‘House of the Dragon 2’, che la guerra abbia inizio | Rolling Stone Italia
Verdi o neri?

‘House of the Dragon 2’, che la guerra abbia inizio

Arriva la seconda stagione della serie HBO (da noi su Sky e in streaming su NOW) che non ha fatto rimpiangere ‘Game of Thrones’, anzi. Abbiamo incontrato lo showrunner Ryan Condal alla première londinese. I nuovi sviluppi della trama ma anche ‘Succession’, il conflitto in Ucraina, l’eredità con il ‘Trono di Spade’. E un monito a sé stesso: fare sempre quello che vorrebbe vedere lui come fan accanito di George R.R. Martin

Foto courtesy of HBO

Non è nemmeno cominciata la seconda stagione che già siamo in ansia ad aspettare la terza. E già, perché HBO ha già dato il via libera a un’ulteriore stagione di House of the Dragon, il prequel/spin-off di Game of Thrones ambientato nella terra di Westeros 200 anni prima degli eventi che conosciamo e di cui sono stati protagonisti Jon Snow, gli Stark, i Lannister e un sacco di altra gente. In questo senso, House of the Dragon dovrebbe essere apparentemente un racconto più lineare, dato che fondamentalmente si tratta di una faida famigliare, quella dei Targaryen. Ma in realtà così non è, perché anche in questo caso ci sono in ballo decine di personaggi che, in un modo o nell’altro, qualcosa contano nell’economia della saga.

Inutile nascondere il fatto che tra i vertici di HBO c’era una certa preoccupazione, dato che non era facile reggere il confronto con una serie che ha segnato un punto di svolta – in termini di narrazione, messa in scena e scala, anche economica – nella storia della produzione televisiva. C’è da chiedersi, a dire il vero, se sia ancora il caso di fare una netta distinzione con il cinema, perché alcune puntate di GoT valevano ben più di molti film che si sono meritati il grande schermo. Viste le premesse, House of the Dragon (dal 17 giugno su Sky e in streaming su NOW) non poteva essere da subito un prodotto migliore, ma certamente poteva essere diverso. E in questo senso la cosa è riuscita perfettamente, perché la serie sviluppata da Ryan Condal ha una modernità e un approccio alla nostra contemporaneità che inizialmente la stessa Game of Thrones non aveva.

Emma D’Arcy nei panni di Rhaenyra. Foto courtesy of HBO

House of the Dragon è in fondo Succession, come lo stesso Ryan mi ha confermato nel corso della conversazione avuta a Londra poche ore prima della première britannica. «Ho sempre detto che, se la prima stagione si fosse intitolata The Tudors, Paddy Considine avrebbe vinto tutti i premi possibili e immaginabili. Detto ciò, ho sempre pensato che questa serie sia molto meno fantasy di Game of Thrones, ed è una cosa strana da dire dato che ci sono 17 draghi. Ma fondamentalmente House of the Dragon è, come hai detto tu, una storia di successione: Rhaenyra e Aegon che si contendono l’eredità di Logan Roy, massacrando tutti quelli che intralciano il loro cammino verso l’obiettivo finale. È una tragedia greca, o shakesperiana, ma con i draghi, che oltretutto sono un’efficace metafora della guerra nucleare». Succession o il conflitto in Ucraina, a voi la scelta.

A essere in guerra qui sono in realtà due donne, una volta amiche, come raccontato nella prima stagione, divise per sempre dagli intrighi della politica. Rhaenyra, figlia di Re Vyseris I Targaryen ed erede designata al Trono di Spade. Peccato che la sua ex amica, sposa di suo padre, Alicent Hightower, fosse di tutt’altro parere, avendo riferito che l’ultimo desiderio del defunto marito sia stato di insediare il figlio Aegon. Qui siamo ancora alla prima stagione e non andiamo oltre con gli spoiler, perché non è detto che tutti l’abbiano vista. Ma diciamo che tra la fine della precedente carrellata di dieci episodi e l’inizio della seconda stagione (otto puntate in totale) si entrerà sempre di più nel mood che ha reso celebre Game of Thrones. Sì, esatto, morirà un sacco di gente, ma non vi diciamo chi. L’importante è fare molta attenzione, perché c’è in effetti un piccolo problema di comprensione ogni tanto. Se nella madre di tutte le serie c’erano delle divisioni ben precise, di famiglia e di casato, e dei singoli personaggi che portavano avanti delle linee narrative precise come Jon Snow, tanto per dirne una, qui la situazione è molto diversa, perché di fatto parliamo di panni sporchi da lavare in una sola famiglia.

