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‘Il mio corpo vi seppellirà’: quando Sergio Leone incontra Tarantino e Garibaldi

Il nuovo film di Giovanni La Pàrola vuole creare un genere che il cinema italiano non ha mai visto: tra brigantesse assetate di vendetta, "western borbonico" e fiumi di sangue

Rita Abela, Margareth Madè, Antonia Truppo, Miriam Dalmazio in ‘Il mio corpo vi seppellirà’. Foto di Riccardo Ghilardi.

L’odore dei cavalli punge l’aria mentre saliamo tra i gradini mangiati dalle sterpaglie, diretti alla cittadina fantasma che dalla vetta della Gravina di Ginosa guarda silenziosa le grotte dall’altra parte del canyon, inquietante strascico paleolitico. Il sole immobilizza la polvere che ricopre le strade, qualche sguardo scolpito dal lavoro nei campi si affaccia stupito dalle case di pietra, oasi d’ombra per ripararsi dalla luce e dal caldo di un pomeriggio di fine giugno.

«I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono alla forza pubblica, saranno puniti colla fucilazione», strilla un manifesto davanti alla chiesa, la firma è quella di Vittorio Emanuele II, Re delle due Sicilie e futuro sovrano del Regno d’Italia ancora in divenire; qualche metro più in là una lavandaia controlla le notifiche di Instagram e una guardia garibaldina, deposta la baionetta, si rinfresca trangugiando una mezza naturale. «Dovete correre avanti e indietro! Caciara all’infinito!», grida un’inviperita assistente alla regia rivolgendosi alle comparse mentre si dispongono sul sagrato per l’ennesimo ciak. Sta per andare in scena un’esecuzione, le guardie sabaude cercano di respingere la rabbia del paese, il cavallo del comandante impenna, da lontano arriva assordante il rumore di un jet militare che sfreccia chissà dove, «Stooooop!».

Dalla cabina il regista Giovanni La Pàrola si accende nervosamente la prima di una lunga serie di sigarette: «La vera azione era ieri con le scene di combattimento, oggi dobbiamo solo inquadrare i dettagli e qualche primo piano, oggi è tranquillo», commenta spavaldo. A fine giornata le sigarette spente nel posacenere saranno decine.

Cappello da cowboy da vero ranchero e annesso stivale, «lo chiamiamo ‘la rockstar’», scherza il produttore Andrea Paris, mentre La Pàrola racconta del suo nuovo film, forse il più importante della sua carriera, Il mio corpo vi seppellirà. «Il film si svolge nel periodo appena precedente all’Unità d’Italia ma visto attraverso gli occhi di chi, all’Unità, si opponeva. Racconto dei villaggi del Sud, dove l’arrivo dell’Esercito Sabaudo era un’invasione da respingere, una nuova legge imposta con la violenza da usurpatori cui la persone si ribellavano come meglio potevano, affidando la resistenza alle bande di briganti, reietti della società armati fino ai denti, unica difesa contro la crudeltà dei soldati mandati da Vittorio Emanuele II», spiega il regista.

Giovanni La Pàrola. Foto di Riccardo Ghilardi.

«Ho fatto tanta ricerca prima di scrivere la sceneggiatura per cui mi sono ispirato a fatti realmente accaduti in quegli anni», continua La Pàrola. «Ho scoperto che le vicende incensate dalla Storia in realtà ‘nascondono’ le violenze sanguinarie dei soldati invasori, contadini giustiziati perché ignoravano il nome del futuro Re d’Italia». In mezzo i briganti, o meglio, le brigantesse, protagoniste del film: «In quel periodo storico la condizione femminile ha un sussulto, donne a cui con la violenza era stato strappato tutto che decidono di diventare fuorilegge. Il mio corpo vi seppellirà racconta anche del primo caso in Italia di emancipazione».

Rita Abela, Margareth Madè, Antonia Truppo, Miriam Dalmazio in ‘Il mio corpo vi seppellirà’. Foto di Riccardo Ghilardi.

