È uno dei più grandi cineasti contemporanei, e ha raccolto nei festival molto meno di quanto meritasse. Un Orso d’oro a Berlino per Sesso sfortunato o follie porno, ma un film come Do Not Expect Too Much from the End of the World dev’essere considerato una delle opere più importanti degli ultimi decenni. Presto arriverà in Italia anche Kontinental ’25 (distribuisce I Wonder Pictures), altra opera che riflette sulla condizione del suo Paese, la Romania, come molti altri del blocco orientale cresciuti con non poca confusione dopo la caduta del regime sovietico.
Lo sintetizza mirabilmente in questo blog di 71 minuti dal titolo Eight Postcards from Utopia, realizzato insieme al filosofo Christian Ferencz-Flatz. Otto movimenti per raccontare la Romania post Ceaușescu e le sue trasformazioni, economiche e sociali, usando esclusivamente pubblicità dei prodotti più diversi andate in onda tra i primi anni ’90 e il 2007. Opera concettuale, naturalmente, documento di grande importanza storica, ma anche esperimento per una nuova forma di oggetto cinematografico, perché Jude è un teorico e uno sperimentatore. Eight Postcards from Utopia, titolo già di suo bellissimo, è dal 1° agosto su MUBI. Per l’occasione abbiamo fatto due chiacchiere con Radu.
Da dove nasce l’idea di questo folle e bellissimo film?
Radu Jude: Lascio a Christian le ragioni teoretiche. Dal mio punto di vista, dal desiderio di fare cinema in un modo diverso, non necessariamente nella maniera tradizionale, che da dieci anni è progressivamente più difficile, soprattutto per trovare fondi. Ormai non ho più l’urgenza di realizzare a tutti i costi il film che sogno o della vita, fare il regista è il mio lavoro e cerco di cogliere ogni opportunità che possa andare a mio vantaggio. In questo caso c’era la possibilità di poter utilizzare questi materiali esistenti, che è un modo altro di fare cinema, infilandosi in una falla del sistema, rielaborando queste immagini in montaggio dando loro un altro significato, che ti spiegherà meglio Christian.
Christian Ferencz-Flatz: Non sono un regista, sono un filosofo, e questo film è la conseguenza di un mio studio sulla pubblicità in Romania durante il periodo della transizione, che considero una sorta di portale segreto che conduce ad alcuni dei fondamenti intellettuali, economici e politici degli anni ’90. Penso che nella pubblicità questo sia molto evidente e lavorare a questo progetto, per il quale sono molto grato a Radu, è stato un ampliamento della ricerca.
Radu, negli ultimi anni hai analizzato il tuo Paese sotto molti punti di vista, ma la cosa che ti interessa di più è senz’altro l’impatto del capitalismo in una società post sovietica. Quali sono stati i problemi maggiori che ha creato questa nuova economia?
RJ: Credo che il problema maggiore sia che non ce ne sia una. Non sono un filosofo o uno storico, ma sono interessato alla Storia da un punto di vista personale e mi interessa capire come le immagini, nel tempo, siano state cambiate dalla Storia stessa e come quest’ultima possa essere raccontata dalle immagini. Per me è stato come guardare al passato per trovarci qualcosa e interrogarmici. Qualunque cosa, e quello potrebbe sempre essere l’inizio di un progetto. Ho sempre considerato il cinema non solo intrattenimento, ma uno strumento per far riflettere, in questo caso usando del materiale considerato spazzatura per costruire una narrazione storica parallela. Il film è anche di grande interesse antropologico, mostra falsi miti creati dalla pubblicità come l’antica tradizione del bere birra, ma anche la percezione che la nuova economia riserva alle figure femminili. I cambiamenti troppo rapidi portano spesso conseguenze.
CFF: Non così rapidi, la Romania ha avuto la transizione più lenta tra tutte le nazioni dell’Est Europa, il che è stato motivo di costante frustrazione. Mentre gli altri Paesi dell’ex blocco sovietico entravano nella Comunità Europea e accoglievano l’euro o entravano a far parte della NATO, noi venivamo lasciati indietro. Siamo ancora in transizione, e chissà se e quando finirà.
RJ: E se tutto questo sia stato un bene o un male, credo che naturalmente ci siano prospettive e considerazioni più complesse di questo film per capirlo. Ma è fuori di dubbio che il passaggio da una dittatura a una società più o meno democratica sia in ogni caso un cambiamento positivo. Poi si può discutere su come sia avvenuto, e possiamo dire male, distruggendo tutto il sistema di sostegno sociale del Paese, dall’educazione alla sanità ai trasporti pubblici, e molte persone sono rimaste tagliate fuori dai vantaggi di questa nuova economia. Per questo non è inusuale imbattersi anche in dei nostalgici idealisti dell’era Ceaușescu. Magari dovrei fare un film anche su questo.
Bene, che aspetti!
RJ: In effetti non è una cattiva idea, ma non saprei come farlo. Però è intrigante. Da un certo punto di vista la brutalità di questo nuovo sistema economico è inutilmente grande. Oggi in Romania abbiamo un governo votato soprattutto per evitare che salissero dei fascisti, ma si stanno rivelando, e non per colpa loro probabilmente, incompetenti nel comprendere come funziona il mondo oggi. Non dico di avere delle soluzioni, ma credo non le abbiano neanche loro.
Parliamo delle immagini che avete trovato e utilizzato, materiale davvero incredibile che vuole promuovere prodotti in stile occidentale ma in un modo molto goffo e alla fine divertente.
RJ: Devo dirti la verità, sono sempre un po’ in imbarazzo quando le domande sono sulle pubblicità in sé, perché il film non parla di pubblicità. Noi abbiamo sfruttato delle immagini per trasformarle in qualcosa di diverso.
Hai ragione, mi spiego meglio. Intendo dire che quella forma di comunicazione era il sintomo di qualcos’altro.
RJ: Figurati, è comunque una domanda assolutamente lecita, ma hai ragione in questo, sono il sintomo di qualcos’altro che è presente nelle immagini stesse, che però dal mio punto di vista hanno anche una forte connotazione documentaria. Ma soprattutto derivano dalle idee e dalla cultura di qualcos’altro, e non lo dico in senso critico, perché tutta la nostra cultura è formata sull’imitazione di altro, specialmente in Occidente. Ho pensato che fosse interessante riflettere su come la Romania stesse immaginando il proprio futuro.








