May 18, 2017 in Hollywood, California. (Photo by Rich Polk/Getty Images for Disney)

Per più di un decennio ciò che andava bene a Johnny andava bene anche a Joel Mandel, e il manager ha fatto di tutto affinché le cose continuassero in quel modo. Nella sua casa di Los Angeles aveva installato una linea telefonica aggiuntiva con una suoneria differente, in maniera che Depp potesse contattarlo a qualunque ora. Nei periodi di massima sintonia, Mandel diceva all’attore che il suo scopo era garantirgli quella sicurezza economica che non lo avrebbe mai costretto ad accettare una parte solo per pagare le bollette. Ma a quella sicurezza non sono mai arrivati. Secondo la Tmg, Depp non ha mai avuto più di sei mesi di risparmi in banca. E le cose sono peggiorate ulteriormente con la saga dei Pirati dei Caraibi, che gli ha fatto guadagnare 300 milioni di dollari.

A parte Christi, Depp non ha potuto contare su nessuno della sua famiglia. Anzi. Davanti ad alcuni panini con tonno e mais, parla dei soldi sprecati nella fattoria di Betty Sue a Lexington. Mi dice che dopo il suo acquisto, l’altra sorella e il marito si sono trasferiti lì e sono stati assunti per gestire la proprietà. Alla fine, anche il loro figlio è entrato a libro paga. Nel frattempo, Depp stava sostenendo economicamente la sua ex Vanessa Paradis e i due figli, Jack e Lily-Rose, nella villa che aveva comprato per loro in Francia. A detta sua ci sono voluti anni prima che Mandel lo mettesse al corrente delle follie dei suoi parenti nel Kentucky. Così Depp si era fatto mandare un documento con il dettaglio delle spese. Trovandosi sul set dei Pirati dei Caraibi, aveva chiesto al suo assistente di stamparlo. Questi però gli aveva risposto che era impossibile. «Sono più di 200 pagine» aveva detto. «Mia sorella comprava borse per mia mamma, che però era costretta a letto», ricorda. «E poi gioielli, di tutto».
Betty Sue è morta nel 2016. Quando gli chiedo se ha venduto la fattoria, mi risponde che la sua famiglia vive ancora lì. «Pensano che mi occuperò di loro per sempre, ma io non ho mai promesso nulla di simile». Gli rivolgo una domanda apparentemente logica: perché non li ha chiamati, o non ha revocato le loro carte di credito? Lui aggrotta le sopracciglia e appare confuso. È convinto che toccasse alla Tmg farlo: «È il motivo per cui li pagavo». Tornato al mio hotel, do un’occhiata al dossier giudiziario di Depp. Tra la montagna di accuse contro i Mandel, non si fa menzione della fattoria nel Kentucky.

Il caso si fonda principalmente sull’idea che Depp sia stato tenuto all’oscuro delle cose, fino a quando era ormai troppo tardi, anche se, a parte lui, l’unica persona a poter autorizzare nuove spese era la sorella Christi. I Mandel hanno presentato una serie di mail e di annotazioni che indeboliscono le argomentazioni dell’attore. Nel 2008 Depp avrebbe voluto comprare una casa adiacente alla sua proprietà a Hollywood Hills. Mandel aveva suggerito che non era un buon momento. La risposta era stata: «Dobbiamo comprare quella casa». Più di un indizio induce a pensare che Depp sapesse della propria perenne situazione precaria. Quando nel 2009 un dipendente della Tmg aveva cercato di convincerlo a moderare le spese per le proprietà immobiliari, Depp aveva telefonato a Mandel, chiedendogli di levarglielo dai piedi. Johnny promette «di firmare contratti per nuovi ruoli». Il suo staff inizia a ragionare sulla possibilità di chiedere un prestito.
In un’altra mail Mandel chiedeva all’attore di fare attenzione alle spese per le vacanze. La risposta era arrivata mesi dopo: «Sto facendo del mio meglio, ma più di tanto non posso, anche perché voglio che i bambini e la famiglia passino il miglior Natale possibile, ovviamente nei limiti della ragione. Riguardo ai voli, in questo momento non ho molte alternative. Un aereo di linea con i paparazzi al seguito sarebbe un cazzo di incubo… Che altro posso fare? Vuoi che venda alcune opere d’arte? Lo farò». Nel gennaio del 2010, secondo il dossier, Mandel stava ancora chiedendo a Depp di firmare le carte per il prestito. Aveva detto a Christi: «C’è uno scoperto di quasi 4 milioni». Alla fine, la firma era arrivata.

