Giovanna Mezzogiorno, tutta la conoscenza del mondo (del cinema) | Rolling Stone Italia
Il viaggio dell’attrice

Giovanna Mezzogiorno, tutta la conoscenza del mondo (del cinema)

I successi, le polemiche sul corpo e l’età (da cui è nato il suo primo corto da regista), la famiglia, i rifiuti. Una chiacchierata con una nostra attrice-icona al Garda Cinema Film Festival

Giovanna Mezzogiorno, tutta la conoscenza del mondo (del cinema)

Giovanna Mezzogiorno

Foto: Gianmarco Chieregato

Riservata, da sempre, ancora di più da quando si è ritrovata oggetto dell’ennesima idiota polemica social riguardante il suo corpo, cambiato dopo la gravidanza e anche, banalmente, perché il tempo passa per tutti. Anche se Giovanna Mezzogiorno questo lo maschera benissimo e senza sotterfugi. Quando ci incontriamo per la nostra chiacchierata, nella giornata d’apertura del Garda Cinema Film Festival, noto subito che calza un paio di deliziose ballerine. «Le ho comprate per l’occasione, soprattutto sono molto comode, che vista l’età non fa mai male». Mi mostra il ciondolo che porta al collo, anche con orgoglio mi fa vedere quel 50, e con eguale sicurezza mi dice che lo scarseggiare dei ruoli perché il tempo è passato anche per lei non è stato poi un gran problema. «Non ho mai un atteggiamento vittimistico, non mi piace lamentarmi e penso sia invece anche normale, c’è una fase di transizione che effettivamente capita più alle donne che agli uomini. Oggi, così come sono fisicamente, potrei avere dieci anni in meno, o di più, con degli aggiustamenti. È vero che è un momento in cui per fare la madre di un adolescente sei troppo giovane, per fare la madre di un bambino troppo vecchia, è un’età particolare, quindi non sento di stare subendo un’ingiustizia, la ritengo una fase fisiologica, fino a cinque anni fa non mi sono potuta lamentare. Poi, l’ho già detto e lo ridico, è anche giusto che ci sia un cambio generazionale, ci sono nuove attrici più giovani».

È stata anche lei quella della nuova generazione quando a vent’anni, a metà degli anni Novanta, fu scelta da Sergio Rubini per Il viaggio della sposa. Era bellissima Giovanna all’epoca, come oggi, e già con un certo bagaglio professionale. Figlia di Vittorio, uno dei più grandi attori italiani, che se n’è andato troppo presto, come gli succede nel Giocattolo di Giuliano Montaldo, Giovanna la sua gavetta l’ha fatta con Peter Brook, «nella più grande compagnia teatrale del mondo», quel mondo che papà aveva girato proprio con Brook, portando sul palcoscenico il Mahabharata, il poema epico indiano per eccellenza, entrando in quella compagnia «senza parlare una parola di francese, imparandolo in sei mesi e poi facendo lo stesso con l’inglese, questo era mio padre».

Giovanna Mezzogiorno in ‘Il viaggio della sposa’ di Sergio Rubini. Foto: Cecchi Gori Group

Una tenacia ereditata, basta vedere i ruoli che Giovanna si scelse a inizio carriera. La militante comunista nell’Italia degli anni Cinquanta di Del perduto amore di Michele Placido. La figlia di Enzo Tortora in Un uomo perbene, diretta da Maurizio Zaccaro. E naturalmente Ilaria Alpi, in un film che meriterebbe ancora oggi più memoria e considerazione, quando la giovane Mezzogiorno era già diventata la fidanzata d’Italia, come direbbero a Hollywood, dopo due successi clamorosi come L’ultimo bacio di Muccino e La finestra di fronte di Özpetek. Tanti premi, nove candidature al David e uno vinto, quattro Nastri d’argento (quando ancora non li davano proprio a tutti), tre Globi d’oro e soprattutto una Coppa Volpi a Venezia, per La bestia nel cuore di Cristina Comencini, film che la portò a Hollywood, alle soglie dell’Oscar per il miglior film straniero. «E che mi diede anche l’opportunità di lavorarci, nella trasposizione cinematografica di L’amore ai tempi del colera. Un’esperienza che mi ha insegnato tantissimo, soprattutto sulla professionalità che devi mantenere in quell’industria. Ma per restarci mi sarei dovuta trasferire lì, e non era una dimensione in cui mi sarei sentita a mio agio. Non rimpiango la scelta».

Comprensibile, soprattutto da parte di una persona che ha scelto addirittura Torino a Roma, da molti anni, dove ha tirato su i suoi due gemelli e dove si sente molto più tranquilla, una condizione che negli anni le ha permesso di affrontare anche due sfide importanti. La regia e la scrittura. La prima con un corto, Unfitting, «grazie alla collaborazione con la One More Pictures di Manuela Cacciamani e al periodico Grazia», storia di un’attrice vittima di body shaming, proprio come successo a Giovanna. «Ho vinto il Globo d’oro della stampa estera, quindi male male non doveva essere». Alla regia dice di non essere interessata, «è una cosa particolare e non è il mio mestiere, non lo è mai stato, un cortometraggio dura un paio di settimane di preparazione e tre-quattro giorni di riprese, ma è difficile perché tutti mi chiedono cosa fare, e io rispondo: “Non saprei”. Ci penso, non mi sentirei di affrontare un lungometraggio, ma questo lo dico oggi a giugno, magari a ottobre ho cambiato idea». Il sospetto che nei misteriosi futuri progetti di cui non ci può parlare per vincoli contrattuali ci sia già questo cambio di rotta me lo conferma un mezzo sorriso che le scappa su queste parole, ma magari mi sbaglio.

