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‘How to Have Sex’, ritratto di una generazione confusa e infelice

Arriva nelle sale uno degli esordi più acclamati della stagione. L’orrore della prima volta raccontato dallo sguardo di una delle giovani registe più promettenti della scena inglese (e non solo): Molly Manning Walker. L’abbiamo incontrata

Foto: MUBI/Teodora Film

Già da alcuni anni il cinema britannico sta tirando fuori una nuova generazione di giovani cineaste con sguardi diversi, particolari e molto attente ai generi. Di esempi ce ne sono svariati, a partire dall’horror, in cui grande ribalta internazionale hanno avuto esordi importanti come Saint Maud di Rose Glass, il cui secondo film, Love Lies Bleeding, è stato uno dei titoli più caldi dell’appena concluso Sundance Film Festival, con Kristen Stewart protagonista di questo romantic-thriller-mélo prodotto da A24, ormai onnipresenti profeti del New Indie. A Glass si affianca Prano Bailey-Bond, regista di Censor, altro horror datato 2021, mentre quest’anno hanno avuto grande attenzione due film in particolare. Uno è Scrapper di Charlotte Regan, l’altro è How to Have Sex. Il primo ha vinto lo Young Audience Award agli ultimi European Film Awards, il secondo, diretto da Molly Manning Walker, nella stessa serata che celebra ogni anno il cinema europeo, si è portato a casa il premio European Discovery della FIPRESCI, il sindacato critici internazionale. Questo dopo avere vinto la sezione Un certain regard al Festival di Cannes 2023. Sia Scrapper che How to Have Sex si contenderanno il BAFTA come Outstanding British Film il 18 febbraio a Londra. Intanto il film di Molly Manning Walker esce in Italia, il 1° febbraio, grazie a Teodora Film e MUBI, dopo essere stato presentato in anteprima ad Alice nella Città lo scorso ottobre.

How to Have Sex è la cronaca della vacanza di tre ragazze britanniche a Malia, paradisiaca isola greca che in lunghi periodi dell’anno diventa una discoteca a cielo aperto, meta preferita proprio dei giovani turisti di Albione e dintorni. «Ma noi abbiamo dovuto girare a novembre», sottolinea Molly. «Era l’unico momento dell’anno possibile, anche per questioni di budget. In realtà faceva veramente freddo». Le giornate, e soprattutto le notti di Tara, Em e Skye, sono scandite da party in piscina («Un piacere con quel freddo…», ci tiene a far sapere al mondo Mia McKenna-Bruce), serate in discoteca, alcool e incontri con ragazzi e ragazze, per una settimana all’insegna del divertimento più sfrenato. Tra le tre, Tara è quella con un pensiero in più: quello di avere la sua prima volta. Ma le cose non andranno come aveva sognato. Anzi.

How to Have Sex è un film che si basa su equilibri fragilissimi, ragione per cui è un piccolo miracolo di scrittura, supportata dalle ottime interpretazioni del giovane cast (che conoscendo assai bene la gioventù britannica post Brexit si può dire abbia fatto un lavoro più che altro di immedesimazione) e dalla regia, notevole per idee e occhio, di Molly Manning Walker, che come Rose Glass ha studiato alla National Film and Television School. «Ma non voglio parlarne, non è un periodo che ricordo con particolare piacere», mi ha confessato quando l’ho incontrata a Roma in occasione della presentazione ad Alice nella Città.