epp ha mostrato la stessa testardaggine anche quando gli amici hanno tentato di salvarlo da se stesso. Nel 2010 ha creato l’etichetta discografica Unison Records, che nel 2014 aveva già perso tra i 4 e i 5 milioni di dollari. Bruce Witkin, presidente della società, si era scusato per le perdite e aveva suggerito di mettere la parola fine all’esperimento. Ma Depp si era opposto, rimarcando che il mondo aveva impiegato vent’anni per accorgersi del suo genio. L’etichetta avrebbe poi chiuso i battenti un anno dopo. Le sue spese non sono affatto diminuite nel tempo.
In quello che la Tmg definisce «il momento della verità», il 2012, Mandel organizza un incontro con Depp e l’ex avvocato Jake Bloom nella tenuta di Hollywood Hills, in cui consegna una pagina riassuntiva sulla situazione, aggiungendo con tono piatto che le cose devono cambiare, perché il futuro dell’attore e dei suoi figli è a rischio. Depp accetta a malincuore di vendere lo yacht, anche se lo rinfaccerà a Mandel fino agli ultimi giorni della loro collaborazione.

Il «momento della verità» è stato in realtà l’inizio della fine, sebbene il rapporto con la società sia proseguito in maniera precaria per altri tre anni. Secondo la controquerela, nel 2015 Mandel rivolge un ennesimo appello a Depp, che risponde con un sms: «Sono pronto ad affrontare le conseguenze. So che c’è un modo per tirarci fuori da questa situazione, e mi impegnerò con tutte le mie forze». Ma le cose non sono migliorate. Più tardi quell’anno Mandel dice a Depp che deve fare due film e vendere il prima possibile la sua proprietà a Saint Tropez, per restituire i prestiti ottenuti.

Depp sembra tornare in sé. Acconsente alla vendita di Hameau, salvo rimangiarsi la parola dopo aver ricevuto una telefonata della figlia Lily-Rose in lacrime, che gli chiede di non cedere la casa della sua infanzia. Depp vacilla, la tenuta viene messa in vendita per un breve periodo a 13 milioni di dollari, prima di passare a 28, un chiaro segno che Depp non ha alcuna voglia di liberarsene. Nello stesso periodo, a detta di alcuni testimoni, spende 108mila dollari in vestiti durante un viaggio a Singapore.
Nel gennaio del 2016 Mandel informa Christi che rimangono 30 giorni di liquidità. Le cose si fanno così drammatiche che Tmg intima di sospendere l’acquisto di piante ornamentali. Depp, frustrato, chiede di rivedere i conti. Continua a ripetere di fidarsi di Joel, e a fine febbraio in un sms gli scrive di volergli bene. Ma poi improvvisamente le comunicazioni si interrompono. Dieci giorni dopo, a marzo, Depp licenzia la Tmg, e inizia la guerra legale.

Durante le nostre conversazioni londinesi, il divorzio burrascoso è un argomento tabù. Prima di incontrare Amber Heard, il suo rapporto con le donne pubblicamente era cavalleresco. Quando Penelope Cruz lo informa della sua gravidanza, poco prima dell’inizio delle riprese del quarto episodio dei Pirati dei Caraibi, domandandosi se debba abbandonare il progetto, lui le risponde che è ridicolo. «Si è preso cura di me», ricorda l’attrice. «Non lo dimenticherò mai». Depp e la Heard si incontrano sul set di The Rum Diary, uno strano e sfortunato inno ai primi anni da reporter di Hunter S. Thompson. Christi si oppone al matrimonio, una presa di posizione che crea tensioni con il fratello. Anche l’ultimo legame di Depp con il mondo reale viene reciso. Secondo la Tmg il matrimonio, organizzato sull’isola di sua proprietà alle Bahamas, sarebbe costato un milione di dollari.

Continua nella seconda parte. Online dal 26 agosto.

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