«Fatemi fare casino». Intervista a Miriam Leone | Rolling Stone Italia
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«Fatemi fare casino». Intervista a Miriam Leone

Serie tv? Cinema? Pensate a un progetto fico ed è probabile che dentro ci sia Miriam Leone. È lei la madrina dello speciale di “Rolling Stone” sulla tv

Basta una rapida ricerca su Internet per notare la tendenza ad associare il nome Miriam Leone col termine “invidia”, un sentimento chiaramente attribuito a sue “rivali”, anzi, alle donne in generale – che farebbero meglio a ritenerla un problema, anziché un modello aspirazionale. Quando ho chiesto ai miei amici cosa pensassero di lei, mi hanno risposto prima “è bravissima” e poi “è incredibilmente figa”. Ma i miei amici sanno mettere in ordine le idee. Invece di solito il “figa” viene anteposto al “brava” – a volte la prima dote esclude la seconda, in un gioco di surrogati che deriva dall’invidia di cui sopra, o forse da un’eredità culturale ancora molto forte nel nostro show business, per cui devi aspettare di non essere più tanto bona per ottenere riconoscimenti di altro tipo. E osservando il nostro panorama televisivo o cinematografico (ma è un discorso che si potrebbe estendere anche ad altri ambiti), salta all’occhio che, dopo la generazione di Laura Morante e Margherita Buy, le giovani attrici hanno fatto fatica ad affermarsi, probabilmente anche perché si tende a ridurle a figure bidimensionali. Nulla da togliere alla Buy, ma chi si occupa di costume dovrebbe guardare in avanti, anziché indietro, e mettere in luce le nuove icone all’orizzonte. E se dovessi puntare su un’attrice ora, sarei matta a non pensare a Miriam Leone, una che – assurdo – pare abbia un bel cervello, oltre che un signor culo.

Classe 1985 come la sottoscritta, è dalla sua vittoria a Miss Italia di otto anni fa che Miriam non smette di lavorare, dagli esordi sulla tv nazionale fino ad alcune delle più grosse produzioni degli ultimi tempi. La aspetto in un hotel fighettissimo in centro a Milano, seduta su una poltroncina con tutti i miei stracci attorno. Lei arriva da Roma, ha appena finito di girare 1993 e il giorno dopo riparte: iniziano le riprese della seconda stagione di Non uccidere. Non dorme da due giorni, mi dice, e io mi sento una merda a tenerla lì a chiacchierare. «Ma no, tranquilla, però ordiniamo da bere». Una volta carburato il discorso con le opportune bollicine (a suo dire brindo «come i friulani», perché sbatto il bicchiere sul tavolo), capisco che ho a che fare con una che potrebbe tranquillamente essere mia amica da una vita. «Tu quindi ti occupi di musica», mi fa. «Io ho una malattia con le canzoni: dopo due note le riconosco subito». Come Valentina di Sarabanda, le dico. «Oddio sì, esatto, le so tutte!». Fa partire dal suo telefono uno dei pezzi che ascoltava durante le riprese: Informer, una bella truzzata anni ’90. «A te non sembra che dica “infame”?». Purtroppo per la mia dignità, mi tocca menzionare la leggendaria cover di Leone di Lernia che diceva proprio così, pensando che mi prenda per cretina, invece si mette a cantarla con me, mentre alcuni camerieri attoniti e molto ortogonali ci servono altre bollicine. La nostra intervista può iniziare. Le chiedo un parere sulla classifica dei migliori programmi tv stilata da Rolling Stone, che vede al suo vertice La piovra. «Da siciliana hai un doppio sentimento», mi dice: «Vorresti sempre che venisse esportata la Sicilia migliore, ma alla fine parlare di mafia, soprattutto dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, è diventato imprescindibile. Però, in quel caso, la rappresentazione del male era un po’ manichea – La piovra è il nostro western, riconosci subito il buono e il cattivo – mentre in 1992 e 1993 non c’è un confine preciso tra bene e male». Ma confessa che, fosse per lei, al primo posto ci sarebbe Blob, «il miglior programma di sempre».

