Giuseppe Zeno: «L’élite del cinema non mi ha ancora preso davvero sul serio» | Rolling Stone Italia
Tu (non) vuò fà l’americano

Giuseppe Zeno: «L’élite del cinema non mi ha ancora preso davvero sul serio»

Per fortuna è arrivata una co-produzione italo-americana a dargli un ruolo a forti tinte action: ‘MUTI’, protagonista Morgan Freeman. Un trampolino globale per la star dell’Auditel locale? Tra ‘Blanca’ e ‘Mina Settembre’, al momento infatti ha ben pochi rivali

Giuseppe Zeno: «L’élite del cinema non mi ha ancora preso davvero sul serio»

Giuseppe Zeno

Foto: Mario Gomez

Giuseppe Zeno non è semplicemente uno stakanovista del palco. È praticamente un unto dall’Auditel: tutto quello che fa sbanca quasi sempre in ascolti. Non c’è da stupirsi, quindi, se la tv gli stia proponendo la qualunque (Blanca, Mina Settembre, Luce dei tuoi occhi, Tutto per mio figlio, solo per citare i titoli della stagione in corso). Semmai, c’è da meravigliarsi che il cinema italiano tenda perlopiù a ignorarlo: i progetti per il grande schermo sono pochini e, ad accorgersi di lui, sono stati prima gli americani. Zeno ha infatti ottenuto due ruoli internazionali: lo vedremo in sala, dall’11 maggio, nel film MUTI, prodotto da Iervolino & Lady Bacardi Entertainment e distribuito da RS Productions, con protagonista Morgan Freeman; e, prossimamente, in Mafia Mamma, dove interpreta l’antagonista di Toni Collette (e nel cui cast c’è anche Monica Bellucci).

Anni fa hai dichiarato: “Non ditemi che sono l’attore del momento”. Ora, con tutti questi progetti, ce lo lasci dire?
Ma magari fosse così! Avrei la coda fuori e lavorerei con Martone e Sorrentino, per farti due nomi a caso.

Devo rileggerti la sfilza di titoli che hai fatto solo nell’ultimo anno?
In realtà c’è stata una sorta di accavallamento perché, se guardi bene, le serie uscite o che usciranno sono dei sequel, quindi sono progetti partiti tre, quattro anni fa. Sono chiaramente molto soddisfatto, è un periodo ricco di soddisfazioni, anche se adesso mi piacerebbe sposare delle storie dove poter avere un ruolo più centrale e che mi permettano di esplorare tutte le mie corde artistiche. Finora infatti mi sono calato in ruoli che esaltano la figura femminile, al servizio dell’interprete principale.

Effettivamente, da Blanca a Mina Settembre, sono tutte storie di rinascita dove al centro c’è una donna.
Mi meriterei se non un premio, almeno una nomination, non trovi? Della serie: Giuseppe Zeno, candidato al premio Oscar per il miglior ruolo che valorizza le donne.

Foto: Daniele Barraco

Ma spiegami una cosa: MUTI arriva – finalmente – dopo anni in cui la tua vocazione è stata soprattutto seriale. Si tratta di una scelta tua, di altri o della contingenza logistica, visto che le serie tv portano via parecchio tempo?
È un indirizzo involontario che ha preso la mia carriera. Probabilmente non ho ancora fatto il film che mi ha svoltato la carriera, e quindi…

E tutte le serie che hanno rivoltato come un calzino l’Auditel? Non fanno curriculum?
Certo che fanno curriculum, anche perché, diciamocelo, quanta gente vede un film e quanta invece vede una fiction? Le serie tv riescono ad arrivare a un pubblico molto ampio. Mi sarebbe piaciuto propormi per il cinema, ma a volte non vieni preso in considerazione perché sei associato a un certo tipo di target. Purtroppo è come se al cinema si fosse creata una sorta di élite…

Nessuno ha spiegato loro che sei una garanzia visto che, quando ci sei tu, la gente ti segue a ruota?
Non sono una garanzia perché non sono gli attori a determinare il successo o l’insuccesso di un progetto tv o cinematografico. Forse solo il teatro può concedersi questo lusso. In tv e al cinema, invece, se non c’è rapporto con i colleghi, se la storia è debole o se fai un progetto con poco amore, controvoglia, non c’è star che tenga: il progetto non funzionerà. Io stesso ho fatto cose che sono andate meno bene, altre meglio, ma i successi sono stati sempre tali solo perché avevano una storia forte alla base.

