Rolling Stone Italia

In fuga da una società polarizzata si dipingeva il corpo di bianco e di nero abbracciando lo sdoppiamento delle personalità moderne

Un titolo wertmülleriano per un gioco che abbiamo voluto fare. E in cui Ilenia Pastorelli si è buttata anima e corpo (letteralmente). Una fuga immaginaria, un approdo in un altrove incerto, una riflessione sul sé e il proprio doppio. Con la libertà di chi non vuole etichette, nonostante i ruoli passati (la Alessia di ‘Lo chiamavano Jeeg Robot’ su tutti) e le sfide future (il lavoro con Dario Argento per ‘Occhiali neri’). Perché è nella ‘coabitazione’ che si trova, forse, il vero Io
Ilenia Pastorelli sulla digital cover di 'Rolling Stone Italia'

Il titolo-fiume che vedete scritto su questa cover è, inutile dirlo, un omaggio a Lina Wertmüller, nato però quasi per gioco ben prima della sua scomparsa. E cioè durante la prima chiacchierata fatta al telefono con Ilenia Pastorelli per condividere il concept della copertina che le avremmo dedicato. «Me puoi lascia’ questa mano per ultima, anche per fuma’…», chiede alla truccatrice sul set. «E pensare che è stata una mia idea, ’sto body painting», si rivolge a noi. «Però è rilassante, e forse col pennello Cinghiale ci si metterebbe un attimo», ride.

Sì, il black and white dipinto sul corpo è copyright Pastorelli. Che sempre più spesso scappa lontano da Roma, via dalla pazza folla (cit. Thomas Hardy) e in generale da una società che, appunto, non conosce sfumature. Che “divide et impera”, ha bisogno di bollare e definire. Ci siamo immaginati insieme una fuga da tutto questo e un approdo in un luogo quasi sospeso in cui essere sé stessa, ma anche l’altra metà con cui fare i conti. Via anche per avere spazio e tempo di ragionare sulla propria dualità interiore, sulla parte bianca e su quella più oscura. Perché in effetti, a pensarci, in qualche modo “doppi” sono sempre più spesso pure i suoi ruoli: da E noi stronzi rimanemmo a guardare di Pif (appena arrivato su Sky) a 4 metà di Alessio Maria Federici (su Netflix dal 5 gennaio), da Io e Angela di Herbert Simone Paragnani (di prossima uscita), in cui interpreta l’Angelo della Morte (e sono cazzi…), al nuovo, attesissimo film di Dario Argento, Occhiali neri.

Iniziamo da quella polarizzazione che percepisci nella società di oggi.
Be’, sì, allora… Partendo da sé stessi, c’è sempre una bipolarità. Non nel senso di patologia, ma come essenza di ciascuno di noi, che è quello che poi genera il conflitto: prima dall’individuo e poi alla società. Per esempio, se vogliamo parlare di una cosa semplice come il vaccino, una persona già da sola si chiede se è giusto o no. È un conflitto che parte prima dentro di noi, poi si amplia verso la società. Ma i conflitti ormai sono in qualunque campo: tra due etnie, tra due persone, tra due nazioni… è proprio una società bipolare.

Ilenia Pastorelli sulla digital cover di ‘Rolling Stone Italia’. Art Direction: LeftLoft

Il mondo che viviamo tende ad amplificare, anzi proprio a chiederci, tutto questo.
Sì, tende a spaccarci. Anche la politica, no? Quando andiamo a votare ormai possiamo votare solo per la maggioranza, altrimenti, come si dice, buttiamo il voto. Ci sono due opposizioni in campo, il che ci fa tendere ad andare sempre verso un’estremità, il grigio non esiste più. C’era un filosofo russo, non mi ricordo come si chiamava, che diceva: “Quando una società ti dà due scelte, qualunque tu scelga hai comunque perso”. Dovremmo avere la libertà di poter scegliere tra mille varianti.

