#Venezia73, Gabriele Mainetti torna dietro alla macchina da presa per un corto | Rolling Stone Italia
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#Venezia73, Gabriele Mainetti torna dietro alla macchina da presa per un corto

Il regista presenta alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia il corto in sei fasi "人魚 – Ningyo", pensato insieme a Renault e Publicis Italia

Gabriele Mainetti, 39 anni - Foto Stampa

Gabriele Mainetti, 39 anni - Foto Stampa

Presentato in anteprima assoluta, alla 73° Mostra Internazionale D’arte Cinematografica della Biennale di Venezia, 人魚 – Ningyo segna il ritorno di Gabriele Mainetti dietro alla macchina da presa, dopo i fasti di critica e pubblico per il suo già “classico” Lo chiamavano Jeeg Robot. 人魚 – Ningyo, un progetto della marca Renault – nato da un’idea di Publicis Italia – è un cortometraggio “intercambiabile”, ispirato dalla modularità della nuova Renault Scénic. Gli utenti infatti potranno cambiare a piacere, sulla piattaforma dedicata, l’ordine dei tre moduli che lo compongono per dar vita a sei storie differenti e le varie versioni saranno, nei prossimi giorni, proiettate anche nei cinema. Mainetti, insieme al fidato sceneggiatore Nicola Guaglianone, ha costruito così una storia di tre scene che, combinate matematicamente, hanno prodotto ben sei cortometraggi.

«Una sfida interessante anche per i miei attori, soprattutto per Alessandro Borghi, perché in ogni scena doveva mantenere una sorta di ambiguità, oltre a una gamma di sfumature emozionali che potessero essere ricombinate. Declinare l’amore in sei modi diversi non è assolutamente facile» ci ha raccontato il regista romano poco dopo la proiezione. Il corto infatti racconta la storia di un giovane uomo elegante che mangia sashimi in un ristorante giapponese del centro storico di Roma. È notte e, a fine pasto, il protagonista si alza e, vicino a una fontana di Piazza Mattei, vede una donna alquanto misteriosa, le va incontro e, una volta vicino, si accorge che si tratta di una sirena. La creatura acquatica respira a fatica e gli chiede aiuto per raggiungere il mare. A quel punto un’auto sfreccia a tutta velocità e finalmente raggiunge Ostia dove la sirena sarà liberata nelle acque…

Come nel precedente Lo chiamavano Jeeg Robot, Mainetti crea altri due personaggi indimenticabili: l’anti-eroe romantico e solitario, interpretato da un malinconico Alessandro Borghi, e la splendida sirena Aurora Ruffino, disperatamente scissa fra terra e acqua, un amore tenero e impossibile che ricorda quello di Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli «L’impossibilità relazionale fra uomo e donna è un tema che pervade il mio cinema. Chissà, un giorno forse cambierò idea ma, per il momento, credo fortemente che questi due mondi diversi possano incontrarsi soltanto per qualche breve attimo di felicità». Niente super-eroi questa volta ma il regista romano prosegue il suo lavoro di declinare “all’italiana” un immaginario consolidato, soprattutto nel cinema americano. Una sirena a Ostia è dunque possibile e non si tratta di nostalgia per la Daryl Hannah di Splash anche se, come ci ha raccontato Mainetti. «È certamente un film che amo molto ma quando io e Nicola progettiamo qualcosa non vogliamo mai citare qualcosa di specifico. Entrambi, nel corso dei vent’anni di lavoro insieme, abbiamo immagazzinato una quantità infinita di film, serie tv, cartoni, manga che, in maniera naturale, riemergono quando si tratta di costruire un progetto».

LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT - TRAILER UFFICIALE [HD]

Come d’abitudine, il regista romano è anche autore della colonna sonora, una musica che a tratti richiama il furore e la dolcezza dei film di John Woo «Volevo combinare elementi sinfonici, di grande respiro a una musica elettronica dura, quasi minacciosa. Ho trovato nei taiko giapponesi, dei particolari tipi di tamburi, quel beat che cercavo e poi, sempre con l’aiuto di Michele Braga, ho amalgamato il tutto. Anche per quanto riguarda la musica non ho mai un riferimento preciso ma attingo in maniera istintiva al mio universo, anche se ammetto che, per questo progetto le musiche di film come Old Boy di Park Chan-wook mi ronzavano continuamente in testa».