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Halle Bailey, la nuova ‘Sirenetta’: «Mi manda Beyoncé»

Dai consigli della diva che l’ha consacrata (insieme alla sorella Chloe) alle polemiche razziste per la sua scelta come protagonista dell’attesissimo live action tratto dal cartoon Disney: è nata una nuova stella, che si confessa a Rolling Stone Italia

Foto: Kate Green/Getty Images for Disney

«Non ero mai stata in Sardegna. Ne avevo sentito parlare, ma dopo aver visto lo scoglio di Ariel sulla spiaggia di Rena Majori sono letteralmente rimasta a bocca aperta, adesso capisco perché Rob (Marshall, il regista, ndr) non faceva altro che parlare di quest’isola. È meravigliosa, siete fortunatissimi voi italiani». Queste le prime parole di Halle Bailey non appena ci sediamo per l’intervista. Dopo il mio “confessionale”, dove racconto di non essere mai stato in Sardegna (da ragazzino avevo preso la via Amsterdam-Londra-Berlino-Parigi-Brasile-Venezuela, terminando il processo di crescita in quel di Los Angeles-New York), gliela faccio descrivere e rivivere, rassicurandola sul fatto che sarà una delle mete che mi riprometto di visitare il prima possibile.

Halle, 23 anni e una felicità impossibile da contenere, è la prossima Ariel, protagonista assoluta della Sirenetta, adattamento live action – e sempre musical – dell’omonimo film Disney del 1989, a sua volta ispirato a una delle fiabe più amate di Hans Christian Andersen. Diretto da Rob Marshall (uno che di musical se ne intende: Chicago, Nine, Into the Woods), arriverà nelle sale il 24 maggio. Completano il cast Melissa McCarthy (Ursula), Jonah Hauer-King (il principe Eric), Javier Bardem (Tritone), Daveed Diggs (Sebastian, nella versione italiana invece doppiato da Mahmood) e Awkwafina (il gabbiano Scuttle). Ma la vera sorpresa è proprio “la sirenetta” Halle.

Halle, come primo ruolo cinematografico importante niente male, vero?
Sì, specialmente perché non mi sarei mai aspettata di venire scelta: sono cosi distante dall’immagine eterea, diafana e sopratutto bianca e bionda della Sirenetta di Disney. Sono però felicissima, perché sono cresciuta amando questo film e cantando sin da bambina le canzoni di Ariel insieme a mia sorella Chloe.

Halle Bailey/Ariel con il gabbiano Scuttle e il pesciolino Flounder. Foto: Disney

Come hai ottenuto il ruolo?
Rob (Marshall) mi aveva visto la prima volta quando avevo 19 anni, guardando i Grammy, mentre insieme a Chloe cantavamo Where Is the Love e si è incuriosito, ha fatto le sue ricerche e, quando mi ha scelta, mi ha fatto il più bel complimento che potesse farmi, descrivendomi come una creatura onirica con una voce meravigliosa, ammaliatrice, penetrante, che ti ruba il cuore alla prima nota. Nessun accenno al colore della mia pelle, ma solo apprezzamenti tecnici. Mi ha anche avvertito di aspettarmi le critiche da parte di pubblico e addetti ai lavori per via del fatto che, non essendo bianca, mi avrebbero chiesto se fosse stato giusto accettare un ruolo simile. Se parlano di problemi d’inclusione, di razzismo al contrario, certamente questo è un casting che ha scatenato reazioni contrastanti: c’è chi ha elogiato la Disney e chi, all’estremo opposto, si è lanciato subito in commenti, appunto, razzisti.

E pensare che Halle Bailey a 19 anni era già una popstar. Come metà del duo Chloe x Halle insieme alla sorella maggiore, era già sotto gli occhi di tutti da quando, ragazzine, erano diventate famose su YouTube e poi scritturate dall’etichetta di Beyoncé. Seguite da milioni di fan, la loro popolarità è in continuo aumento, finché viene resa ufficiale la notizia del casting di Halle come Ariel, ed ecco che l’hashtag a sfondo razziale #NotMyAriel comincia a fare tendenza su Twitter, riemergendo di tanto in tanto non appena appariva un nuovo trailer o un poster.