Torniamo ai conflitti interiori.
Lì si crea un conflitto che è anche di non accettazione. Quando ci sono due parti di noi in conflitto, uno non si accetta. Pensa anche al genere sessuale. Nell’Impero romano questa distinzione tra gay e etero non esisteva, è subentrata col Medioevo, quando è arrivata la Chiesa e ha detto: è giusto che un uomo e una donna si sposino, è la base della procreazione, tutto il resto non vale. Questo va contro la natura umana, che ha mille varianti, una persona può essere sia etero che gay. Io ho incontrato tantissime persone che spaziano e non hanno per forza un genere. E questa è un’altra cosa che ci impone la società: di che genere sei? Che etichetta hai? Quindi noi cosa facciamo? Ci etichettiamo in un personaggio. Io quando scelgo un ruolo dico: oggi faccio una donna povera. È logico che in quel frangente mi identifichi con la donna povera – o la donna ricca –, che decida di scegliere una sola personalità. Ma questo lo facciamo sempre di più anche nella vita: è cosa fai che arriva a farti capire cosa sei. Sono etero, e cosa fanno gli etero? Vanno solo con le donne o solo con gli uomini. Faccio l’avvocato, e cosa fa un avvocato? Si sveglia tutte le mattine alle 6, beve il caffè e inizia a leggere quel giornale specifico… Si identifica totalmente con un personaggio che non esiste, è lui che l’ha scelto. Invece dovremmo tutti partire dal contrario: prima cosa sono, poi cosa faccio.

Foto: Martina Giammaria

Tu ti sei mai sentita etichettata?
Da morire. Però penso di aver sempre lottato per uscire da tutte le etichette: dentro ci sto proprio stretta, da sempre. Prendi una cosa stupidissima: non riesco a identificarmi con il lavoro di attrice. Io non mi reputo un’attrice, faccio l’attrice quando lavoro, però poi nella vita sono una persona normale. Se mi identificassi totalmente con il mio lavoro, mi prenderei troppo sul serio. Il mondo diventa più chiuso, più piccolo, quando ti identifichi completamente in qualcosa. Elimini tutte le altre scelte possibili. In America tutto questo succede molto meno. Le cantanti possono diventare imprenditrici, e poi magari riescono pure a fare le attrici. Invece noi viviamo in un Paese che ci pone molti dubbi su quello che siamo. Pensa quanto dev’essere terribile la condizione di una persona che si sveglia la mattina e dice: io sono Pro Vax o No Vax? Pensa quello che comporta proprio da un punto di vista di ricerca della propria identità.

Quali sono le etichette da cui sei fuggita?
La prima etichetta è stata il Grande Fratello, poi è arrivata Alessia di Jeeg Robot e per un anno hanno sostenuto che io ero Alessia. E poi sono diventata “quella di Carlo Verdone” (che l’ha diretta in Benedetta follia, nda). Ogni volta, quando l’attenzione era puntata su di me, io diventavo quello che dicevano gli altri. C’era sempre questo bisogno di definirmi. Io invece ho sempre cercato di fare cose differenti. E sono stata fortunata: adesso, per esempio, mi ha chiamato Dario (Argento, nda) e ho fatto una cosa ancora diversa, un horror puro.

Passare da due etichette così precise come la concorrente del Grande Fratello e poi l’attrice che vince il David di Donatello con un film, Lo chiamavano Jeeg Robot appunto, che fa il boom e cambia il cinema italiano… ecco, anche a voler sfuggirne, come si fa?
Questo è l’esempio lampante che non siamo quello che facciamo. La maggior parte delle persone che hanno fatto il Grande Fratello l’ha vissuta in maniera diversa da me. Io ho avuto la fortuna di fare un film d’autore, che è una cosa che capita pochissime volte alle persone “etichettate” con i reality, però ero pronta perché con quel tipo di televisione non mi sono mai identificata. Per un anno in quelle trasmissioni non ci sono andata, anche se non sapevo che poi avrei fatto il cinema d’autore. Tanti si dicono: “Ok, sono quella del GF, e che fanno quelli del GF? Vanno un anno a fare le ospitate”. Lo fanno perché pensano di non avere alternative. Io invece ero pronta a tornare quella che ero prima del GF, non ci sarebbe stato nessun problema. Ricapitolando: bisogna prima accettare sé stessi e poi accettare quello che si fa, però non identificarsi completamente con qualcosa. Lì sta l’errore.

