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Ethan Hawke, l’eroe moderno

L’attore e scrittore texano è tra i più rispettati di Hollywood e ha un chiodo fisso: fare film che restano nel tempo. La storia del jazzista Chet Baker, "Born to Be Blue", è al cinema 25 marzo negli States
Ethan Hawke è nato a Austin, Texas, nel 1970. Ha esordito al cinema a 14 anni con “Explorers” di Joe Dante (1985), a fianco di River Phoenix. Ha pubblicato due romanzi usciti anche in Italia: “L’amore giovane” e “Mercoledì delle ceneri”. Ora è al cinema negli States con “Born to Be Blue” - Foto di Theo Wenner

Ethan Hawke è nato a Austin, Texas, nel 1970. Ha esordito al cinema a 14 anni con “Explorers” di Joe Dante (1985), a fianco di River Phoenix. Ha pubblicato due romanzi usciti anche in Italia: “L’amore giovane” e “Mercoledì delle ceneri”. Ora è al cinema negli States con “Born to Be Blue” - Foto di Theo Wenner

Se un attore negli ultimi 20 anni si è guadagnato il titolo di eroe indipendente, questo è proprio Ethan Hawke. Grazie alla parallela attività di scrittore e al sodalizio con registi come Richard Linklater – autore della trilogia Before Sunrise/Sunset/Midnight (1995/2004/2013) e di Boyhood (2014) – e Andrew Niccol (Gattaca, 1997), Hawke ha costruito con attenzione un profilo da attore un po’ intellettuale – alla Edward Norton, o, in tempi più recenti, Joseph Gordon-Levitt – che però non se la mena troppo: affascinante, ma raggiungibile; letterario, ma senza pose alla James Franco. Negli ultimi anni, Hawke sembra poi essersi specializzato in film imperfetti, ma interessanti come Predestination (2014) dei fratelli Spierig, un’indagine sull’identità e i paradossi dei viaggi nel tempo, e Good Kill (2014) ancora di Niccol, appena arrivato nei cinema italiani.

In Good Kill, Hawke è Tom Egan, un ex pilota che dopo diverse missioni in Afghanistan e Iraq è riposizionato dall’esercito Usa come operatore di droni all’interno di un’asettica stazione nel deserto del Nevada. Ogni giorno, Tom parte dalla sua generica McCasa e va a impugnare un joystick davanti a uno schermo; dall’altro lato del mondo, un aereo senza pilota risponde ai suoi comandi. Gli obiettivi che Egan ha l’ordine di bombardare – quei presunti terroristi che oggi si preferisce andare a respingere “a casa loro” – spariscono dentro una silenziosa nube di polvere, il ronzio dell’aria condizionata e i laconici commenti degli operatori l’unico sottofondo a questa routine di morte. Il film di Niccol è un war movie contemporaneo, e come il suo protagonista osserva la guerra e le sue conseguenze lontano dai suoni e dall’odore della battaglia. Il soldato Tom Egan, con il suo progressivo sgretolamento mentale, è il simbolo di questo nuovo conflitto a distanza, che dovrebbe essere pulito e disumanizzato. Da New York, Hawke ci ha parlato di Good Kill e di tante altre cose.

Good Kill rappresenta la nostra realtà, ma sembra un film di fantascienza. In parte è Homeland e Syriana, in parte Black Mirror ed Ender’s Game. Sei d’accordo?
Certo, sembra fantascienza! Se pensi all’idea di un soldato che dentro un container nel deserto uccide gente dall’altra parte del mondo, è qualcosa dal futuro. E nel film la voce della Cia, che attraverso gli altoparlanti fornisce gli obiettivi da colpire, assomiglia a HAL di 2001: Odissea nello spazio. Mio fratello è nell’esercito, e racconta che ci sono tre modi in cui una guerra può finire: la prima è quando i sacchi per cadaveri iniziano a tornare a casa, e l’opinione pubblica insorge; la seconda è con una vittoria, e la conquista del territorio; e la terza è quando la guerra inizia a costare troppo. Ma il fatto interessante è che i droni sono economici, non fanno tornare a casa i cadaveri, e non ti faranno mai vincere la guerra, perché non puoi vincerla se non sei sul territorio. Così si crea lo scenario per un conflitto perpetuo, una cosa tipo Brave New World o 1984.