Questa tendenza su Twitter ti ha creato dei problemi?
Certamente. Essendo tutti esseri umani, se vediamo o leggiamo qualcosa di negativo su di noi è ovvio che faccia male, soprattutto se sono osservazioni sull’identità razziale. Come se io, nel mio caso, non avessi mai avuto alcun problema prima, leggendo libri e fiabe e guardando la tv dove non c’erano altre ragazze che mi assomigliavano. Pensa che la mamma di Daveed Diggs, prima di fargli leggere i fumetti, si metteva a colorare di marrone il volto del protagonista in tutte le pagine, così per infondere un concetto di identità positiva al proprio figlio. Io, figurati, sarei dovuta diventare quel personaggio dei cartoni animati stampato su astucci, magliette e persino sulla cover del mio telefono, e che però non mi assomigliava per niente. L’Ariel originale aveva la voce di un angelo, occhi azzurri sproporzionatamente grandi e capelli rossi lisci e scarmigliati che fluttuavano con l’oceano. Per non parlare della pelle bianca della protagonista dell’epoca. Il mondo in cui viviamo oggi, il solo fatto di essere una donna nera, ti porta ad avere una certa consapevolezza che deriva dalla vita, da quello che hai imparato in generale. Ho reagito dicendomi che se ero degna del ruolo, e se sono qui, c’era una ragione. Spero che il film aiuti le bambine nere ad abbracciare la loro bellezza.

Perché?
Perché so che se crescendo avessi avuto una Sirenetta nera come modello, sarebbe stato fantastico, avrebbe cambiato tutta la mia prospettiva, la mia vita, la mia sicurezza, la mia autostima. Capisci cosa voglio dire? È facile catalogarci se poi non sei della mia stessa etnia e non sai cos’abbiamo sopportato. Cambia tutto se vedi una persona che ti somiglia, quando sei giovane. Ti garantisco che è davvero importante.

Quand’eri piccola, chi ammiravi?
Un sacco di musiciste, donne nere straordinarie, cantanti come Jill Scott, Erykah Badu, Janelle Monáe, Alicia Keys, Beyoncé. Mia sorella maggiore, Ski, aveva il poster delle Destiny’s Child in camera da letto. Sono cresciuta prendendole come modello, queste donne mi hanno fatto sentire sicura della pelle in cui mi trovavo.

Dove sei cresciuta?
Io, le mie sorelle Chloe e Ski e nostro fratello Branson siamo cresciuti ad Atlanta, in una famiglia creativa dove papà e mamma ci lasciavano sperimentare con arte, musica, pittura, danza… qualsiasi cosa potesse sviluppare la nostra mente. Essendo la più giovane, seguivo in tutto e per tutto quello che faceva Chloe: se lei cantava cantavo anch’io, se lei andava a danza la seguivo pure io, se faceva un provino lo facevo pure io. Pensa che insieme abbiamo imparato a suonare tantissimi strumenti, siamo autodidatte. Chloe è sempre stata fonte di ammirazione e ispirazione per me, quella che ha dato un’imprinting alla mia carriera, finché un giorno mi ha chiesto di formare il nostro duo e cantare delle canzoni che avremmo poi messo su YouTube, per capire che riscontro avremmo avuto con un pubblico di nostri pari.

A che età?
Avevamo rispettivamente 11 e 13 anni, abbiamo cantato e postato su YouTube Best Thing I Never Had di Beyoncé, seguita da Pretty Hurts. I video sono decollati alla grande, sono diventati virali, e nel 2012 ci hanno portate a un’apparizione allo show di Ellen DeGeneres, e subito dopo ci siamo trasferiti tutti a Los Angeles per perseguire i nostri sogni musicali.

Perché Beyoncé? Cosa c’entra l’iconica Queen Bey in tutto questo?
Beyoncé è parte importante della mia vita e del successo di Chloe x Halle. Per ogni millennial afroamericana che canta Beyoncé è un mito, un modello da imitare, una fonte di ispirazione professionale, sociale e umana, s’impegna tantissimo nel sostenere tante cause femminili. Dopo che ha visto il nostro video su YouTube ci ha chiamate, ho la sua telefonata ancora stampata in mente, e ci ha chiesto se volevamo entrare a far parte di Parkwood Entertainment, la sua etichetta musicale appena fondata ad Atlanta. Questa sua decisione ha conferito un sigillo ufficiale di approvazione fra gli addetti ai lavori, e subito dopo – era il 2016 – siamo andate in tour mondiale con lei, abbiamo aperto i suoi concerti e siamo apparse nel famoso video di Lemonade. Per me Beyoncé è tutto, è mentore, amica, icona, leggenda, consigliere.

