Fabrizio Ferracane, verità giustizia legalità | Rolling Stone Italia
La terra buona

Fabrizio Ferracane, verità giustizia legalità

L'attore siciliano, che ha interpretato spesso ruoli in qualche modo legati alla mafia, adesso è protagonista di 'Mascaria', in onda su Rai 1 in occasione della Giornata della Legalità. Con la stessa passione con cui approccia il mestiere di attore, ci ha raccontato senza filtri tutto quello che lo indigna

Fabrizio Ferracane, verità giustizia legalità

Foto: Rori Palazzo

Fabrizio Ferracane è il protagonista di Mascaria, il film in onda giovedì 23 maggio in prima serata su Rai 1, in occasione della Giornata della Legalità. Ma è anche un attore di origini siciliane, precisamente di Castelvetrano, con un grande entusiasmo, un amore sconfinato per la propria terra e che, per questo, non riesce a trattenersi persino dal criticarla aspramente. Perché se è vero che la mafia non è più quella di una volta, cioè delle «pistolettata per strada» – come ci spiegherà –, non si può dimenticare che «ha ancora un’influenza minacciosa sulla società» e i cittadini non sono esenti da colpe. Lo dimostra questa pellicola della regista Isabella Leoni, dove basta il segno del sospetto per annientare Pietro Ferrara (il ruolo da lui interpretato), un imprenditore che ha il coraggio di denunciare chi lo costringe a pagare il pizzo, ma che dovrà subire l’onta della delegittimazione quando un capomafia lo accuserà pubblicamente di essere suo socio in affari. Nonostante sia una calunnia, da quel momento scatta l’abbandono sociale, economico e istituzionale. Per questo Ferracane, con la stessa passione con cui approccia il mestiere di attore (lo abbiamo visto in titoli importanti come Anime nere, Il traditore e Ariaferma), ci ha raccontato senza filtri tutto quello che lo indigna, compresa una certa antimafia: «Per un sospetto non si può togliere tutto».

Fabrizio, dopo diversi ruoli legati al fenomeno criminale, che idea ti sei fatto della mafia?
Giorni fa una giornalista mi ha detto: “Vengo spesso in Sicilia, ma non vedo mai la mafia”. Ma scusi signora, le ho risposto, lei si aspetta l’uomo con la coppola e le donne con il velo nero? La mafia non è più quella da molto tempo.

E com’è oggi la mafia?
A Palermo non ci sono scippi da tempo, per esempio. Io alle 4 del mattino giro e non mi deruba più nessuno. Ci sono invece dei cani sciolti che fanno dei danni pazzeschi per motivi ridicoli. Ma qui l’intervento non è contro la mafia, quanto invece sul cervello di questi giovani. La mafia oggi è ben vestita, fa operazioni finanziarie, ma ha ancora un’influenza potente e minacciosa sulla società. A volte basta uno sguardo e pesa come un macigno.

Fabrizio Ferracane in ‘Mascaria’. Foto: Rai

Nel film Mascaria questa influenza, non visibile a occhio nudo, emerge in tutta la sua forza. Prendendo spunto dal titolo, “mascariare” in siciliano significa tingere con il carbone e lasciare un segno indelebile, ma in realtà significa calunniare. Oltre alla violenza, sembra questa la nuova arma nelle mani delle mafie.
Esatto, perché questo è un film che parla della prevaricazione degli esseri umani su altri esseri umani, del bene contro il male. Il male è il potere di chi vuole controllare le persone con dei fili invisibili. Mi sono anche un po’ stufato di ruoli legati a mafiosi, ma dipende sempre come certe storie vengono raccontate.

In che senso?
Il padrino è un film di mafia, ma è soprattutto un’opera d’arte.

Dal Padrino a Gomorra, sembra che i film possano accendere i riflettori su certi problemi della società per aiutare a risolverli.
Ma certo, la Sicilia come Napoli sono cambiate tantissimo anche grazie a queste opere. Stiamo migliorando. E secondo me è relativo al fatto che la mafia, il male, non è più quella roba lì delle pistolettate in strada. Ricordo a Palermo quando c’era un morto ammazzato al giorno. Questa mutazione è di tutto il Meridione. Sento che c’è più ricerca di bellezza, benché non ovunque. Per esempio, mi spiace che il mio paese, Castelvetrano, non riesca a uscirne.