Negli ultimi anni hai preso parte a film molto diversi tra loro, da piccole produzioni a titoli più commerciali, da capolavori come Boyhood a film più eccentrici come Predestination. Come scegli tra tutte le proposte che ricevi (immagino siano parecchie)?
Cerco di seguire il mio fiuto, e mi fido degli autori. Con Andrew Niccol, per esempio, fin da quando ho girato Gattaca ho pensato che fosse qualcuno con una voce autentica. È un pensatore politico, capace di ragionare con idee di destra e di sinistra, senza preconcetti. Predestination, invece, aveva semplicemente una sceneggiatura fantastica. E Boyhood, beh, stiamo parlando di Linklater. Lavorare con lui significa imparare a capire chi è in grado di fare un buon film, e chi no.

Com’è stato interpretare Chet Baker in Born to Be Blue?
Sono stato un fan di Baker per tutta la vita, e circa 20 anni fa Linklater e io avevamo tra le mani una sceneggiatura in cui avrei dovuto interpretare un giovane Chet, e mi ero preparato duramente per quella parte. Poi abbiamo perso i finanziamenti e il film non si è più fatto. Qualche tempo fa mi hanno proposto questa nuova parte in cui Chet è già 40enne e malmesso, non ce la fa più a suonare dopo che è stato picchiato e ha perso i denti. Il film racconta la sua battaglia per tornare a suonare jazz.

Ti hanno mai offerto una parte in un film di supereroi? Oggi sembra che siano preferiti attori come Mark Ruffalo, Paul Rudd, lo stesso Robert Downey Jr., che a una prima impressione non sembrerebbero tanto adatti.
Sai, alla fine anche gli attori devono pagare le bollette, e a volte si accettano lavori per essere in grado di perseguire i propri progetti. Io cerco di non avere pregiudizi su cosa è alto e cosa è basso, su cosa è profondo e cosa no… Quello che mi interessa è la passione e l’impegno dietro le cose. Questo può succedere tanto in un kolossal di supereroi come in un film girato con mille dollari e un telefono.

E le serie tv? Per un attore oggi non è una scena anche più invitante del cinema?
È vero che stiamo vivendo nella cosiddetta età dell’oro della televisione, e ci sono in giro cose fantastiche, ma io non ho mai visto qualcosa prodotto per la televisione che fosse allo stesso livello di certo cinema. È impossibile mantenere la stessa qualità per un periodo di tempo prolungato. Io continuo a preferire il cinema: entrare in contatto con un gruppo di persone e concentrarmi con loro su un singolo progetto. Però, sai, ho quattro figli, e l’idea di un lavoro fisso sotto forma di una lunga serie tv è invitante. Per tutta la vita ho cercato di sopravvivere a questo mestiere e di mantenere un po’ di rispetto per me stesso, senza però essere troppo idealista, per riuscire a mandare i miei figli all’università. Quindi ogni tanto penso: “Ok, dovrei trovarmi un lavoro in una serie tv”.

Beh, se c’è un attore che ha conservato bene la sua reputazione, quello sei tu.
Prima hai citato Predestination, che ha visto pochissima gente. Ma è stato fatto con una tale intelligenza e maestria che, ne sono sicuro, è un film che resterà. Anche Gattaca era stato ignorato quando è uscito all’epoca, e oggi è diventato un film di culto. Lo scopo della mia vita è fare film del genere. E non mi sembra che questo sia possibile con la televisione. Si possono fare cose buone, ma non cose grandiose, quando si lavora a quella velocità.

In qualche caso sì, però. Come per The Wire, o Fargo
A me piace molto Game of Thrones, e penso che il motivo per cui ha tanto successo sia perché è basato su un libro. Oggi puoi prendere un romanzo classico come Guerra e pace e, invece di tagliarlo per farlo stare dentro due ore, puoi raccontarlo per intero. Si potrebbe trarre qualcosa da Kurt Vonnegut, per esempio… ora che ci penso, sarebbe veramente fico.

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di marzo.
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