Otto Hightower (Rhys Ifans) e Alicent (Olivia Cooke) in una scena della seconda stagione. Foto courtesy of HBO

Ma Ryan era ben consapevole anche di questo. «Sì, hai ragione, in effetti è una cosa con cui abbiamo combattuto abbastanza, dato che la maggior parte dei protagonisti di questa serie ha i capelli argentati e i nomi sono molto simili tra loro. Ma alla fine abbiamo deciso di attenerci alla lettera al testo di George, mantenendo tutti i nomi originali e lasciando agli attori l’abilità di fare innamorare il pubblico dei loro personaggi, che di fatto è quello che successo con Game of Thrones. Sai, alla fine non credo che nelle prime due stagioni di GoT il pubblico avesse capito perfettamente quali erano i Lannister e quali gli Stark. E anche questa scelta credo ci abbia premiati, perché alla fine della prima stagione c’era già un forte attaccamento ai singoli personaggi di House of the Dragon».

Tornano Olivia Cooke e Emma D’Arcy nei panni di Alicent e Rhaenyra, così come Rhys Ifans in quelli di Otto Hightower, il padre di Alicent nonché burattinaio politico di tutta la situazione. Matt Smith è ancora Daemon, il fratello del re morto e marito della nipote Rhaenyra, e a corollario ritroviamo quasi tutto il cast della prima stagione. Maggiore importanza avranno nelle nuove puntate due personaggi cresciuti nel corso della serie, Lord Larys Strong, magistralmente e viscidamente interpretato da Matthew Needham, e Mysaria (Sonoya Mizuno), la tenutaria di bordello, amante e informatrice di Daemon, che diventerà invece una figura chiave proprio per Rhaenyra.

Aegon II (Tom Glynn-Carney) sul Trono di Spade. Foto courtesy of HBO

Sembra complicato, ma in fondo non lo è, e il perché ce lo dice ancora una volta Ryan Condal. «C’è tanto lavoro dietro, sostenuto dalla passione e dalla grande professionalità di ogni singola persona che lavora a questa serie. Abbiamo dovuto creare un mondo nuovo, ma abbiamo anche scelto di non esagerare all’inizio, proprio per non travolgere le persone che ci hanno lavorato con un’eccessiva quantità di informazioni e di materiali da ricostruire. Per fortuna abbiamo avuto accesso a tutto quello che era stato prodotto per Game of Thrones, e questo ci ha certamente facilitato il lavoro. Ma, di contro, House of the Dragon è ambientato 170 anni prima, quindi molte cose devono essere diverse, a partire dal fatto che raccontiamo fatti che avvengono nel periodo di massimo splendore della Casa Targaryen, mentre quello di Game of Thrones è un periodo di decadenza, quindi ci sono molte cose a cui devono fare attenzione tutti i capireparto, che già nel corso delle riprese della seconda stagione più di una volta mi hanno ripreso perché io stesso mi confondevo su alcune cose, mentre loro erano completamente immersi nel mondo di House of the Dragon, un processo che a questo punto va avanti da quattro anni e che ci auguriamo prosegua ancora per molto tempo».

Accadrà, come detto all’inizio, e teoricamente, a detta dello stesso George R.R. Martin, si amplierà con nuovi spin-off. Per ora, dal 17 giugno godiamoci la seconda stagione di House of the Dragon. E se per caso siete a Milano, dalle 22:30 di domenica 16 giugno al Castello Sforzesco ci sarà un conto alla rovescia con quiz, dj set, street food in tema che culminerà con la proiezione del primo episodio. Che stia tornando la febbre fantasy come fu per GoT? Chi lo sa, intanto una cosa è certa, non sono racconti che lasciano indifferenti, e lasciamo a Ryan la chiusura passionale. «Il fatto è che far parte di questo mondo è un onore incredibile. Parliamo di qualcosa che è stato un evento generazionale, quello che ha creato George ha avuto un impatto culturale della stessa potenza del Signore degli anelli, Guerre stellari o la Marvel. Credo che Westeros resterà a lungo con noi. Tutti sanno che il mio approccio con George e il suo lavoro è prima di tutto quello di un enorme fan, ed è anche l’approccio che ho avuto quando ho iniziato questo lavoro, perché volevo che House of the Dragon fosse qualcosa che volessi vedere prima di tutto io come appassionato, avendo però sempre ben presente l’enorme responsabilità che mi stavo sobbarcando, perché comunque era importante non perdere mai di vista la serie originale, che è uno dei prodotti di maggiore successo di tutti i tempi. Ma era importante costruire qualcosa che potesse camminare sulle proprie gambe, e dopo la prima stagione posso dire che abbiamo vinto tutte le sfide che ci eravamo inizialmente prefissati».

E sì, sembra proprio di sì. Adesso ci toccherà aspettare due anni per sapere cosa succederà nella terza stagione. Con i pochi personaggi rimasti dopo la Danza dei Draghi, la grande guerra di successione che ci aspetta.

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