Come mai?
Trent’anni fa era una fucina di talenti. Pensa che c’erano ventotto compagnie di teatro amatoriale, una vita culturale che era una bellezza, si organizzava il Cantagiro a Selinunte, più tantissime sagre e feste. Adesso è la morte di ogni iniziativa culturale.

È solo colpa della mafia?
Per certi versi la colpa è anche della tecnologia, ormai siamo tutti piegati a guardare il cellulare. Ma in generale in una città che ha un milione di abitanti come Palermo è più semplice che ci sia un rinnovamento, che si riesca a stare al passo con i tempi. In piccole realtà come Castelvetrano, invece, la nuvola nera della mafia ha preso il sopravvento.

Foto: Rori Palazzo

Cosa consiglieresti ai tuoi conterranei?
Di non essere sempre e soltanto degli “sparlitteri”, cioè dei pettegoli un po’ invidiosi. Sono tutti lì a dire cosa ha fatto questo o cosa ha fatto quello, e quando hanno 50 euro in tasca non gli serve altro per muoversi. Per esempio, a Castelvetrano c’è un problema enorme con l’ospedale e per questioni politiche le persone che stanno male o che devono partorire sono costrette a spostarsi a Mazara del Vallo. Ti sembra normale fare 30 chilometri in più? Ecco, anche in queste condizioni, senza una reazione delle persone, proliferano le mafie.

Tu sei andato via da Castelvetrano per inseguire il sogno di diventare attore?
Quando me ne andai a Roma per provare a entrare nel cinema, nei primi tempi lavoravo come cameriere. Non è stato facile. Ricordo i momenti in cui sbarellavo, ero in difficoltà perché non sapevo come mettere insieme il pranzo con la cena. Ma mio padre mi ha sempre detto: “Se non ce la fai torna, però prima di partire rimani un giorno in più. Vedrai che succede qualcosa”. È stato un grande insegnamento, perché poi qualcosa succede sempre, se credi davvero in quello che fai. E mi stimolava a essere indipendente: “Non pensare che ti paghi l’affitto di casa, eh?”. Mi aiutava, ma non voleva che stessi seduto a fare nulla.

Spesso anche il pregiudizio arriva prima del proprio curriculum o delle qualità. Hai mai sentito il peso di venire dal paese che ha dato i natali a Matteo Messina Denaro?
Una volta lavoravo in un’enoteca di Roma e un giorno arrivarono come commensali i giornalisti Enrico Mentana, David Sassoli e Maurizio Mannoni. Gli chiedo cosa preferiscono bere e gli consiglio un certo vino delle mie zone e Mentana mi domanda: “Di dov’è lei?”. Io gli rispondo: “Di Castelvetrano”. E Mentana: “Aaahhh…”. Vedi cosa significa la mafia? È anche pregiudizio che si attacca a tutti quelli che vengono da quelle zone per colpa di gente come Messina Denaro. Ma in questo caso aveva ragione, Castelvetrano è un disastro.

Il sospetto distruggerà anche la vita di Pietro Ferrara, l’imprenditore che interpreti in Mascaria, che a seguito di una sua denuncia viene delegittimato e subisce l’abbandono sociale, economico e istituzionale.
A volte mi chiedo: ma signori, dormiamo? Quest’antimafia spesso è una merda! Voglio essere molto netto, perché non si può più tacere: prima ti tolgono tutto e poi soltanto dopo cominciano a verificare e a istruire processi che durano anni. L’antimafia ha un problema enorme. Sommare dei sospetti effimeri e farli diventare concreti è la vera colpa dell’antimafia. A volte basta che uno incroci per strada un boss o suo cugino implicato in certi traffici e sei rovinato. Se poi per caso quel mafioso fa una chiamata o fa intendere qualcosa in più, non se ne esce.

Mi stai descrivendo un’antimafia che è diventata strumento della stessa mafia?
Giustissimo! Tante volte i mafiosi sono contenti se qualcuno viene associato a loro, così riescono a liberarsene senza troppa fatica.

Fabrizio Ferracane e Fortunato Cerlino in ‘Mascaria’. Foto: Rai

Spesso si dice che bisogna denunciare, ma anche denunciare, come dimostra Mascaria, ha delle conseguenze che non sono sempre positive.
C’è l’aspetto burocratico, legato ai processi, che è complesso. Ma bisogna tenere conto di quello psicologico, interiore, che influisce moltissimo. Pensiamo a un uomo che vorrebbe solo lavorare e che viene costretto, senza colpa, a interrompere tutto senza poterci fare nulla. In che stato d’animo sprofonda? Come si fa a continuare a vivere? È un fardello pesantissimo, una paura costante, ma soprattutto come lo spieghi ai tuoi familiari? Infatti, come si può vedere nel film Mascaria, sono impressionanti i silenzi.

