È stato l’anno di Ryan Coogler | Rolling Stone Italia
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È stato l’anno di Ryan Coogler

L’acclamato regista e sceneggiatore ha realizzato con ‘I peccatori’ uno di film più potenti dell’anno. Una storia di etnia, identità e musica, dal blues all’hip hop. Ci siamo fatti spiegare da lui perché è così importante

È stato l’anno di Ryan Coogler

Michael B. Jordan e Ryan Coogler sul set dei ‘Peccatori’

Foto: Warner Bros.

I peccatori di Ryan Coogler, un action-horror in costume nato da un’idea originale, vietato ai minori, esemplare di un genere di film ormai basati quasi solo su brand consolidati, è il secondo film di maggior incasso dell’anno negli Stati Uniti, subito dopo una di quelle miniere d’oro di IP per bambini. I peccatori ha reso Coogler uno dei cinquanta registi con i maggiori incassi di sempre, dopo aver diretto il franchise di Black Panther della Marvel, la trilogia di Creed dall’universo cinematografico di Rocky e il suo primo lungometraggio, Prossima fermata Fruitvale Station, un ritratto della vita di Oscar Grant, vittima della brutalità poliziesca, scritto anch’esso da Coogler.

Nei Peccatori, Coogler ha attinto alla tradizione dei vampiri e alla passione di un amato prozio per il blues del delta del Mississippi per tracciare i confini tra l’esperienza afroamericana, il passato, il presente e il futuro, ambientato in una torrida giornata del 1932 a Clarksdale. Sebbene venerasse l’amore che il suo defunto prozio James Edmonson nutriva per artisti come Albert King e Buddy Guy, il blues richiedeva un grande studio da parte del regista e sceneggiatore, la cui vita era stata segnata dal rap. Proprio come nell’hip-hop in senso più ampio, nei Peccatori il blues è la colonna sonora di sfida, dolore, gioia e solidarietà per una schiera di persone di colore sottoposte ai veri orrori di un razzismo abietto. «È una storia di echi che si scontrano tra loro», dice Coogler del suo film.

«Il blues è il punto di ingresso del film per me, ma se il blues è stato il punto di ingresso, l’hip-hop è stata la macchina che stavo guidando», racconta Coogler a Rolling Stone in una videochiamata Zoom dal suo ufficio di casa a Oakland. È nato lì nel 1986, mentre la leggenda locale MC Hammer continuava a fare scalpore, il gangsta rap suscitava intrigo e sgomento a livello nazionale e Tupac, adottato da Oakland, era sulla buona strada per diventare uno degli artisti più influenti di tutti i tempi. «Per ogni genere musicale che incontro nella mia vita, l’hip-hop è ciò che considero mio. È la mia lingua madre. E quindi, per sentirmi davvero in grado di realizzare questo film, ho dovuto capire davvero che il blues era l’antenato dell’hip-hop».

Coogler afferma di essere arrivato a considerare il blues come il gangsta rap della sua epoca, ricco di storie di morte e sopravvivenza. La spietata attività dell’archetipo del gangsta rapper pervade i protagonisti dei Peccatori, i gemelli Smoke e Stack, entrambi interpretati da Michael B. Jordan. Pur non essendo musicisti, sono sopravvissuti alla Prima guerra mondiale e hanno raggirato Al Capone nella Chicago malavitosa, prima di tornare a Clarksdale e aprire un juke joint dove la comunità mezzadrile locale poteva godersi il blues dal vivo. Il denaro, tuttavia, è il movente dei gemelli, che sono pronti a contrattare, intimidire e persino a fare del male a chiunque si metta sulla loro strada.

Nel film, Coogler articola con chiarezza i legami tra il blues, l’hip-hop e la musica africana che li ha preceduti in un montaggio di danza soprannaturale coreografato da Aakomon Jones, che si unisce a noi nella videochiamata Zoom. «Molti di noi conoscono il blues grazie all’hip-hop», afferma Jones. «Conosciamo il funk, il jazz, il rock’n’roll, e poi arriviamo all’origine di tutte queste cose: tutto nasce da una diaspora africana».

