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Giacomo Ferrara, oltre Spadino

Dal primo provino per ‘Suburra’ (il film) che , incredibile , andò male alla serie Netflix, con cui il suo personaggio è diventato un pezzo di cultura pop. Ma ora che il romanzo di formazione gangster all’ombra del Colosseo è arrivato alla sua ultima stagione, è tempo di bilanci. E di guardare avanti

Foto: Fabrizio Cestari

Attenzione: questa intervista comincerà con una dichiarazione shock. Poi non dite che non vi avevo avvertito.

«Il primo provino per Spadino andò malissimo, toppai alla grande». Sì, lo so che questa affermazione pare fantascienza, soprattutto dopo che la stampa internazionale ha definito la performance di Giacomo Ferrara in Suburra – La serie, e qui cito: “Indimenticabile come quella di De Niro in Taxi Driver”: «Mi imbarazza e mi emoziona sempre tanto sentirlo, soprattutto perché io vengo dalle montagne abruzzesi sperdute nel nulla… Significa che credere nei propri sogni molto spesso porta cose belle, se ci credi veramente». Al punto da diventare, con la cresta (ci torneremo), lo sguardo allucinato e il ghigno alla Jack Nicholson, un pezzo di cultura pop. Ora che debutterà su Netflix (il 30 ottobre) la terza e ultima stagione dell’epopea crime all’ombra del Colosseo, l’ora di salutare Spadino e soci è arrivata. E, lo anticipo senza fare spoiler, sarà dura, durissima: «È stata molto tosta, un bel carico da reggere, perché siamo cresciuti con questi personaggi. L’emozione era sempre forte, a prescindere da quello che richiedeva la scena». Quella che segue è una chiacchierata telefonica di ben quaranta minuti che, spero, vi darà l’idea di chi sia davvero Giacomo. Perché, oltre al suo clamoroso Spadino, c’è molto, molto di più.

Torniamo un momento a quella prima audizione per Suburra, il film di Stefano Sollima del 2015, perché non mi sono ancora ripresa.
Quando ti presenti per un provino, hai sempre un’idea del personaggio, che magari può essere diversa da quella del casting director e del regista. E questo non significa che tu sia più o meno bravo, perché molto spesso la scelta non dipende solo dalla bravura, ma anche dalla fisicità, da determinate caratteristiche. Non andò, ma Laura Muccino e Sara Casani, che mi conoscevano già e mi stimavano, mi chiesero di dare una mano, facendo da spalla ad altri candidati. Ho capito che cosa volevano e mi hanno chiesto di riprovare. Poi ci sono stati altri due provini interminabili con Stefano Sollima, durante i quali abbiamo ripercorso tutte le mie scene nel film. Ma sì, inizialmente non ero perfetto per Spadino (ride).

Il resto è storia.
C’ho lavorato parecchio, questo c’è da dirlo. E spero che si sia visto.

Il primo pensiero quando ti hanno rasato per l’ultima volta la cresta?
In realtà, è successo più volte (ride): c’è stata la rasatura prima dell’inizio della pandemia, che doveva essere l’ultima, poi c’è stato il lockdown, e a fine giugno l’abbiamo dovuto rifare il taglio. Dalle riprese del film sono passati sei anni: era il 2014, avevo 23 anni quando ho iniziato a interpretare questo personaggio, io sono cresciuto e lui è cresciuto con me. Con la serie ha preso spessore, è diventato uno dei protagonisti. È stato un viaggio incredibile, l’atmosfera sul set era unica perché abbiamo lavorato per tutte e tre le stagioni con le stesse persone e, a prescindere dal valore del ruolo e da quello che ci ha portato a livello lavorativo, dal punto di vista umano si è creato qualcosa di meraviglioso. Più che interpretare Spadino, mi mancherà la quotidianità con i colleghi e la troupe.

Il momento esatto in cui hai capito che avresti dovuto salutare Spadino?
È stato proprio l’ultimo giorno di riprese: Alessandro (Borghi, nda) e io abbiamo girato questa scena, una di quelle classiche sequenze di passaggio che servono a raccontare la dinamica, niente di che. E poi abbiamo visto tutti quanti avvicinarsi per il tradizionale saluto finale quando un attore termina il suo lavoro sul set: c’è stato questo discorso molto emozionante sia per me che per Alessandro. Ecco, in quel momento c’è salito tutto.

Avete pianto?
Abbiamo pianto, sì, ma non lo dire a Sandro! (ride). Lì abbiamo capito che era finita. Non la vita, eh (sorride). Anzi, da dopo Suburra sono arrivati tanti progetti uno dopo l’altro. Ma certo, quel cerchio si è chiuso.