Una scena del film. Foto: MUBI/Teodora Film

Molly ha iniziato la carriera come direttrice della fotografia, e come spesso accade nel circuito dei giovani cineasti inglesi usciti dalle varie scuole, ha lavorato anche per altre promettenti registe, tra cui, guarda un po’, Charlotte Regan, per cui ha curato la cinematography di Scrapper. Ha anche ritirato l’EFA al posto suo a Berlino, ma «anche se continuerò a lavorare come direttrice della fotografia, quello che mi interessa è trovare e sviluppare storie tutte mie», ci ha già confermato Molly. How to Have Sex è lo spaccato di una generazione confusa, che da una parte si è vista privare della possibilità di esplorare il mondo vicino senza restrizioni da una classe dirigente che non ha alcun desiderio di conoscerne i bisogni, e dall’altra si autoeduca attraverso i social, perché i loro genitori sono concentrati su altre priorità. Quello che viene fuori è un ritratto amaro ma al tempo stesso delicato, un abbraccio verso queste ragazze, Tara in particolare, che in un modo o nell’altro dovranno affrontare piccole e grandi prove nella vita dovendo scegliere su chi potere contare, un giorno alla volta. I ragazzi di How to Have Sex sono figli della generazione di Human Traffic, quella a cavallo del millennio, che della Club Culture avevano fatto davvero una scuola di formazione, anche sociale e politica. Oggi invece c’è disorientamento totale e latitanza di dialogo, perché prima di tutto c’è la ricerca e l’indagine è su sé stessi, chi essere e cosa diventare.

«Sono d’accordo, c’è molto dello spirito di Human Traffic», mi ha confermato Molly. «Soprattutto nel desiderio di farsi queste domande e di imparare a connettersi gli uni agli altri. Immagino che se parlassimo di più forse sapremmo anche maggiormente come comportarci. È una cosa che riguarda la comunicazione, la gentilezza e il connettersi tra esseri umani, piuttosto che fingersi sempre superiori». Le fa eco Mia McKenna-Bruce, la giovane interprete di Tara, da mesi costantemente al suo fianco nella promozione del film e in corsa anche lei per un BAFTA, quello come miglior talento emergente britannico. «Sono d’accordo, quello che una persona lascia trasparire non è quasi mai quello che realmente le sta accadendo interiormente, c’è sempre molto di più di quello che dicono le parole. Non è poi così complicato fare lo sforzo di comprendere una persona nella sua complessità, andando oltre la superficie delle cose». 26 anni, Mia ha fatto parte del cast dell’ultima versione cinematografica di Persuasione, il romanzo di Jane Austen: quella con Dakota Johnson targata Netflix. Ma Tara è un personaggio che non dimenticherà facilmente, le cui emozioni vengono fuori soprattutto dai suoi sguardi, quasi sempre confusi e impauriti. «Penso sia stato importante conoscerla davvero bene», mi spiega Mia. «Abbiamo provato molto prima di iniziare il film, approfondendo i personaggi e le loro storie passate. Quando hai questa struttura ben fissata nella mente, tutto quello che viene fuori non penso sia mai davvero intenzionale. Non ho mai pensato di dover recitare con gli occhi, erano emozioni che non potevano restare dentro».

La regista e sceneggiatrice Molly Manning Walker. Foto: MUBI/Teodora Film

Paradossalmente, How to Have Sex è un film in cui silenzi e piccoli gesti sono fondamentali, contrappuntati al caos in cui si immergono i protagonisti per dimenticare tutto quello che non li rende felici. «Era importante cogliere questi attimi di pace tra i personaggi, senza il film sarebbe solo la cronaca di una festa senza fine, e non era quello che volevo». Una delle caratteristiche del film è la sua straordinaria fluidità, narrativa, intellettuale di genere, anche in questo risultato di un processo creativo che sta a monte e che è basato su un lavoro collettivo. «Quando hai sei persone con sicuramente delle esperienze in comune, allora può succedere qualcosa di più. Tutto è stato sempre in divenire, dalla sceneggiatura al casting. I personaggi si sono trasformati dall’idea iniziale a come sono effettivamente nel film, è successo durante le prove e anche sul set», continua Molly. E Mia conferma quanto il rapporto tra regista e attori sia stato stretto sul set. «Molly ci chiedeva continuamente di sperimentare, si fidava molto di noi e viceversa. Ogni tanto voleva che provassimo delle scene completamente senza dialogo, per rafforzare il rapporto di complicità che c’è tra le tre protagoniste. È stato un continuo fare cose nuove».

E a proposito di cose nuove, dopo il primo film di solito arriva la parte più difficile: il secondo. «Eh, lo so, preferirei non pensarci in questo momento, mi sento un bel po’ di pressione addosso. Ma vediamo, vorrei che fosse una storia che viene fuori da sola, naturalmente, senza forzature». Quanta saggezza in queste giovani donne inglesi.

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