Giovanna Mezzogiorno sul set del suo corto ‘Unfitting’. Foto: One More Pictures

Nel mentre si è data pure alla scrittura, e con Ti racconto il mio cinema si è portata a casa il Premio Flaiano. È un manuale per raccontare ai giovani il mondo della celluloide dietro le quinte, quello del set, della preparazione, delle maestranze. «Anche in questo caso non è una nata da me, è stata Mondadori che mi ha proposto questo bellissimo progetto, sono io ad avere scelto una chiave più tecnica, perché senza i professionisti dietro la macchina da presa non ci sarebbe niente, reparti e reparti che lavorano tantissimo prima e tantissimo dopo. Sul set ho iniziato ad andarci quando avevo cinque anni, con papà, come attrice ne avevo 19 quando ho fatto Il viaggio della sposa quindi trent’anni fa, ne conosco i meccanismi, gli equilibri precisi che bisogna rispettare perché c’è tanta gente e ognuno deve collaborare senza invadere il campo altrui. Sono regole ferree, non si possono transigere, un set deve funzionare perché ci sono dei soldi dietro, quindi una giornata deve essere portata a fine lavorazione, una settimana deve essere portata a fine lavorazione, dei mesi devono essere finiti, il film deve essere consegnato dopo il montaggio. Questo va raccontato per rispetto nei confronti dei milioni di lavoratori del cinema citati nei titoli di coda che non legge mai nessuno».

E a proposito di rispetto dei lavoratori, al momento è il governo stesso che non li rispetta, la crisi è profonda e nonostante gli incontri tra istituzioni e associazioni di settore non si vede la luce. «Un mese fa mi è arrivata una telefonata per dirmi che un film che era già preparato, con casting fatto, direttore della fotografia, scenografo convocati… ecco, a tre settimane dall’inizio delle riprese si è dovuto bloccare tutto perché non si riusciva a chiudere il budget. Non mi era mai successo. C’è tanta gente che non lavora, e poi come spesso accade in Italia, anche un po’ fisiologicamente, chiamano sempre le stesse persone. Sui passi avanti che il governo sta facendo con le associazioni preferisco non pronunciarmi, sono cose tecniche che non mi competono, lo farò quando ci saranno dei risultati che a oggi non ci sono e sono cose che non si risolvono in poche settimane. Mi auguro che l’autunno inizi con un’altra marcia, perché altrimenti la vedo molto molto grigia. L’unica cosa che funziona sono le grandi produzioni che realizzano serie imponenti, in cui però c’entra anche l’estero, quindi è tutto un altro aspetto, e quei soliti quattro, cinque autori. È la super Serie A che non viene mai veramente toccata. Il medio autore, il giovane autore, loro invece sì».

Giovanna Mezzogiorno in ‘Amanda’ di Carolina Cavalli. Foto: Elsinore Film

Quei giovani autori che Giovanna Mezzogiorno ha sempre amato, come l’Eros Puglielli del 2001, con cui girò Tutta la conoscenza del mondo, «un film in cui ci si cambiava nel furgone noleggiato che serviva a tutto», ma anche recentemente la Carolina Cavalli di Amanda, in cui ha dei tempi comici perfetti e che riaccende una polemica ormai antica: ma perché la Mezzogiorno non può fare le commedie? «La domanda che mi fanno dall’età della pietra, e me lo chiedo anch’io, ma nessuno trova la risposta. Ne ho fatte anche, Notturno bus di Davide Marengo era una commedia divertentissima e un film anche molto bello, secondo me. Tutta la conoscenza del mondo vi prego recuperatelo, io stessa che l’ho fatto non lo rivedo da 25 anni ed è un film geniale. Ma sul perché non me le facciano fare ormai non mi interrogo più neanche io».

Giovanna Mezzogiorno con il premio del Garda Cinema Film Festival. Foto: press

Sul perché invece non l’abbiamo vista in nessuna delle grandi serie italiane degli ultimi anni, quello ce lo dice lei. “Perché le ho rifiutate. Me le hanno proposte, ma ho due figli quasi adolescenti, non posso stare mesi lontana da casa, o pensare di portarli con me. L’ho fatto una volta quando erano piccoli e non è fattibile. C’è chi ci riesce, ma non io». Garda Cinema le ha dato un premio particolare. «Carriera in corso. Mi piace». Anche a noi, perché ha ancora molte cose da fare Giovanna Mezzogiorno, davanti alla macchina da presa. E forse pure dietro.