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‘Ghostbusters: Legacy’: ectoplasmi, nostalgia e il ritorno di Bill Murray

I mitici Acchiappafantasmi di nuovo sul ‘luogo del delitto’: Jason Reitman rilancia la saga inaugurata da papà Ivan, ma parla alle generazioni di oggi. Insieme allo sceneggiatore Gil Kenan, che abbiamo incontrato

Foto: Sony Pictures

Forza, infilate gli zaini (protonici) e salite in macchina. Ovviamente, quella macchina: la Cadillac Ecto-1. Gil Kenan ha riportato i fantasmi al cinema: dopo Poltergeist ed Ember, lo sceneggiatore anglo-israel-americano (sì, ha avuto una vita piuttosto movimentata) ha accettato la coraggiosa proposta di Jason Reitman di riesumare la mitica saga di Ghostbusters. Diciamo coraggiosa perché si sa come vanno le cose con i remake, sequel e reboot: le aspettative dei fan sono tendenti a “più infinito” e, come se non bastasse, qui c’era pure una questione di famiglia. Jason è infatti il figlio di quel Reitman: Ivan, il papà dei primi Ghostbusters. Insomma, una bella responsabilità. Eppure “they did it” e il nuovo Ghostbusters: Legacy, dopo la mega anteprima che ha aperto Alice nella Città alla Festa del cinema di Roma, è uscito nelle sale il 18 novembre.

Partiamo dal titolo: qual è l’eredità lasciata da Ghostbusters?
È una domanda molto interessante perché, anche se io e Jason abbiamo scritto il film insieme, partivamo da approcci molto diversi. Per me il primo Ghostbusters è stato un importante rito di passaggio che ha segnato la mia vita da “movie lover”: è stato uno dei primi film che ho visto al cinema quando mi sono trasferito a Los Angeles. Per me ha quindi rappresentato Hollywood: tutto quello che un film può e deve essere, ossia risate, divertimento, azione, paura. Tra l’altro all’epoca divenne un fenomeno culturale, almeno per Los Angeles: ricordo che non potevi entrare in un centro commerciale o partecipare a una festa per bambini senza sentire l’iconica musica del film. Per Jason, invece, Ghostbusters era un pilastro della storia della sua famiglia. Era la pietra miliare che fondava la sua identità come bambino, figlio e membro della famiglia. È davvero un’eredità che si è portato dietro da tutta una vita, non fosse altro che per il numero di volte che le persone gli hanno chiesto se e quando avrebbe mai girato un nuovo film sui fantasmi.

Ho capito: del duo di scrittura, tu eri quello rilassato ed entusiasta, mentre Jason era sotto pressione…
Magari fosse andata così! Quando scrivi una storia, ti fai sempre carico del peso emotivo dei tuoi personaggi: te ne prendi cura, ti senti un po’ il loro custode. Quindi anch’io percepivo il peso della responsabilità: verso i miei personaggi, i fan, il mio amico Jason, la sua famiglia… Ma sai una cosa? Questa premessa personale, il fatto che ci sentissimo così coinvolti, ha finito per fare la differenza. Il tema dell’agonia dell’eredità e della sua estasi è stata la scintilla alla base della scrittura. Siamo partiti da qui. Abbiamo capito che per i protagonisti di Ghostbusters: Legacy fare i conti con il proprio passato sarebbe stato allo stesso tempo esaltante e terrificante.

Paul Rudd in ‘Ghostbusters: Legacy’. Foto: Sony Pictures

Come avete lavorato?
È stato un esercizio di pura narrativa, se non addirittura di squisito divertimento infantile. Poi, certo, sapevamo che dovevamo rendere giustizia a un mondo, peraltro molto esigente, di fan, però abbiamo cercato di dare sfogo alla nostra fantasia. Per questo abbiamo spostato la storia da New York: avevamo bisogno di un vuoto creativo, di una pagina bianca, per ricominciare da zero. Ci siamo domandati cosa noi, da fan, avremmo voluto vedere e ci siamo lasciati guidare dall’amore per i Ghostbusters.

