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«Il mio Elvis per il futuro»

Parola di Baz Luhrmann, che ci confessa: «Non lavoro per il passato, ma per lasciare qualcosa». Quello che resterà della sua (bellissima) opera sul King del rock’n’roll è una visione insieme realistica e personale che riscrive le regole del biopic classico. E una nuova star per il domani. Perché Austin Butler non ‘fa’ Presley: ‘è’ Presley. Abbiamo parlato con il regista della leggenda di Memphis, della colonna sonora (Måneskin compresi) e dei consigli dati, tanti anni fa, a un certo Leo

Foto: Hugh Stewart/Warner Bros.

Diciamocelo: quando arrivò la notizia che Baz Luhrmann stava preparando un film sulla vita di Elvis Presley, a molti iniziarono a correre brividi lungo la schiena. Quando poi il regista australiano annunciò di avere scelto per il ruolo di The King il praticamente sconosciuto Austin Butler, i timori sono cresciuti. Tom Hanks nei panni del Colonnello Parker era senz’altro una sicurezza, anche a fronte dei chili di trucco con cui lo avrebbero ricoperto.

Oggi, dopo che il film è stato presentato in pompa magna a Cannes e che avrà il suo battesimo italiano la sera del 19 giugno per la serata di chiusura del XVIII Biografilm Festival di Bologna, possiamo dire che questa volta Baz ha fatto centro, dopo la non esaltante esperienza cinematografica che ci aveva fornito con la sua sin troppo sfavillante versione de Il grande Gatsby, per cui si riunì con Leonardo DiCaprio quindici anni dopo Romeo + Giulietta.

Elvis trascende il concetto di biopic grazie all’incredibile trasfigurazione di Austin Butler: dopo mezz’ora, si è convinti di avere di fronte Elvis redivivo. Sontuoso come uno show di Las Vegas, ma senza l’eccesso di barocchismi a cui ci ha abituato Luhrmann, Elvis è una parabola dell’eterna lotta tra Bene e Male in cui a soccombere è purtroppo chi ingenuamente ha venduto l’anima al diavolo. Opulento e carico di suggestioni, naturalmente ha nelle musiche il suo punto di forza, opportunamente arrangiate per portare al pubblico contemporaneo canzoni che fanno parte della storia del mondo.

Di questo e di molto altro abbiamo parlato proprio con Baz Luhrmann, durante una piacevole conversazione in un elegante albergo di Londra, in attesa dell’uscita di Elvis nelle sale italiane il 22 giugno, distribuito da Warner Bros.

Baz Luhrmann dirige Austin Butler e Olivia DeJonge sul set. Foto: Kane Skennar/Warner Bros.

Baz, bello rivederti al lavoro, anche se Elvis è in realtà il risultato di un lungo viaggio, iniziato quando… nel 2019?
Sì, sono un po’ lento a ingranare, è vero. Guarda, mia moglie (la scenografa e costumista Catherine Martin, ndr) mi ha ricordato che sin da quando mi conosce ho avuto un interesse nei confronti di Elvis, ma sul film ho iniziato a lavorare cinque anni fa, e la produzione vera e propria, sì: direi nel 2019.

In effetti ho scoperto che la tua prima volta da attore su un palcoscenico è in una commedia dal titolo Are You Lonesome Tonight? Era il 1982, quindi immagino non fosse la pièce di Alan Bleasdale, che è invece del 1985.
Accidenti, hai fatto i compiti: l’avrei ricordato a stento anche io… Sì, era una commedia scritta da un commediografo australiano su questa famiglia in cui la mamma è un’ossessiva fan di Elvis che ha chiamato così il figlio, mentre ha battezzato la figlia Priscilla. Io interpretavo il ragazzo di cui si innamora Priscilla e che pensa che questa famiglia sia decisamente strana.

Quindi, diciamo che Elvis era nel tuo destino.
Sì, credo sia proprio così. Sin dai tempi in cui la mia famiglia aveva un piccolo cinema e facevamo le matinée con i film di Elvis, è sempre stato lì. Scelsi Burning Love come brano per il mio numero a una gara di ballo e poi per un po’ è scomparso, soppiantato da Bowie e altri, ma ero più consapevole della sua influenza. La verità è che non volevo fare un biopic classico, così come Shakespeare usava figure storiche per esplorare temi molto più grandi. Amadeus, per esempio, non è un film su Mozart, ma sull’invidia; scopri molte cose su di lui, ma il protagonista è Salieri e la sua invidia.

Parliamo del film. I primi 25 minuti sono Luhrmann purissimo. Poi sembri essere sopraffatto dal Re, che diventa protagonista assoluto della storia: è come se lo avessi fatto rinascere. Ti sei reso conto che stava succedendo?
Sì, anche se non pensavo fosse possibile, ma posso dirti una cosa: Austin ha vissuto Elvis per due anni, giorno e notte. Quando stavamo girando il primo show di Las Vegas, Austin stava cantando Suspicious Mind: di quella scena ho una versione più lunga che ho dovuto tagliare. Mi si è avvicinata questa persona della troupe: Brad, un inglese, lavora con me da trent’anni, siamo amici, ma non credo mi abbia detto più di dieci parole da quando ci conosciamo, mi chiama “Boss”. Mentre giravamo quella scena, è venuto da me e mi ha detto: “Boss, ho lavorato in Star Wars, Superman, La sottile linea rossa. Ma una cosa del genere non l’ho mai vista”. E tutti sul set avevamo la stessa sensazione. Austin era sempre nel personaggio, quando vedi le fan in delirio non stanno recitando, è lui che le porta al delirio.

Una scena di ‘Elvis’. Foto: Trent Mitchell/Warner Bros.