Suburra è un coming of age gangster e, come ogni romanzo di formazione che si rispetti, al centro c’è un rapporto speciale: in questo caso quello tra Spadino e Aureliano, che è una vera e propria bromance, di più: una storia d’amore.
Riguardando la serie, ho scritto ad Alessandro: «Abbiamo interpretato due personaggi che si vogliono veramente bene». Prima di tutto perché ce ne vogliamo noi, e poi perché, grazie al lavoro di tutti, abbiamo creato dei protagonisti che sono entrati nel cuore delle persone: la gente sente di conoscerli, di essersi affezionata a loro. È assolutamente una storia d’amore tra due gangster, un’amicizia raccontata attraverso due persone che all’inizio si odiano e fanno tutto questo viaggio insieme, che per lo spettatore dura tre stagioni, ma il tempo effettivo è pochissimo. E credo che si veda anche nell’ultima stagione, alcune delle mie scene con Alessandro erano improvvisate.

Quali?
Ad esempio, la sequenza in cui chiudiamo Cinaglia (Filippo Nigro, nda) nella sauna, che per me è bellissima. Arnaldo Catinari, che ha fatto un grande debutto alla regia, ci ha detto: «Ragazzi divertitevi, sfogatevi». E così è andata, penso che si percepisca. Poi è fantastico il contrasto: nell’altra stanza c’è il dramma e noi siamo in cucina a prepararci la pasta al tonno.

Giacomo Ferrara e Alessandro Borghi in ‘Suburra – La serie’ 3. Foto: Emanuela Scarpa/Netflix


E sui vostri personaggi c’è questo meme meraviglioso: “Trova qualcuno che ti guardi come Spadino guarda Aureliano”.
Ne hanno creati diversi. Ce n’è pure un altro famosissimo con me di spalle e Alessandro che alza la mano, ormai praticamente viene usato per qualsiasi cosa.

Vuol dire che ormai siete parte dell’immaginario pop, c’è poco da fare.
E noi ci prendiamo questo fardello (ride).

Quanto è stato fondamentale il tuo talento di entrare visceralmente in contatto con l’umanità dei tuoi personaggi per interpretare qualcuno che, fondamentalmente, è un villain?
È centrale per tutti i personaggi in Suburra. C’è sempre un main theme generale dietro ogni stagione: nella terza è il Giubileo, ma alla fine quello che cattura lo spettatore è sempre l’umanità dei protagonisti. Io lavoro molto in quel senso: recitare un cattivo non significa restituire solo il suo lato da villain. Entrare nella sua mentalità significa domandarsi perché è diventato così. Parti sempre da un dolore, perché tutti ne hanno uno, magari normalmente rispondono in modo diverso. Spadino e altri hanno una reazione brutale. Però l’umanità da cui partiamo è sempre la stessa, e il dolore ci accomuna.

Suburra ti ha dato tanto, c’è qualcosa che ti ha tolto? Hai un po’ paura di rimanere incastrato in quel ruolo?
Non sono molto d’accordo con chi dice che un progetto possa toglierti qualcosa, ogni ruolo ti dà sempre una consapevolezza maggiore anche di te stesso. Ho 29 anni, non ho paura: Spadino è il personaggio che mi ha portato maggior successo, per cui è ovvio che la gente mi riconosca per quello. E va benissimo così.

Giacomo Ferrara in ‘Suburra – La serie’ 3. Foto: Emanuela Scarpa/Netflix


Arriviamo ai progetti futuri a partire dai capelli, che è una costante dei tuoi personaggi: quest’estate li avevi corti e rosa. Racconta.
Erano per il nuovo film di Andrea De Sica, Non mi uccidere, un progetto molto molto interessante, che non è per niente il nuovo Twilight italiano, chi ha letto il libro lo sa. Purtroppo non ne posso ancora parlare, ma ho accolto volentieri l’idea di Andrea di darmi questo ruolo e di farlo il più pazzo possibile, capelli rosa compresi. A me piace molto cambiare look: sono dell’idea che le persone che si occupano del mio aspetto lo sappiamo fare meglio di me. Io sono un attore e sono chiamato a recitare, i parrucchieri lavorano con i capelli, e quindi se mi dicono: «Facciamoli così, secondo me sono fighi», io rispondo: «Daje, facciamolo». Comunque, sto combattendo ancora con il rosso che spunta fuori, non me li posso tagliare…

Perché il rosso?
Per farli rosa li ho dovuti decolorare diverse volte e farci la tinta sopra. E adesso ho dovuto applicare delle colorazioni nere per tornare al mio tono, perché mi serve una determinata lunghezza. Sto girando la serie su Alfredino Rampi diretta da Marco Pontecorvo e prodotta da Sky e da Lotus, indosso una parrucca e quella lunghezza mi serve per attaccarla. Ma spero di poterli tagliare a breve.