Foto: Martina Giammaria. Fashion Editor: Francesca Piovano. Blazer Actualee

Fare l’attrice, anche in quest’ottica, ti aiuta a ragionare sul tuo essere doppia, bifronte?
Certo, certi ruoli ti aiutano molto. Film come Jeeg Robot o quello di Dario sono proprio due lavori grossi sull’identità, e ogni volta il lavoro cambia. Alessia di Jeeg Robot era una ragazza che subisce il sesso, invece Sabrina di Non ci resta che il crimine, per fare un altro esempio, lo usa a suo vantaggio. Questo lavoro mi permette di indagare vari aspetti di me, di come vorrei essere. Mi dico sempre: questa cosa mi piacerebbe, quest’altra cosa la levo. Secondo me la vita dovrebbe essere come un quadro: qua mi piace l’arancione e ce lo metto, qua c’è troppo nero e lo tolgo. Invece, fin da quando nasciamo, ci dicono: vai al liceo fino ai diciott’anni, poi scegli l’università tra le opzioni che ti mettiamo di fronte noi, e quando ti laurei inizi a lavorare, e poi ti sposi, e ti compri casa, e fai un mutuo dai trenta ai sessant’anni… Questo ci hanno insegnato, soprattutto a noi che siamo nati negli anni ’70/’80. Diventano delle vite tutte uguali. Una ragazza di diciott’anni che non si vuole iscrivere all’università si sente male, dice io sono sbagliata, i miei genitori si arrabbieranno… Invece magari vuole essere la prossima attrice di burlesque, o una pittrice. Nell’idea di potersi dedicare all’arte c’è stata una depressione totale, forse in questi anni ancora di più.

Un’altra delle etichette che ti hanno sempre affibbiato è quella di essere un’attrice “di genere”.
E che vuol dire? Jeeg Robot è un film d’autore, quello di Carlo una commedia… Ma la vita di tutti i giorni non è mai di genere. Non fai mai una giornata solo d’autore e una solo commedia. C’hai una giornata d’autore, una commedia, e poi una trash, una horror… Questo è un lavoro che si deve affrontare come la vita. Io vedo tante ragazze che vogliono fare l’attrice e dicono: “Accetterò solo film d’autore”. Ma così ti perdi tutta l’esplorazione di te stessa. Altrove non c’è tutta questa distinzione: Meryl Streep ha fatto un sacco di commedie, e anche Matthew McConaughey, che ha vinto l’Oscar, ha iniziato con mille commedie. Però lo sai perché non sono mai riusciti a mettermi un’etichetta?

Perché?
Perché non mi sono mai offesa di fronte alle etichette che mi affibbiavano. Perché non mi sentivo rappresentata da quelle etichette. È come se ti dico “a’ stronzo”: tu non si senti stronzo, quindi non ti senti offeso.

Foto: Martina Giammaria. Fashion Editor: Francesca Piovano. Ecofur: Alabama Muse. Body: Herth. Sandalo: Giuseppe Zanotti Design

Oggi si offendono tutti per qualsiasi cosa.
Sì, è vero. Ma sai che c’è? Oggi si ha tanta paura, e questo coronavirus ha amplificato tantissimo le nostre paure. Le persone hanno paura di non lavorare più, siamo in un momento di incertezza, anche nel cinema ci si chiede che succederà. Ma le paure ce le abbiamo sempre avute, fin da bambini ce le inculcano. Tu pensa che esiste solo il telegiornale delle brutte notizie, non esiste quello delle belle notizie. Se apri il giornale solo alla fine c’è una pagina su cinema e intrattenimento, ma arriva dopo trenta pagine di cose terribili. È sempre tutto in bianco e nero, siamo ormai obbligati a essere anche noi bianchi o neri.

A che punto sei arrivata, in questa esplorazione di te stessa e del tuo doppio? Chi è l’altra Ilenia che hai scoperto, e con cui dialoghi?
Come ha detto il mio psicologo, io sono “pluriabitata”.

Ma la coabitazione è serena?
Mah, è civile… Diciamo che ci sono sono parecchie riunioni di condominio.

Chi prende il sopravvento?
Dipende, io tendo comunque ad andare verso la luce, secondo me bisognerebbe cercare di seguire sempre l’alto, il polo positivo. Però ovviamente è ’n attimo che vieni trascinato giù, è normale. Se non ci fosse il brutto, nessuno potrebbe capire il bello; se non ci fosse il nero, nessuno potrebbe comprendere il bianco, la luce. Che poi è il concetto più vecchio del mondo: Adamo ad Eva se rompevano il cazzo nel giardino dell’Eden, quindi a un certo punto è arrivato Dio e ha detto: “Vabbè, v’aiuto: ve metto il serpente”. E uno dice: “Ma scusa, ci ha aiutato con il Male?”. Eh sì, perché poi quelli tramite il serpente hanno capito le cose belle.