Al centro della storia, infatti, ci sono le Drude, quattro bandite, quattro donne diverse tra loro ma accomunate dalla crudeltà subita: «Ognuna delle protagoniste porta dentro la propria storia e la propria rabbia. Il mio personaggio, ad esempio è quello sempre pronto a sparare e a uccidere, sono il cecchino della banda, anzi, la cecchina», racconta Margareth Madè, di nuovo su un set imponente dopo Baarìa e coprotagonista della pellicola insieme a Miriam Dalmazio, Antonia Truppo e Rita Abela per un cast completato da Giovanni Calcagno e Guido Caprino. «Le Drude sono un ritratto femminile totalmente diverso da quello cui è abituato il cinema, siamo assassine senza scrupoli assetate di vendetta ma pronte a difendere le popolazioni innocenti dall’invasione dei soldati; ho sentito molto profondamente queste figure, fin dalla prima lettura del copione», aggiunge Antonia Truppo (Indivisibili, Lo chiamavano Jeeg Robot), prima di essere legata con le mani dietro la schiena per registrare la scena in cui viene frustata sul sagrato.

La Pàrola dietro la macchina è maniacale, ogni granello di polvere, ogni sfumatura di luce, ogni gesto di attori e comparse non sfugge al suo sguardo. Ore massacranti perché quella manciata di minuti venga perfetta, in pieno stile “western borbonico”. «Per il film ho voluto giocare con i generi, come avevo fatto per il cortometraggio Cusutu N’ Coddu. C’è il film storico in costume, certamente, ma anche il western, il pulp, l’azione, tutto miscelato insieme. Ho cercato di creare un linguaggio che il cinema italiano non ha mai visto, dove le scene di sangue del pulp si incrociano con i campi immensi del western».

I richiami, infatti, sono tanti: da Sergio Leone fino ai primi piani di scuola Quentin Tarantino, passando per le scene crude à la Sam Raimi. Sullo sfondo gli scenari mozzafiato della Puglia, tra la faglia di Gravina e il suo villaggio disabitato e caverne inerpicate sulla montagna, o la cava di bauxite di Spinazzola, che con la sua sabbia ramata e metallica diventa un caleidoscopio di luci quando illuminata dal sole, sfondo perfetto per pistole e assalti alla diligenza. «È un set molto faticoso, per cui ci siamo preparate per un anno», racconta Miriam Dalmazio (Sole a catinelle). «Abbiamo imparato a cavalcare al galoppo, a usare armi vere, a stare in mezzo alla polvere per ore intere, affaticate dal caldo. Ci svegliamo alle prime ore dell’alba per il trucco e poi magari bisogna scalare una montagna per arrivare sui luoghi delle riprese».

Foto di Riccardo Ghilardi.

«Il mio corpo vi seppellirà è un film ‘anomalo’», aggiunge Andrea Paris di Ascent Film. «Se certamente pellicole come Gomorra, Lo chiamavano Jeeg Robot o Perfetti sconosciuti hanno aperto nuove strade, ampliando i confini del cinema italiano quando sembrava ormai ripetersi costantemente fra i soliti generi, il film di Giovanni La Pàrola potrebbe scrivere un nuovo capitolo ancora. Innanzitutto per la trama, che ci ha conquistato fin dall’inizio, ma anche per la mescolanza di suggestioni cinematografiche e uno stile di regia che il pubblico italiano non si aspetta».

Otto settimane di riprese, dieci ore al giorno di lavoro incessante, una crew di 120 persone in media, Il mio corpo vi seppellirà – in uscita prevista per il 2019 – potrebbe davvero rappresentare una svolta nel cinema Made in Italy, i presupposti ci sono tutti. Mentre ci allontaniamo a bordo di un pick up tra un turbinio di sabbia ferrosa, il tramonto annuncia la sua comparsa alle spalle della cava di bauxite, Margareth Madè sistema la benda che copre i suoi occhi di ghiaccio mentre Rita Abela accarezza la sua Iris, la giumenta ormai stanca dei continui “stop” di La Pàrola, ma la giornata di lavoro è ancora lunga. La troupe si prepara a registrare uno dei momenti più cruenti del film, ma meglio non svelare troppo, perché il tempo del western borbonico sta per arrivare.

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