Ho capito: resti umile.
Non è quello. Credo davvero che sia così. Lo stesso box office e l’Auditel dimostrano che non basta un attore a fare la differenza. Ti dirò di più: non metterei mai la firma sul mio talento. Da ex pescatore – come sai, prima di diventare attore, ho lavorato per nove anni su un peschereccio – scommetterei solo sulla mia costanza e sul rispetto che nutro verso chi fa il mio mestiere. Ecco, quello sì: lo firmerei con il sangue.

Intanto, comunque, gli americani ti hanno adocchiato. Partiamo da MUTI: com’è stato lavorare a un progetto dal respiro internazionale?
È stato molto bello. Conoscevo il regista Francesco Cinquemani, ci eravamo ripromessi che avremmo fatto prima o poi qualcosa insieme perché ci lega da sempre una grande stima e un affetto reciproco. Il ruolo dell’ispettore Mario era congeniale alle mie corde, così quella promessa è diventata realtà. Le sequenze che mi riguardano sono state girate a Roma e qui ho condiviso il set con Vernon Davis, ex star della National Football League. Per capirci, è il Pelè degli americani. Davis si è dato molto fisicamente, dandomi filo da torcere in alcune scene d’azione! (ride)

Giuseppe Zeno in ‘MUTI’. Foto: Rs Productions

MUTI ha una doppia anima, italiana e americana. È questa la direzione da seguire per non cadere nell’appropriazione indebita del nostro immaginario, come lamentava tempo fa Pierfrancesco Favino?
La collaborazione è una via efficace, che giova a tutti. Il discorso di Favino non era un ragionamento sindacale ma di valori artistici: come può un nativo di Boston o del Mississippi – cito luoghi solo a titolo di esempio – rappresentare personaggi nati nella provincia italiana? Gli americani hanno questa tendenza a codificare tutto per cui anche la recitazione è ricondotta a una metodologia. Noi italiani veniamo invece da un altro tipo di scuola. Per come la vedo io, anche se sei un attore strepitoso non è detto che tu abbia le corde giuste per poter rappresentare al meglio un tipo di personaggio che trasuda un certo tessuto sociale. Daniel Day-Lewis è strepitoso, tutti dobbiamo inchinarci davanti a lui, ma se dovesse interpretare un personaggio italiano probabilmente Favino farebbe un lavoro migliore.

Però, tolti Favino, Richelmy e pochi altri, quanti attori italiani sono in grado di essere all’altezza degli standard recitativi americani?
In Italia siamo pieni di interpreti dal talento assoluto, e non sto parlando di me, sia chiaro. Il problema è un altro: spesso le qualità degli artisti sono penalizzate da un’industria italiana che produce film solo per il mercato domestico, replicando spesso i medesimi schemi narrativi. Si lavora in funzione del box office nazionale e si realizzano poche storie con l’ambizione di distribuirle anche al di là delle Alpi.

Tornando a MUTI, mi ha colpito molto la scena iniziale, quando Morgan Freeman, nei panni di un docente universitario, spiega ai propri studenti che “in fondo noi siamo delle tribù, solo che il discrimine non è il territorio: le divisioni si basano su: io ho ragione e tu hai torto”. Sbaglio o è la miglior spiegazione di tre quarti dei conflitti sociali in corso, a cominciare dalla guerra in Ucraina?
Non posso che sottoscrivere. Quella frase, pronunciata da un volto noto come Freeman, vuole volutamente fare riflettere. Purtroppo ormai partiamo sempre dal presupposto che noi abbiamo ragione, qualunque cosa accada.