Nel montaggio, un altro protagonista, Sammie “Preacher Boy” Moore, interpretato dall’esordiente Miles Caton, è in grado di evocare gli antenati e la progenie di tutti i presenti nella stanza con la sua straordinaria abilità musicale di erede della tradizione griot dell’Africa occidentale. Mentre prende la chitarra e canta I Lied to You sulla disobbedienza al padre pastore per suonare il blues, è misticamente accompagnato da un uomo africano anziano che strimpella un liuto. Un danzatore con la corazza di ciprea, elaborate maschere e batteristi emergono. Un chitarrista elettrico spaziale, in stile Parliament-Funkadelic, appare accanto a lui. In un’unica inquadratura, la pista da ballo del bluesman si riempie di neri provenienti dal futuro: b-boy, donne che twerkano in gonne da tennis e gangster della West Coast che ballano. Sintetizzatori G-funk e bassi trap si fondono con la canzone di Sammie. «Con questo rituale», racconta Delta Slim, un bluesman anziano che fa da mentore a Sammie, «guariamo il nostro popolo e diventiamo liberi».

Sinners | I Lied To You Song | Movie Clip | Warner Bros. Entertainment

«Per me, quella scena è la mia vita», dice Coogler, che avvicina il suo iPhone alla telecamera del computer per mostrarci le riprese della recente festa di compleanno di sua moglie Zinzi. Zinzi Coogler, uno dei produttori dei Peccatori, ha compiuto 40 anni il giorno prima dell’uscita del film ad aprile, e hanno festeggiato con una festa all’aperto, al sole. Mostra una foto di sé e di Zinzi incinta che si lanciano con stile sullo scivolo Casper, bassi a terra, con la madre e la sorella dietro di loro. In un’altra, balla dietro la nonna 96enne, sorridente dalla sua sedia a rotelle, tenendosi per mano con altri familiari. In un’altra ancora, la figlia di suo zio James tiene in braccio un cuginetto neonato. Scorre le foto del figlio con una macchina fotografica (Coogler dice che il ragazzo ha deciso di scattare foto da solo) e di sua figlia che abbraccia il fratello. «C’è stato un periodo negli anni ’90 in cui eravamo così ogni fine settimana, proprio quello che succedeva al juke joint», dice Coogler.

«Questo Paese si è impegnato a dividere i miei antenati, ogni volta che ciò risultava economicamente vantaggioso per alcuni», afferma a proposito dell’importanza di rintracciare questi echi passati. «Ho una famiglia che era molto intergenerazionale da quando la schiavitù è stata abolita. Sono fuggiti dal Sud di Jim Crow. Ci impegniamo a restare uniti. Non potrei giustificare [fare] un film con vampiri che mordono il collo delle persone senza mostrare questa parte di me; mostrare queste persone – persone che hanno avuto la fortuna di nascere e morire nel pieno della mezzadria, delle leggi sulla mescolanza razziale e di queste politiche massacranti, disumanizzanti e razziste – con i loro discendenti che si divertono. La musica è magica. Era il lato A del lato B di tutto il resto. L’hip-hop ha il suo posto in tutto questo».

«Ero tipo: “Mi avevi già convinto al ciao!”»

Il montaggio soprannaturale è un’unica ripresa fluida e continua che attraversa il set. Sebbene I peccatori sia un film sui vampiri emozionante di per sé, quello che rende un primo appuntamento perfetto, dice Coogler, ha anche lavorato duramente per riempirlo di dettagli che evocassero il passato e il presente. «Volevo che sembrasse il più vicino possibile a un grande disco blues», dice. «La cosa che ho scoperto studiando è che un grande disco blues non invecchia mai. Ogni volta che lo ascolti, scopri cose nuove». Afferma che questo tipo di tecnicismo nell’arte nera è spesso sottovalutato. «Ecco perché mi piace suonare con Aakomon, vedere come scompone i movimenti. Quando è fatto bene, il moonwalk sembra facile, ma se ci provi, ti rendi conto: “Tutto questo è incredibilmente tecnico e artistico”. A un occhio immerso nell’osservazione gerarchica occidentale, può sembrare molto facile e trascurabile».

Coogler ha detto di aver sempre messo allusioni all’hip-hop nella sua sceneggiatura, fin dalla prima bozza. Jones dice di ricordare ancora la prima conversazione che lui e Ryan hanno avuto sulla scena, mentre il regista cercava di convincerlo a collaborare per la coreografia del film. «È stato il più descrittivo possibile, ma anche criptico e riservato, ma mi ha anche fornito le informazioni di cui avevo bisogno per iniziare a pensarci nel modo giusto. Mi ha detto: “Non è un musical, ma c’è parecchia musica e danza che si inseriscono naturalmente nell’ambiente in cui si svolge la storia, e anche un elemento fantascientifico perché, attraverso la musica e la danza, le persone si collegano tra loro di generazione in generazione”. E io: “Cazzo! Mi avevi già convinto al ciao (una citazione da Jerry Maguire, ndt)”».

