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Dylan Southern: «Il documentario sul tour degli Oasis sarà un film enorme»

Abbiamo incontrato il regista dell’‘Ombra del corvo’ (con protagonista Benedict Cumberbatch). Che, subito dopo, si è messo in viaggio con i Gallagher per realizzare il doc sulla loro gloriosa reunion

Foto: Shane Anthony Sinclair/Getty Images for BFI

Purtroppo, nel marasma della distribuzione italiana, alcuni film meritevoli passano più inosservati di altri. È successo per esempio a L’ombra del corvo, film britannico tratto dal romanzo di Max Porter Il dolore è una cosa con le piume, storia di un uomo appena rimasto vedovo, padre di due bambini, che non riesce a scendere a patti con il dolore della perdita, che si materializza in un corvo alto due metri e mezzo che diventa suo confidente, torturatore, protettore. Una storia all’apparenza cupissima, in realtà raccontata con grande equilibrio narrativo dal regista Dylan Southern, alla sua opera prima di finzione dopo una lunga carriera nel documentario musicale e nei videoclip. Supportato da Benedict Cumberbatch, protagonista del film e anche produttore, Southern ha realizzato un film particolarissimo, uscito nelle sale italiane lo scorso 11 dicembre dopo un passaggio al Torino Film Festival, purtroppo piuttosto inosservato come accade a gran parte dei film nel nuovo corso della manifestazione sabauda.

Allora Dylan Southern me lo sono andato a scovare da solo a Londra, anche per estorcergli qualche informazione sul suo nuovo progetto, ovvero Oasis 25 (titolo provvisorio), il documentario sul trionfale ritorno dei fratelli Gallagher sui palchi di tutto il mondo, di cui è regista insieme a Will Lovelace.

Dylan, cosa ti ha colpito del romanzo di Max Porter, sospeso tra prosa e poesia?
Proprio questo. Non ho mai letto nulla di così insolito nel modo in cui è stato scritto. Mi fu regalato da un amico la settimana in cui è uscito. Non me l’ha dato pensando che avrei voluto farne un film, ma perché sapeva che tipo di scrittura mi piace. L’ho letto e sono rimasto sbalordito dal modo in cui Max tratta un argomento importante in un modo che non avevo mai visto prima. Ho vissuto alcuni lutti da adolescente e non li ho affrontati in modo appropriato. Penso che il libro di Max mi abbia aperto gli occhi su cose a cui non avevo pensato. Mi ha dato un nuovo modo di guardare al dolore. Quando l’ho letto per la prima volta ho pensato che fosse impossibile da trasporre sul grande schermo, ma ho continuato a pensarci e a immaginarlo nella mia testa, poi sono riuscito a ottenere un incontro con Max circa due settimane dopo averlo letto. Non avevo un piano, gli ho semplicemente detto quanto mi fosse piaciuto il libro. Se avessi dovuto trasformarlo in un film, avrei voluto proteggere ciò che rende speciale il libro e Max era d’accordo sul fatto che potessi essere io a realizzarlo. Da lì siamo partiti, e lui è stato coinvolto nel progetto come mentore e consulente negli ultimi 10 anni.

Nel film hai scelto una graphic novel per rappresentare il Corvo e il dolore. Perché?
Un paio di ragioni. Una era che nel libro Papà è un accademico e sta scrivendo una tesi sulla poesia The Crow di Ted Hughes, ma stare seduto davanti a una macchina da scrivere non è molto cinematografico, mentre i disegni sono la maniera per connettersi psicologicamente con Papà attraverso i suoi disegni. E poi Max nel libro non poteva citare esplicitamente Hughes, e questo era un problema con gli eredi di Hughes. Quindi volevo solo trovare un modo visivo per vedere cosa succedeva internamente, e anche per definire Corvo, questo personaggio che sarebbe apparso nella vita della famiglia.

Quando Benedict Cumberbatch ha deciso di partecipare al progetto?
Ho opzionato il libro 10 anni fa, e ho fatto tutto ciò che a un regista viene detto di non fare. Ho speso i miei soldi per realizzarlo. Prima di avere un produttore, prima di avere qualsiasi cosa, ho pagato per lo sviluppo e le opzioni, e mi sono indebitato. Quindi è diventata un’ossessione e una necessità. Quando ho coinvolto i miei produttori, ho sentito che Benedict era un grande fan del libro di Max, quindi gli ho mandato la sceneggiatura, che a quel punto era pronta. Si tratta di un film indipendente a basso budget, quindi non mi aspettavo di poterlo avere. Pensavo che avrei aspettato mesi e poi avrei ricevuto un cortese rifiuto. Invece mi ha risposto in due settimane e ha voluto incontrarmi, abbiamo discusso del progetto e poi è entrato a far parte del team come produttore. È stato circa tre anni fa.