I social insegnano?
Il mondo social non alimenta questa deriva, ma si alimenta di questa deriva. Tra l’altro senza polemiche sparirebbe anche un certo tipo di tv… Ecco, il bello di fare l’attore è che sei spinto invece a un costante esercizio di ascolto.

Nel film, sempre Freeman assegna un compito: quale cultura vi farebbe paura, se attecchisse qui da noi? Quella occidentale è una bolla di civiltà?
Il punto non è tanto la bolla occidentale, ma che non siamo culturalmente predisposti ad accogliere l’altro. Se non conosci l’identità di un popolo e non sei aperto al confronto, è chiaro che saremo sempre spaventati. Prendiamo per esempio l’Arabia: quello che ci arriva sono le donne con il velo, i kamikaze, il fanatismo religioso… è chiaro che quindi ci fanno paura. Nessuno però ci spiega perché fanno questo o se c’è anche altro di buono. Io trovo abominevole il velo delle donne, però sarebbe comunque importante capire cosa ci sta dietro. Quale sia la ragione. Quanto a Putin e alla Russia, per me lui è un pazzo folle, perché quello che ha fatto è inaccettabile. Però ha detto: “Sono dovuto intervenire perché non hanno tenuto fede ai patti del 2014 e hanno continuato a bombardare il Donbass”. Ribadisco: non sono d’accordo con Putin, è un folle, ma vorrei che qualcuno, in tv o sui giornali, spiegasse con lo stesso zelo che questa cosa dei patti violati non sia vera.

Be’, in tv i talk show a riguardo si sprecano…
Sì, ma non in modo così chiaro da far capire all’opinione pubblica quali siano stati i passi falsi che hanno indotto un folle come Putin a fare quello che ha fatto. Zelensky ha sbagliato o no, dal 2014 a oggi? Se così non fosse, saremmo tutti minacciati.

Una scena di ‘MUTI’ con Giuseppe Zeno. Foto: Rs Productions

Torniamo a te. Dopo MUTI sarai anche in Mafia Mamma. Di cosa si tratta?
È un’arguta parodia dei mafia movie, ma è soprattutto un perfetto esempio della collaborazione di cui parlavamo prima. La star del film è infatti l’australiana Toni Collette, che è però circondata da attori italiani, tra cui due bravissimi emergenti che recitano nel ruolo dei suoi scagnozzi. Io interpreto il capo mafia rivale: sarò un cattivo molto, molto, divertente… e avrò anche delle scene “simpaticamente amorose” con Toni.

Com’è stato lavorare con la regista di Twilight, Catherine Hardwicke?
Praticamente abbiamo fatto più prove che giorni di set. Sia la regista che Collette erano di una precisione quasi maniacale. Allo stesso tempo però c’era un gran dialogo: Hardwicke ha accolto, con genuinità, due piccoli spunti che le ho dato. Nulla che stravolgesse la storia, intendiamoci, parliamo di piccolissime cose: però è stato bello vedere una regista della sua fama essere così aperta. Ci ha pensato su e ha detto: “Ok, nice idea! Let me think…”.

E con Toni Collette?
Onestamente, quando sono arrivato sul set, avevo un po’ di timore reverenziale verso di lei, perché è pur sempre una grande star candidata all’Oscar. Invece è stata informale e calorosa: mi ha abbracciato urlando “Hi Giuseppe! Nice to see you!”. Noi italiani viviamo una sorta di complesso di inferiorità, ma alla fine siamo persone: loro come noi.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Ho appena finito di girare la seconda stagione di Blanca e ora sono sul set di La vita che volevi, la nuova serie tv di Ivan Cotroneo per Netflix, e a teatro con lo spettacolo Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmüller, per la regia di Marcello Capulli. Poi girerò parte del sequel Storia di una famiglia perbene. Vedremo infine se ci sarà Mina Settembre 3.

E meno male che avevi detto: “Di natura sono un tipo casalingo”. Mentivi sapendo di mentire?
No, è la verità. Quando non lavoro mi piace stare a casa a godermi la quotidianità della mia famiglia e dei miei figli. Mentre sul set, credimi, passo spesso molto tempo in albergo.

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