Per il montaggio, la coppia ha ripensato a danze che, nel corso dei decenni, potrebbero essere ricondotte a movimenti africani più tradizionali. «Ho avuto modo di attingere alle danze griot dell’Africa occidentale e alle danze zaouli della Costa d’Avorio. Ho avuto modo di fare un po’ di jookin’ di Memphis. Ho avuto modo di rappresentare certe bandiere e colori della costa occidentale. All’improvviso, si è aperto un portale verso ogni dannato riferimento culturale che si possa desiderare mettere sotto lo stesso tetto», dice Jones.

Ma Coogler voleva anche che la scena risultasse inizialmente imbarazzante per alcuni spettatori. «Per chi conosce tutto questo, per il mondo accademico che si occupa di cultura nera, la reazione sarebbe stata una cosa come: “Perché questo film mi sta dicendo qualcosa che so già?”, oppure: “Adoro che stiano mostrando tutto questo”. Credo che ci siano certe danze di fronte a cui la gente potrebbe avere una reazione viscerale, come vedere una ragazza che twerka, e altre che possono dividere il pubblico», dice, apparentemente insinuando il modo in cui lo scuotimento del sedere può essere visto come osceno. «Questo mi ha entusiasmato: mettere in risalto cose che per la maggior parte delle persone non dovrebbero stare una accanto all’altra, ma che nel mondo del film dovrebbero assolutamente esserlo».

Uno dei richiami più forti del film, dal blues all’hip-hop, è il modo in cui il juke joint, la sua musica e la sua cultura vengono vilipesi dal padre di Sammie, prefigurando i veri cattivi che arriveranno. Prima che Sammie se ne vada nella notte, il pastore, interpretato da Saul Williams, denigra il blues come diabolico e il juke joint come un posto per “ubriaconi e donnaioli che si sottraggono alle responsabilità verso le loro famiglie per potersi sudare addosso a vicenda”. Non è fuori strada. Il posto è inondato di alcol, infestato dal gioco d’azzardo e pieno di amanti sulla pista da ballo e che si baciano nei magazzini. Sembra che il pastore lo veda come una seria deviazione dal retto cammino del cristianesimo, un mezzo per raggiungere la libertà a cui anelano i personaggi principali. Sammie e i suoi simili, invece, trovano una fugace libertà nel blues.

Allo stesso modo, l’hip-hop è emerso come luogo di libertà, in particolare nel Bronx negli anni ’70, quando c’era una disoccupazione dilagante, una rete di sicurezza sociale in contrazione, incendi dolosi e criminalità. Spesso esclusi dalle discoteche del centro, i giovani locali crearono i propri luoghi di ritrovo, spiegano gli esperti nel documentario di Chuck D, Fight the Power: How Hip Hop Changed the World. Ma se da un lato il rap ha lasciato spazio all’ego, dall’altro ha sempre ispirato panico morale, da Fuck Tha Police a W.A.P. Coogler ha affermato che i suoi genitori non volevano che comprasse certi dischi da bambino, e durante l’amministrazione Reagan, quando la musica rock scatenò accese udienze al Senato, i dischi rap finirono per essere più facilmente etichettati con nuovi adesivi che avvertivano i genitori sui “danni” del rock. Le star dell’hip-hop di quando Coogler era ragazzo come NWA, Ice-T, 2 Live Crew e Too Short furono perseguitate dal governo, accusate di promuovere oscenità e violenza. E mentre alcune di queste critiche sembravano intrise di politiche sulla rispettabilità bianca, l’attivista per i diritti civili C. Delores Tucker si è anche schierata contro la misoginia e la violenza del gangsta rap, ispirando commissioni congressuali sui testi rap. Lì, il giornalista Nelson George ha difeso il genere, osservando che anche se ci liberassimo del rap più esplicito, tutte le dure condizioni che rifletteva esisterebbero ancora.

«È sempre demonizzato, amico, qualsiasi cosa facciano i giovani», dice Coogler a proposito dei parallelismi tra la denigrazione del blues e del rap. «È una cosa umana. Non è solo una cosa nera». E, aggiunge, il padre di Sammie non si sbagliava sul loro destino. «Guarda, se togli i vampiri, tutti quelli che erano in quel juke joint erano condannati», aggiunge, accennando alla rivelazione che il Ku Klux Klan aveva pianificato di massacrare la gente che faceva festa prima che potessero farlo i vampiri. «Nessuno nel film ha torto o ragione in modo binario. È un pericolo per tutte le forme di musica».