Personalmente credo sia inutile fare le candidature per l’Oscar come miglior attore protagonista. Austin Butler non interpreta Elvis: è Elvis.
Non sono una persona che crede al caso o a un grande disegno universale, ma è vero che sono successe cose strane questa volta. Per esempio, Austin ha perso la madre alla stessa età di Elvis e nel provino filmato che mi mandò il suo agente, praticamente costringendolo a farlo, canta Unchained Melody piangendo, perché la notte prima aveva avuto un incubo su di lei. Poi c’è stata la pandemia, e a un certo punto sembrava che il film dovesse saltare e Austin non poteva accettare questa cosa, così ha raddoppiato gli sforzi, andava di notte a passeggiare sulla spiaggia parlando come Elvis per esercitarsi e per scoprire e rivelare l’umanità di quest’uomo. Non credo che avrò modo di vivere l’esperienza diretta di un’altra interpretazione come questa.

Credo anch’io. Parliamo dello stile del film. È molto più asciutto rispetto ai tuoi precedenti, ed è una scelta in questo caso molto efficace.
Hai ragione, e posso spiegarti con precisione il perché. Diciamo che potrei chiamare questo il mio “Periodo Blu”. I motivi sono due. Il primo è che sto invecchiando. Quando hai trent’anni racconti una storia in maniera differente, e quel modo ancora mi piace da morire, quello è il mio stile. Ma in questo caso volevo essere molto preciso, volevo davvero riprodurre la realtà, e il mio realismo magico aumentato non era davvero la cosa migliore. Ho dovuto trovare un linguaggio calibrato in modo diverso e, come hai detto, non è stato affatto male: il film è venuto più asciutto e, credo, molto più realistico.

Naturalmente l’altro aspetto fondamentale del film è la musica. Gli arrangiamenti dei pezzi di Elvis sono fantastici, non era facile lasciare intatto il fascino delle sue canzoni adattando il sound ai gusti di un pubblico giovane.
Assolutamente, dovevo mantenere un equilibrio. La mia etichetta discografica fa parte della RCA, per cui incideva Elvis, quindi ho avuto accesso a materiale che nessuno aveva mai ascoltato, trovato davvero nei meandri dei loro archivi. Ma tutto quello che è Elvis agli inizi della sua carriera non è utilizzabile come playback. Quindi avevo pensato di inciderlo registrando qualcuno che cantasse come lui, finché non mi sono reso conto che Austin era perfettamente in grado di farlo: quando interpreta Trouble o Baby, Let’s Play House è Elvis in persona. Così sono riuscito a risolvere il problema dei classici ma, come hai detto, dovevo anche rendere queste canzoni accessibili a un pubblico giovane. È quello che ho fatto con Jay-Z su Gatsby. In Elvis c’è questa scena di montaggio su una versione di Bossa Nova Baby che sembra lounge molto elegante, ma di fatto all’epoca era un pezzo pop, e quindi ho fuso la lounge con sonorità pop anni ’90. Ho fatto lo stesso in Viva Las Vegas, mettendoci un po’ di Toxic di Britney Spears, ma in ogni caso non mi sono mai spinto troppo oltre, ho cercato sempre il giusto equilibrio.

È anche la ragione per cui ha deciso di offrire l’opportunità a tanti artisti, anche molto giovani, di far parte della colonna sonora del film. Tra questi, naturalmente, anche i Måneskin.
Ho visto Victoria a un party qui a Londra un paio di sere fa. La ragione per cui ho voluto ampliare lo spettro della colonna sonora è tutta nel cartello che chiude il film: per l’influenza che ancora oggi Elvis ha sulla cultura e la musica. E prego tutti quelli che andranno a vedere il film di restare per tutta la durata dei titoli, perché sono pieni di sorprese musicali, cominciano con la nuova canzone di Eminem e si chiudono con i Måneskin che suonano If I Can Dream duettando con Elvis sulle ultime note. Credo fosse molto importante sottolineare quanto fondamentale sia stato Elvis per tutta la musica venuta dopo di lui.

Tom Hanks/Tom Parker e Austin Butler/Austin Butler. Foto: Hugh Stewart/Warner Bros.

Certo, è la stessa eredità che hanno lasciato i Beatles, che senza Elvis sarebbero stati diversi. L’eredità che vuole lasciare Baz Luhrmann invece qual è?
Ho sempre pensato di fare film per il futuro, non per il presente. Elvis mi ha ricordato molto Romeo + Giulietta, quando sul set lessi con un giovane attore che lavorava con me una sceneggiatura che gli avevano proposto, a proposito di una grande barca e di un iceberg. Lui mi chiese “Secondo te lo devo fare?”, e io gli dissi “Certo, sarà un grande successo”. E ci sono tante reminiscenze con quello che abbiamo fatto oggi, perché quell’attore stava diventando i Beatles, alla prima del film a Londra le ragazze urlavano non appena Leo girava l’angolo. La stessa cosa sta succedendo con Austin, è nata una nuova stella luminescente, sta succedendo davvero, è proprio di fronte ai nostri occhi. In sei mesi è passato dal suscitare curiosità alla copertine in tutto il mondo. Poi c’è la discussione attorno al film, come succede sempre per me, anche questa è energia. Ma la cosa che mi interessa non è che questo sia un successo oggi, ma che lo sia in futuro. Moulin Rouge! è diventato un musical teatrale rappresentato nel West End, a Broadway, a Melbourne e presto a Tokyo, e il film ha ancora il suo pubblico. Romeo + Giulietta credo sia più fresco oggi di quando uscì. Come ti ho detto, non lavoro per il passato ma per il futuro. Per lasciare qualcosa.

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