Una volta trasferitasi a Los Angeles, Halle sceglie di vivere a Ethiopian Town, fra Culver City e l’Academy Award Museum, proprio per star vicina alla sorella Chloe che vive a due isolati di distanza. Un modo più sicuro per affrontare i lunghi mesi di separazione che l’attendevano, in vista delle riprese del film tra la Sardegna e Londra.

Raccontaci dell’esperienza sul set.
Prima che iniziassero le prove della Sirenetta ai Pinewood Studios, all’inizio del 2020 (la produzione si è poi interrotta durante la pandemia ed è ripresa nel gennaio 2021, ndr), io e Chloe non eravamo mai state separate per più di qualche giorno. Essendo cresciute insieme ed essendo state scolarizzate a casa dall’età di 10 anni, possiamo dire che sono 10 anni che io e Chloe abbiamo vissuto l’una accanto all’altra: ero terrorizzata all’idea di stare da sola, una solitudine in cui peraltro avrei dovuto lavorare, fare un film dove addirittura canto e ballo!

Com’e stato ritrovarsi sola per la prima volta?
Prima di elencare i fattori negativi, preferisco sottolineare quelli positivi: è un metodo che mi ha insegnato Beyoncé stessa. Trasferirsi a più di ottomila chilometri di distanza da mia sorella mi ha dato lo spazio necessario per scoprire me stessa, per farmi diventare più determinata, coraggiosa, consapevole. Ho scoperto chi sono, le cose che mi piacciono e quelle che non mi piacciono. Di solito non sono molto assertiva, specialmente quando si tratta di parlare per me stessa, mi sentivo come se fossi paralizzata e cercavo lo sguardo dei miei o di mia sorella. Sul set della Sirenetta ho imparato a chiedere ciò di cui ho bisogno senza averne vergogna, senza sentirmi in colpa. Le lacrime, i lividi, le partenze alle cinque del mattino sono valsi la pena. La strana convergenza delle narrazioni del personaggio e delle mie esigenze come attrice si sono, come dire, ritrovate sul set, mi sono sentita come se Dio stesse allineando questi temi della mia vita con il mio personaggio. Ariel ha questo desiderio di volere qualcosa di più: anche se non sa ancora bene cosa sia, sa che deve essere coraggiosa per trovarlo da sola. La stessa cosa che ho provato io: essendo lontana da tutti per la prima volta nella mia vita, ho trovato queste coincidenze molto spirituali, salutari, un segno del destino. Se Ariel ce la fa, posso farcela anch’io, mi dicevo.

Halle Bailey con Jonah Hauer-King, che interpreta il principe Eric. Foto: Disney

Parlami invece delle riprese acquatiche.
Ho passato la maggior parte del tempo in acqua. Oltre che studiare e sincronizzare la fluidità dei miei movimenti, ho fatto tantissimi test sui miei capelli, la produzione ha analizzato il modo in cui i miei dreadlock si muovevano nell’acqua: niente parrucche, niente trecce, solo capelli naturali, i miei. Rob ha voluto incorporare parti della mia identità culturale nella rivisitazione di Ariel durante l’intero processo di produzione, e tenere i capelli che porto da quando avevo tre anni è stato molto importante per me, per la mia gente. I capelli, per noi neri, sono qualcosa di spirituale, è stato molto apprezzato che abbiano voluto fare una Ariel in versione mia, con i miei capelli.

Cosa farai prossimamente?
Due cose importantissime. La prima è Il colore viola, remake del film diretto da Steven Spielberg e interpretato da Whoopi Goldberg nel 1985. Sarà un musical basato sull’omonimo spettacolo di Broadway e prodotto da Spielberg e Oprah Winfrey, anche lei tra i protagonisti dell’originale, un film che ha un significato molto importante per la comunità afroamericana. L’altra è un passo molto importante che sto per compiere come musicista: sto completando il mio primo album da solista, che spero di pubblicare dopo l’uscita della Sirenetta, un album in cui ho convogliato tutta la mia energia creativa. Ho scritto una musica positiva, che parla d’amore ma anche di vulnerabilità e di quanto si possa essere spaventati quando si sa che qualcuno governa il tuo cuore. Durante il processo di scrittura delle canzoni è stato bello esaminare questo tema dell’attaccamento, dell’ansia, ma anche della bellezza nella vulnerabilità. Il tutto non è ancora finito e per ora, oltre a mia sorella, l’ho fatto ascoltare solo a Beyoncé.

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