Foto: Martina Giammaria. Body Painting: Assia Caiazzo

Com’è stato recitare per Dario Argento, che lavora tanto sui doppi?
Ho dovuto fare una donna che all’inizio è una prostituta, si basa molto sul suo aspetto esteriore. Poi ha un incidente e diventa cieca, e si trova a vivere totalmente nel buio. E c’è questo maniaco che la segue… Quindi ve lascio immagina’ come ho dormito per due mesi, quanti incubi. Però è stato bello. Dario per me ha qualcosa di esoterico, è un uomo mistico.

Che cosa ha provocato in quella tua coabitazione tra Ilenie?
Ho dovuto far prevalere la parte meno luminosa, anche drammatica, madonna quanto ho pianto in ’sto film… Però, nello stesso tempo, Dario riusciva a spiegarti queste scene super horror, drammatiche, come se ti stesse raccontando la favola della buonanotte: “Ilenia, una cosa che fa paurissima: tu arrivi e c’è quello che spunta da dietro…”. “Oddio, Dario”. “Eh, però è bella, no?!”. “Bellissima, chi lo mette in dubbio, però insomma…” (urla)

Ultimamente stai scegliendo tanti ruoli doppi: quello di E noi come stronzi rimanemmo a guardare di Pif è insieme reale e virtuale, l’Angelo della Morte di Io e Angela è terreno ma anche ultraterreno. Ti piace indagare tra vero e falso, su cosa si riesce ad afferrare e cosa no?
Sì, e secondo me è anche un po’ il cinema che inizia a vedermi così. In realtà non sono mai riusciti a classificarmi, ho iniziato con Alessia e poi ho fatto cose così diverse che subentra sempre “il dubbio della pazza”. Ma nella pazzia si possono trovare tante soluzioni.

Tornando all’esperienza con Argento, cosa ti rimane di più?
Mi rimane Dario, che è una persona dolcissima. E anche lui è doppio: gli piace l’oscurità, l’orrore, però di suo è un uomo molto luminoso, solare, positivo, buono.

Foto: Martina Giammaria. Fashion Editor: Francesca Piovano. Vestaglia: ROSAMOSARIO. Body: Herth. Sandalo: Giuseppe Zanotti Design

Anche tu cerchi il polo positivo, ma esisterà inevitabilmente anche quello negativo.
Siamo tutti attratti verso il basso, è la legge di gravità, ci tira verso “l’inferno”. Elevarsi è più complicato. Non è che le persone si svegliano la mattina e pensano alle cose belle: pensano a quelle brutte perché siamo attratti verso il basso e dobbiamo fare uno sforzo enorme per andare in alto. Bisogna diventare angeli.

Di Carlo Verdone hai detto tanto prima e dopo Benedetta follia. Lui cosa ti ha tirato fuori?
Carlo è il contrario di Dario: fa la commedia, mostra la sua parte più positiva, ma anche lui ha un suo lato oscuro. Ogni persona ha luci e ombre, poi decide cosa far vedere. Carlo ha scelto il suo lato di luce, Dario quello di ombra, ma entrambi conservano tutti e due.

Questo giocare con il tuo corpo, come fai negli scatti per Rolling, sembra invece la coabitazione con il tuo lato sexy. Proporre il body painting non è cosa da tutti, tu invece ti ci butti, in questo gioco con la tua fisicità.
Sì, perché a me piace sperimentare. Infatti mi piacerebbe anche fare delle foto proprio da brutta. Non ho un viso per forza da bella, vorrei lavorare in entrambi i sensi. L’attore non è un modello, ma anche questo lavoro ti schiavizza a livello di fisicità, ne diventi dipendente. (Più sottovoce) Tante mattine me svejio brutta brutta…

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Credit
Foto: Martina Giammaria
Fashion Editor: Francesca Piovano
Make up & Hair Styling: Emanuele Romano
Body Painting: Assia Caiazzo
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Thanks to: Collini Rooms Milano

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