Che evoluzione hanno i personaggi femminili?
Se c’è un concetto che, fin dall’inizio, ci è stato subito chiaro, è che stavamo scrivendo questo sequel per due tipi di pubblico: per noi, e quelli come noi, che nel 1984 hanno amato Ghostbusters, e poi per le nostre figlie che vivono nel 2021. Quindi l’idea di inserire dei personaggi femminili forti non è stata una scelta tecnica o strategica, ma un’onesta riflessione sul pubblico che ci avrebbe guardato che è diverso rispetto a quello, molto maschile, degli anni ’80. Tutto qui: è stato solo un gesto di onestà intellettuale. Le nuove platee ora includono anche le nostre figlie.

Nel film spezzate una lancia a favore della scienza: è definita “pura”, oltre che “l’unica soluzione contro le follie del mondo”. Una provocazione necessaria nell’era del complottismo scientifico e medico?
L’elogio alla scienza, e di riflesso della medicina, era doveroso. Da un lato, infatti, è un tema che è sempre stato centrale nella saga: gli Acchiappafantasmi non sono altro che dei super nerd assurti a uomini-copertina. Gli scienziati vengono proposti come delle rockstar. Dall’altro lato, sapevamo che oggi il contesto è molto diverso dagli anni ’80. Viviamo infatti in un’epoca dove la scienza è spesso sotto attacco. Le persone sono diffidenti, c’è chi rinuncia alle medicine, o almeno alla medicina moderna. Ecco, con Ghostbusters: Legacy noi volevamo celebrare di nuovo lo spirito indipendente della scienza, ricordando quanto questa sia una risorsa potente, da valorizzare.

Oggi si producono moltissimi sequel, prequel, reboot e remake. Spesso si guarda al passato quando il presente non è all’altezza della memoria: credi che questa sia una delle ragioni alla base del dilagante effetto nostalgia?
C’è spazio per tutti i generi di film, e il successo di titoli come Nomadland lo dimostra: è una storia geniale e super attuale che affronta il tema della proprietà delle case e di cosa voglia dire essere un consumatore del XXI secolo. Detto questo, c’è però sicuramente una domanda irrisolta che riguarda la nostra identità come spettatori. Ci sono infatti dei film che hanno segnato la nostra giovinezza: dobbiamo capire se sono storie che semplicemente faranno sempre parte del nostro passato, e lì resteranno, o se invece non ce ne libereremo mai, perché ci hanno segnato così profondamente da renderci loro vittime per il resto della nostra vita. Per certi versi Ghostbusters affronta questo dilemma: ci dice che non saremo mai liberi dal passato e dall’effetto nostalgia fino a quando non lo affronteremo e non ci faremo i conti. Ghostbusters: Legacy affranca la saga dalla sua premessa nostalgica aprendo la strada a nuove storie.

In questo processo, diciamo così, catartico, quanto è stato importante poter contare sul cast originale?
Averli è stato un immenso onore, e in questo caso non parlo in veste di sceneggiatore ma di fan: ero assolutamente eccitato all’idea di rivederli in azione, con le tute, gli zaini protonici e le trappole! Diciamolo: è stato molto figo! (ride, nda) Ok, ora mi rimetto il cappello dello sceneggiatore e aggiungo che non potevano non esserci perché raccontiamo una sorta di passaggio di testimone. Avevamo bisogno di loro per collegare presente, passato e futuro. Inoltre per Bill Murray, Dan Aykroyd, Rick Moranis, Ernie Hudson, Ghostbusters è stato il film che li ha lanciati: la saga ha un posto speciale nel loro cuore. Diciamo che siamo stati molto fortunati ad arrivare al momento giusto, con la storia giusta, che potesse dare loro la possibilità di riprendere quei ruoli.

Entertainment Weekly ha scritto: “Ghostbusters: Legacy ci ricorda di come ormai gran parte della cultura americana consista nello scavare nelle rovine delle sue glorie passate”. Cosa replichi?
Di certo non è il nostro caso. Non siamo partiti dal franchising: come ti dicevo. Ghostbusters: Legacy racconta il viaggio personale di un regista, del passaggio di testimone tra lui e suo padre. È un film su cosa vuol dire crescere con il peso delle aspettative per poi a un certo punto fermarsi, accettare la propria eredità, e affrontarla proponendo la propria versione della storia. Alla base di Ghostbusters non c’è quindi un marchio da rilanciare ma una premessa sentimentale: un viaggio affettivo. Ed è per questo che, alla fine, è stato divertente scriverlo.

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