C’è una foto postata da Borghi nelle settimane scorse in cui hai un’acconciatura più precisina, copy: “il dottor Giacomo Ferrara”.
Quello è un progetto a cui abbiamo preso parte Alessandro ed io, ma nemmeno di questo ti posso dire niente. Giuro che a breve avrete notizie.

Arriviamo al capitolo: forse non tutti sanno che… Giacomo Ferrara se la caverebbe benissimo in un talent: balli, l’abbiamo visto anche in Suburra nella costruzione del personaggio di Spadino.
Ma hai visto il video dei Tiromancino?

Certo, Finché ti va, stavo per nominartelo!
Per quello mi sono fatto davvero un bel mazzo (ride).

E canti pure: hai pubblicato un brano con Angelica, Vecchia novità.
Diciamo che mi diletto, mi è sempre interessata l’arte in generale, ho coltivato di più la recitazione, ma ho studiato un po’ di tutto. Tranne la danza, all’inizio ho imparato qualche passo di ballo solo per rimorchiare le ragazze.

Tutto parte da lì.
Nell’albergo della mia famiglia si metteva la musica dopo gli spettacoli di animazione, e cercavo di attirare l’attenzione così, sono le prime risorse che uno impara (ride). Poi canto l’ho studiato in Accademia quando sono arrivato a Roma, e recitazione idem. Ma mi vedo assolutamente come un attore.

Sogniamo: cosa vorresti fare in futuro?
Qualcosa tipo Ready Player One di Steven Spielberg, andare un po’ sulla fantascienza. O Luc Besson, perché no. E quanto mi sarebbe piaciuto fare un film con Bernardo Bertolucci! Poi vorrei lavorare con Daniel Day-Lewis, però sto andando un po’ troppo oltre… Al di là di questi sogni, ho proprio voglia di sperimentarmi in tutto. Di determinate cose ho anche paura, ma sono sicuro che sia proprio quello che porta a superare i propri limiti. Sto cercando di scommettere sempre su qualcosa di nuovo, di modificare gli accenti, la voce, voglio sfidare me stesso. E mi piacerebbe fare un biopic, interpretare un personaggio realmente esistito.

Come te la stai cavando dopo la fine di BoJack Horseman? Perché so che sei un grande fan.
Penso di aver ascoltato la canzone finale tutti i giorni per almeno due settimane. L’ultimo episodio è stato una bella botta, perché non era facile chiudere, ma ho apprezzato tutte le scelte. È stata dura: BoJack è la prima serie che ho iniziato appena Netflix è arrivato in Italia. Il film di Suburra è stato distribuito in America in contemporanea con l’Italia, dove era uscito nelle sale. Netflix ci invitò all’evento di inaugurazione a Milano e ricordo che, appena tornato a Roma, mi sono iscritto subito. E con BoJack è stato amore a prima vista.

Hai trovato qualcosa che ha riempito un po’ il vuoto?
Come BoJack non c’è niente, però, sempre su quel filone, aspetto le nuove stagioni di Rick and Morty. Mi piacciono sempre moltissimo i cartoni animati di un certo genere, non cresco mai da quel punto di vista. E sono un grande fan di Hayao Miyazaki.

Il tuo preferito?
Ti direi Porco Rosso, solo perché è il primo che ho visto e di cui mi sono follemente innamorato. E poi mi fa troppo ridere la battuta: «Un maiale che non vola è soltanto un maiale». Ma sono molto belli anche Si alza il vento e, ovviamente, La città incantata, Il castello errante di Howl… Li ho tutti in dvd: anche se ormai sono su Netflix, ogni volta che ne vedo uno che mi manca, lo compro.

Adamo Dionisi e Giacomo Ferrara in ‘Suburra – La serie’ 3. Foto: Emanuela Scarpa/Netflix

Giacomo, basta, ti ho fatto parlare troppo.
Ma no, non ti preoccupare, anzi: è un piacere. Stavolta però non mi hai chiesto la colonna sonora di Spadino per questa terza stagione (è stata la prima domanda che gli ho fatto sul set della prima stagione di Suburra. Sì, se lo ricordava, e questo credo la dica lunga sulla persona, nda).

(Ridiamo) Vai.
In realtà è rimasta quella della seconda: Il cielo in una stanza (ridiamo di nuovo).

Suburra è stato anche un coming of age personale per te come attore? Cosa è cambiato?
Per certi versi, paradossalmente, può essere più difficile. Perché adesso la gente mi conosce e si è già fatta un’idea di me, magari ha dei pregiudizi o mi vede in un determinato modo. A livello mio, attoriale, però non cambia niente. L’origine è la stessa: ogni volta che costruisco un personaggio riparto da me. Poi le cose cambiano, ho maggiori sicurezze, certamente sono cresciuto come attore e sono maturato umanamente. Ma sono sempre Giacomo, che dai monti abruzzesi a 18 anni si è trasferito a Roma. È da lì che riparto sempre.

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