Come si entra, a livello attoriale, in storie così contemporanee?
Ancora prima di questo film, per esempio, sono grato a Emma Dante, che in Misericordia mi ha dato la possibilità di far vedere a tutti che pezzi di merda esistono nel mondo. Per me la cosa fondamentale è la verità. Non posso permettermi di non essere vero. Altrimenti lo spettatore è legittimato ad alzarsi e uscire dalla sala. Quando interpretiamo certe tragedie ci vuole grande rispetto. Dobbiamo essere noi i primi a credere in quello che facciamo, altrimenti è meglio non farlo. Sono convinto che il nostro mestiere sia straordinario, ma ci sono cose più importanti. Chi si alza alle 4 del mattino per fare il pane, o chi salva vite come vigile del fuoco o medico.

Mascaria andrà in onda proprio nella Giornata della Legalità. Eppure, c’è chi storce il naso verso queste ricorrenze, quasi fossero sorpassate.
Noi abbiamo la possibilità di raccontare, ed è più importante che mai. Così come è importante continuare a parlare di mafia. Non capisco chi si lamenta se si sentono dire le stesse cose. Sì, bisogna continuare a dirle, ma non per te che lei hai sentite mille volte, per i giovani che non hanno conosciuto certe situazioni e possono sbagliare più facilmente. Già basta ricordarsi che ogni giorno ci sono tragedie. Come le piazze di spaccio che producono soldi e morti. Che c’è una ’ndrangheta sempre più potente. Che c’è una Roma che è finita in un’inchiesta che si chiama “Mafia Capitale”. Queste cose fanno parte della vita, e vogliamo dimenticarle?

Succede anche con la Storia per le varie Giornate della Memoria…
Lo so bene, ci sono sempre dei coglioni che dicono che non è mai successo qualcosa di gravissimo. Tutto ciò è di una gravità che fa male solo a sentirli. Dobbiamo pensare ai bambini e ai giovani. Parole come verità e giustizia si devono continuare a tramandare.

Il 23 maggio ricorre anche l’anniversario della strage di Capaci. Allora tu avevi 17 anni in Sicilia. Cosa ricordi di quel momento?
Ricordo benissimo che ero a Castelvetrano in un pub con un amico. Eravamo vicini a un jukebox e a un certo punto il proprietario lo ha spento per accendere il televisore. Mentre scorrevano le notizie della strage era come se intorno a noi soffiasse un vento ghiacciato che arrivava dall’autostrada dove ha perso la vita Giovanni Falcone. Io ancora oggi mi chiedo: com’è stato possibile realizzare qualcosa del genere?

Non può solo esser stata opera della mafia?
Ma no, con così tanti chili di tritolo sotto un’autostrada. Io quando ci passo non mi sembra possibile. Sono trascorsi così tanti anni e non ci sono risposte definitive. Con persone morte e famiglie in lutto che non sanno la verità. Come l’agenda di Paolo Borsellino, dov’è finita?

Prima hai detto di essere un po’ stufo di essere associato ai ruoli di mafia.
Sì, sono un po’ stufo di essere associato soltanto a quei ruoli. Ricordo L’Arminuta, Ariaferma e tanti altri film come Diario di spezie, che è bellissimo. A breve uscirà un’altra pellicola che ho girato in Sardegna e non interpreto un criminale. Guardandomi indietro ho fatto tante parti diverse, e questo mi fa anche pensare che gli anni passano. Ma anche che siamo utili. Per esempio, dopo che è uscito Primadonna (il film di Marta Savina ispirato alla storia di Franca Viola, la prima donna italiana ad aver rifiutato pubblicamente il matrimonio riparatore, ndr) si è avviato l’iter che ha portato a una legge.

Quindi il cinema, e in generale l’arte, può cambiare il mondo?
Ma certo che può farlo! La bellezza può e deve cambiare il mondo. Le menti, prima di tutto. Prendiamoci ogni giorno il tempo di ascoltare musica, guardare fotografie o film d’autore. Io sono convinto che l’arte cambi i rapporti umani. Sono un entusiasta e queste cose mi entusiasmano ancora di più perché abbiamo l’opportunità di farci tramiti di grandi storie.

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