«Il film parla essenzialmente di un sentimento che viene mercificato»

Coogler pensa che anche lo sfruttamento che gli artisti hanno storicamente affrontato sia stato pericoloso. Con l’ascesa dell’hip-hop come potenza commerciale, ha offerto a una manciata di rapper la promessa di ricchezza, potere e influenza, a volte in una sorta di patto faustiano. Kendrick Lamar ha alluso al suo periodo nell’industria musicale come a una danza con Lucifero in uno dei suoi lavori più politicizzati, To Pimp a Butterfly, riecheggiando la leggenda del musicista blues Robert Johnson, che si dice abbia venduto l’anima al diavolo per diventare uno dei più grandi chitarristi della storia. Il patto faustiano è una premessa su cui Coogler si è concentrato nei Peccatori, che emerge chiaramente nella promessa dell’antagonista Remmick di un paradiso post-razziale per i juke-jointer, a patto che diventino vampiri al suo fianco.

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«Non importa se sei abbastanza bravo con la musica, qualcuno verrà a sfruttarti o peggio», dice Coogler. «Se sei abbastanza bravo in qualsiasi cosa». Fa un cenno a Jones. «Aakomon, tu sei un ballerino e coreografo di talento, quante volte dei figli di puttana ti hanno attaccato di traverso, quando ti hanno sfruttato o ti hanno esposto a qualcosa che potrebbe farti del male?». Jones risponde senza problemi: «Certo».

Studiando il blues per I peccatori, Coogler è riuscito a tracciare una linea di demarcazione tra la storia dell’industria musicale e la sua, quella cinematografica, attraverso quelle che definisce le «origini razziste del genere». Dice oggi: «Se si torna indietro nel tempo, si scopre che tutta la musica nera veniva considerata “razziale”. Se una persona bianca canta una canzone e una persona di colore canta la stessa canzone, stesso testo, stessa musica, stessa struttura, stesso tutto, prenderanno la canzone nera come un pezzo sulla razza». Sebbene, a partire dal blues, i neri siano stati i progenitori di quello che sarebbe poi diventato noto come rock’n’roll e country, queste distinzioni – e i loro benefici – erano riservate agli artisti bianchi. «Chi viene pagato?», chiede Coogler, retoricamente. «Chi va in tour? Cosa passa su quali onde radio? L’industria cinematografica è legata al mondo della musica. È un’industria più giovane. Quando è nato il cinema, i produttori guardavano al mondo della musica e dicevano: “Ok, bene, cosa possiamo fare di simile?”».

In superficie, gli elementi vampireschi del film – soprattutto il leader irlandese bianco Remmick, che desidera ardentemente Sammie per le sue magiche capacità musicali – sembrano richiamare il modo in cui gli artisti e la musica neri sono stati sfruttati nel tempo, in un’industria guidata da dirigenti bianchi che si rivolgono al pubblico bianco e alle proprie tasche. Faccio presente questa osservazione a Coogler, collegandola in particolare all’hip-hop, dove gli artisti sono stati bloccati in contratti disastrosi, incentivati ​​contro il rap radicale e hanno visto le loro controparti non nere prosperare in modi spesso irraggiungibili per loro.

Eppure Coogler afferma di aver lanciato una rete ancora più ampia. «Mi sono detto, in questo film, che non mi sarei addentrato così tanto in allegorie specifiche o cose del genere», dice. «Cercavo di comunicare un sentimento più che un’allegoria specifica. Il film parla essenzialmente di un sentimento mercificato». Accenna alla premessa del juke joint, un luogo in cui Smoke e Stack potevano arricchirsi sfruttando il bisogno di sfogo della loro comunità. «Non sono i vampiri a farlo; il vampiro non chiede soldi a nessuno per un sentimento», dice. «Ero molto interessato ai gemelli. Chi sono i veri vampiri in questo film? Chi è stata la prima persona a riconoscere i doni di Sammie e a vedere dei soldi? Chi fa davvero paura? Doveva essere un affresco di cui i vampiri facevano parte».

I peccatori, tuttavia, chiarisce che la caccia al denaro in giro per il mondo dei gemelli nasconde in realtà una ricerca della propria libertà. Qualcosa di simile vale anche per Remmick, un immigrato irlandese che ha perso la sua gente, le sue tradizioni e la sua capacità di agire a causa del brutale colonialismo. «Cercava persone con cui potersi identificare», dice Coogler. «La musica non è l’unica cosa che risuona come un’eco. Tutto riecheggia. Quando le persone vengono sistematicamente sfruttate, quello sfruttamento riecheggia. È più probabile essere truffati in un posto dove ci sono molte persone che sono state truffate. La gente sa cosa si prova a essere dall’altra parte».

Da Rolling Stone US