Gabriele Salvatores: «I giovani hanno bisogno di qualcosa per cui lottare» | Rolling Stone Italia
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Gabriele Salvatores: «I giovani hanno bisogno di qualcosa per cui lottare»

In 'Tutto il mio folle amore' il regista premio Oscar tira le somme della sua carriera, tra l'amato road movie e il lavoro con le nuove generazioni. Ascoltando Modugno e Don McLean

Gabriele Salvatores: «I giovani hanno bisogno di qualcosa per cui lottare»

Foto: Claudio Iannone

C’è la strada e la musica che si ascolta sulla strada, ci sono Valeria Golino e Diego Abatantuono: in Tutto il mio folle amore c’è molto dell’immaginario classico di Gabriele Salvatores. Ma c’è anche la figura dell’adolescente, già al centro della sua ultima incursione nel fantasy con la saga del Ragazzo invisibile: «Amo lavorare con i ragazzi, hanno un’esperienza del mondo più pulita e proiettata nel futuro. Spero che la lotta a favore dell’ambiente sia in grado di unirli, perché alle nuove generazioni manca quello che ha permesso a noi di diventare grandi: un sogno, qualcosa per cui lottare».

TUTTO IL MIO FOLLE AMORE di Gabriele Salvatores (2019) - Trailer Ufficiale HD

Cinematograficamente parlando, nel suo nuovo film il regista premio Oscar tira le somme di queste due fasi della sua carriera: «La prima parte, con i personaggi ai margini di Marrakech Express, Turné, Mediterraneo, e le esperienze più recenti, con questi ragazzi speciali. Ho messo insieme due generazioni in un’unica tribù e mi sembra che risuonino bene». Nel mezzo c’è Claudio Santamaria, «che sta esattamente a metà, se fosse stato un po’ più vecchio l’avrei visto perfettamente tra i quattro di Marrakech o tra i soldati di Mediterraneo».

In Tutto il mio folle amore Santamaria è Willi, un cantante da balere e matrimoni, un quarantenne mai davvero cresciuto, che è fuggito davanti alla prospettiva di diventare padre. 16 anni dopo, va a cercare quel figlio che non ha voluto conoscere, e scopre che non è come se lo aspettava: Vincent (il bravissimo Giulio Pranno) vive in un mondo tutto suo, che la madre (Golino) e il suo compagno (Abatatuono) hanno imparato faticosamente a conoscere.

Diego Abatantuono e Valeria Golino

Il film sta all’incrocio fra tre ispirazioni. In primis, il romanzo Se ti abbraccio non avere paura, in cui Fulvio Ervas racconta il viaggio coast to coast negli Stati Uniti di Franco Antonello e del figlio Andrea, affetto da autismo: «Questo è il punto di partenza, abbiamo cambiato moltissime cose, ma il cuore è rimasto lo stesso, tanto che i protagonisti si sono sentiti molto vicini alla storia», spiega Salvatores. In nessuna scena però si parla esplicitamente di autismo: «Prima di tutto perché non è un film sull’autismo, e poi perché nello spettro ci sono decine di sfumature, dalle persone che sono totalmente chiuse in se stesse agli Asperger, che a volte sono geni – Eizestein, Glenn Gould, Greta –, il modello di Dustin Hoffmann in Rain Man, per intenderci. Ci sono altri film sul tema che sono stati fatti in maniera più documentata, dolorosa, realistica». Alla fine della proiezione alla Mostra di Venezia una signora si è avvicinata a Salvatores: “Sono la madre di un ragazzo autistico, volevo dirle grazie”. «E io le ho risposto: “La sua vita sarà un po’ più difficile di quella sullo schermo”», ricorda il regista. «“Sì, però se lei avesse fatto un film difficile e doloroso non sarebbe servito ad avvicinare il pubblico al problema”. Mi ha dato da pensare parecchio, non l’ho fatto apposta».

Claudio Santamaria e Giulio Pranno

Le altre suggestioni sono arrivate piano piano. Il cantante squattrinato di Santamaria è conosciuto come il Modugno della Dalmazia: «All’inizio pensavamo di seguire di più il romanzo e, quando il film era ambientato negli Stati Uniti, Claudio imitava Tony Bennett. Una volta deciso di portare la storia in Italia, ha avuto l’idea di Modugno. E con i baffetti gli assomiglia pure». Il titolo del film poi è tratto da un verso di Che cosa sono le nuvole?, il brano scritto da Pasolini per il film a episodi Capriccio all’italiana: «Tra i pezzi di Modugno questo mi piaceva particolarmente, perché contiene due parole, “folle” e “amore”, che sono sempre legate, nel bene e nel male. È una dichiarazione senza difese, senza paura, in epoca di hater. Il folle amore di un genitore per il proprio figlio e il mio per il cinema, per questi personaggi che sono sempre un po’ emarginati, che siano ragazzi oppure no».

A chiudere il cerchio è un altra canzone, Vincent, l’omaggio di Don McLean a Van Gogh e alla sua Notte stellata: «A volte ci sono misteri che poi inaspettatamente si rivelano. Nell’episodio diretto da Pasolini, Modugno fa l’immonnezzaro e in questo mucchio di spazzatura trova due burattini – Totò e Ninetto Davoli – che alzano la testa. E vedono il cielo per la prima volta».