Miriam

Le chiedo da quanto avesse in mente di fare questo lavoro. «Beh, a scuola ho sempre recitato, solo che mi facevano fare la parte della Madonna. Muta. Un anno ho tirato su una protesta allucinante perché volevo fare i Blues Brothers, volevo fare il maschio! E alla fine ce l’ho fatta. Ho detto alla maestra: con tutto il rispetto per la Madonna, vi prego, fatemi fare casino». In ogni caso la Vergine Maria fa curriculum, direi. Mentre addenta una mozzarellina impanata sbrodolandosi brutalmente, si scusa per i suoi modi da cavernicolo (forse non sa con chi ha a che fare) e mi rivela che fino ai 20 anni, in realtà, non aveva idea di cosa avrebbe fatto nella vita. «Dalle mie parti ci sono posti proprio Sturm und Drang come la Timpa, una scarpata a picco sul mare… Mi mettevo là, immaginavo la mia vita pazzesca in giro per il mondo con tutti che mi chiamavano: “Miriam, Miriam!”… Una follia… Insomma, immaginavo una via di fuga. Poi riprendevo la Uno scassata di mio nonno e tornavo alla mia realtà di ragazza di provincia». Una realtà che evidentemente le andava stretta. «Al brindisi per il mio 22esimo compleanno, quello prima di Miss Italia, mio padre mi disse: ora sei grande, è il momento di trovarti un lavoro, mettere su famiglia, fare dei figli… E lì ho pensato: devo trovare il modo di scappare». Da un ruolo precostituito, Miriam affronta un altro stereotipo, quello della Miss avida di carriera, che è brava a interpretare in 1992, ma pare non corrisponda affatto alla realtà. Le chiedo con che spirito abbia partecipato a Miss Italia, se pensava di poter vincere. «Ma và, ero sicura di non vincere, però ho detto: quando avrò novant’anni racconterò a mio nipote questa esperienza, gli dirò: “Quando ero giovane, ho avuto l’ardire di fare questa cosa!”. Se non l’avessi fatto mi sarebbe rimasto un grosso rimpianto».

Enorme, direi, dato che da allora Miriam non ha quasi più messo piede a casa ed è stata catapultata in televisione: «Per me è stato un onore entrare in Rai, anche perché io non sono nessuno – come Ulisse, no? Non sono la figlia di nessuno, l’amica di nessuno, l’amante di nessuno, sono la sorella di Sergio Leone, ma non quel Sergio Leone… Quindi per me ogni piccolo traguardo è una soddisfazione». E se sei una che non prende scorciatoie, Mamma Rai ti ripaga ricordandoti che la vita è una valle di lacrime. «Ogni giorno mi svegliavo alle 4:30 del mattino, dovevo stare sul pezzo già dalle 6… Infatti ora sul set non mi lamento mai», dice, ricordando l’esperienza a Uno Mattina Estate. Grazie alla sua attitudine da Ariete, Miriam è riuscita a macinare 7 film e 11 serie televisive. «Che poi ho questa sfiga per cui le cose che giro escono sempre tutte in contemporanea, tipo ora c’è fuori sia il film di Pif che quello di Bellocchio». Perfetto, le dico, qui dietro c’è un cinema in cui danno entrambi, ma a quanto pare Miriam non è molto fan del rivedersi. «Sai, alcuni riguardano il take subito dopo averlo girato, io l’ho fatto una volta, all’inizio, per darmi un’aria da attrice: sono rimasta così traumatizzata che ho capito che per me non funziona». Preferisce affidarsi agli occhi del regista, mi dice, e osservare i colleghi. «In 1992 c’erano attori straordinari come Stefano Accorsi, Guido Caprino e Tommaso Ragno, a me bastava guardarli per capire in che direzione andare. Giuseppe Gagliardi è un regista con cui sono cresciuta tantissimo, insieme abbiamo creato Veronica Castello e Valeria Ferro. Anche lavorare con Marco Bellocchio è stata una scuola, umanamente e professionalmente. In generale, ho imparato da ogni lavoro, da ogni essere umano con cui mi sono confrontata sul set, dai miei errori. E appena ho tempo, torno a studiare recitazione – i miei amici mi odiano, non riesco mai a andare a cena con loro». Poi però mi racconta di quando la sua amica d’infanzia l’ha accompagnata alla prima di 1992, che apriva la Berlinale. «Mi si era incastrata la zip del vestito, mentre mi aiutava a sistemarla ci siamo guardate in lacrime e ci siamo dette: “Oddio, chi l’avrebbe mai detto?”». Nel frattempo, attorno a lei spuntano continuamente notizie false, tipo quella secondo cui “si contenderà il palco” del prossimo Festival di Sanremo con Chiara Ferragni. Quando le chiedo se è vero che prenderà a gomitate la “rivale”, si fa una risata. «Sai, c’è un’altra Miriam là fuori, un ologramma che ha vita propria e che non posso controllare, quindi che dicano quello che vogliono». Invece pare che Instagram le piaccia un casino. «Quello è un altro tipo di condivisione, lì mostri quello che sei, non quello che fai, perché i fatti sono stupidi, come diceva Nietzsche. Poi è giusto che io mantenga uno spazio mio, perché quando mi rapporto col pubblico o interpreto un personaggio, mi dono completamente, sono proiettata oltre me stessa». Sono curiosa, a questo punto, di sapere se interpretare figure femminili così distanti da lei le abbia dato una chiave in più per inquadrare il ruolo della donna, fuori e dentro la tv. «Non giudico mai i miei personaggi, altrimenti non potrei interpretarli. Mettersi su un gradino più alto e liquidare una ragazza con frasi tipo “quella è una puttana perché fa la escort” è proprio un modo sciocco di ragionare. Veronica (Castello, l’aspirante showgirl di 1992, ndr) fa tutto quello che io non farei mai, ed è per questo che mi affascina così tanto. Lo stesso vale per Valeria (Ferro, l’investigatrice di Non Uccidere, ndr): anche nel suo caso, la chiave sono le contraddizioni che partono dalle ferite, dai “no”, da chi non ti fa sentire all’altezza…». Le chiedo se le capiti mai di vedere un ruolo che avrebbe voluto per sé. «Quando vidi Top of the Lake mi innamorai perdutamente della protagonista. E poi è arrivata Valeria, che è anche il volto della nuova serialità italiana: una che si mostra senza trucco, sfatta, stanca. Il contrario di quello che io chiamo “effetto Sally Spectra”, per cui esci dal letto truccatissima e coi capelli in piega».

Dato che c’è una serie in produzione, e a quanto ho capito ho a che fare con un’accanita lettrice, chiedo a Miriam se ha letto Elena Ferrante: «Figurati, l’ho divorata» mi dice. «Quello è un autentico romanzo di formazione, racconta l’amicizia vera, la crescita, quel continuo uscire da sé e scontrarsi con tutto il resto». E finiamo a parlare di Omero, a cui, mi dice, è particolarmente legata: «Mio nonno mi portava sulla riviera di Aci Trezza e mi diceva “Vedi quei faraglioni? Polifemo era talmente grande che quei sassi enormi per lui erano cosine che scagliava come niente”. È da lì che è nato il mio amore per l’Odissea, che è un po’ la storia di tutti noi: a un certo punto lasciamo il nostro nido e andiamo in guerra, facciamo giri assurdi ed esperienze stranianti – che poi è la vita, no? – e alla fine torniamo da dove siamo arrivati e chiudiamo il cerchio». Dato che ho capito (anzi, me l’ha proprio detto) che la domanda sui sogni nel cassetto è la cosa che più la indispone al mondo, decido di concludere chiedendole semplicemente come sta. «Sto vivendo una rinascita totale, per cui stare bene è la cosa più cool che esista. Ho anche comprato una casetta, piccola piccola, con un enorme terrazzo sul mare, dalle mie parti, e quello sarà il mio ritiro. Appena posso torno a guardare il mare».

L’intervista è stata pubblicata su Rolling Stone di dicembre.
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