Benedict Cumberbatch in ‘L’ombra del corvo’. Foto: BFI/Film4

Nel film ci sono molti generi che si fondono, potrebbe essere un horror, un dramma familiare, e anche una commedia per il modo anche goffo che Papà ha di affrontare il dolore.
Lo scopo del film era catturare la magia del libro, il dolore in sé è piuttosto frammentato e disarticolato. Puoi ridere un momento e poi improvvisamente ricordarti che lei non c’è più, ma devi comunque andare avanti con le cose di tutti i giorni, come preparare la cena ai bambini mentre sei nel vortice della disperazione. Il punto centrale del film sono proprio questi cambiamenti di tono, e ci sono alcuni aspetti assurdamente comici del dolore che ho voluto includere nel film. Guardarlo con delle aspettative perché ha elementi horror, per esempio, non è la cosa più giusta, perché l’arco narrativo è emotivo, non guidato dalla trama. I personaggi sono archetipi. C’è il padre, ci sono i figli e c’è il Corvo. E lo scopo è di trasmettere emozioni.

Il modo in cui il protagonista affronta il dolore è tipicamente britannico.
Noi maschi britannici siamo molto repressi emotivamente, era importante rappresentarlo. Una delle cose che ho amato del libro è che ha mi ha fatto guardare alla gestione del dolore in un modo che non avevo mai considerato prima.

Corvo è fantastico. Come lo avete realizzato?
Tutto è partito dalla voce. Mentre scrivevo la sceneggiatura, l’unica che mi veniva in mente era quella di David Thewlis in Naked di Mike Leigh. È un personaggio ripugnante, ma vuoi ascoltare tutto quello che ha da dire. Corvo si poteva fare in molti modi diversi, ma non volevo fosse in CGI. Volevo una presenza fisica, con cui i bambini potessero interagire e con cui Benedict potesse recitare. C’è una scultrice che adoro, Nicola Hicks, un’artista che realizza queste incredibili sculture metà uomo e metà bestia, e ho sempre voluto coinvolgerla. Ho passato circa due anni a cercare di incontrarla perché era sempre molto impegnata. Ma quando abbiamo parlato ha accettato subito e ha progettato il modello proprio come l’avevo immaginato. Ma poi abbiamo dovuto capire come trasformarlo in qualcosa che un attore potesse indossare. Così ho collaborato con una società chiamata Creatures Inc. e con Connor O’Sullivan, che ha lavorato con Ridley Scott nei film di Alien. Lui e il suo team hanno iniziato il processo di trasformazione della scultura in un costume indossabile, composto da protesi e teste animatroniche. Poi abbiamo dovuto trovare un attore che lo indossasse. Eric Lampert è un attore di incredibile talento e ha offerto la sua fisicità al personaggio. La versione finale di Corvo è quella disegnata sulle pagine dell’opera di Papà. L’artista che l’ha realizzata si chiama Lucy Sullivan, una fumettista di cui apprezzo molto il lavoro. Quando l’ho contattata ho scoperto che vive a quattro isolati da me. È successo durante il Covid. Abbiamo fatto molte passeggiate nel cimitero vicino a casa, parlando di Corvo, questo personaggio creato da un gruppo di persone di grande talento.

La musica è essenziale per te. Come hai scelto il compositore e definito il tono per la colonna sonora?
Abbiamo cambiato compositore piuttosto tardi, perché quello originale non funzionava bene. Ho lavorato con Zebedee Budworth in altri progetti, è un musicista e compositore brillante. Improvvisa Drone Music con altri musicisti a Sheffield, ho pensato che in quel suono ci fosse qualcosa di interessante per il film. Ho trascorso molto tempo in studio con lui, ma abbiamo anche viaggiato per fare ricerche. Volevo inserire un gamelan, che è uno strumento indonesiano piuttosto raro, ne abbiamo trovato uno alla York University. Per eseguire un brano su un gamelan servono 12 persone, quindi anche io ho partecipato alla registrazione. L’altra musica che è nel film, quella specie di sgocciolio, era già pronta dalla sceneggiatura. Infine bisognava trovare una playlist che combaciasse con tutto, e ho scelto della musica che pensavo mio padre avrebbe ascoltato. Alcuni brani sono piuttosto specifici, come il pezzo di Bonnie Prince Billy che mette più volte per cercare consolazione, o In Between Days dei Cure, una di quelle canzoni che trovi accendendo la radio che rispecchia il tuo stato d’animo e da cui non puoi sfuggire.

Gli Oasis dal vivo a Chicago, agosto 2025. Foto: Joshua Halling

A proposito di musica, parliamo di Oasis 25. Hai lavorato molto nel mondo della musica in passato. Sono stati i fratelli Gallagher a contattarti o eri tu interessato a realizzare un film sul tour?
Non avevo intenzione di fare un altro documentario musicale. Ne ho realizzati tre, sono stati il percorso attraverso il quale ho costruito la mia carriera, ma la mia ambizione è sempre stata quella di realizzare film narrativi. Ma poi ho ricevuto una telefonata dai produttori che mi hanno proposto di dirigere il documentario sugli Oasis, insieme a Will Lovelace. Era un’occasione troppo grande per rifiutarla, poter partecipare al più grande evento culturale del 2025. Quindi ho cambiato rapidamente idea.

Come sta andando? Il tour è stato un trionfo. Hai seguito i fratelli Gallagher in molte date, in molti Paesi?
Sì, sono tornato da qualche settimana da San Paolo, e prima ancora sono stato in Argentina, Corea del Sud e Los Angeles. Abbiamo fatto la maggior parte dei concerti nel Regno Unito ed è stato fantastico. Sono rimasto sopraffatto dal livello di emozione e da quanto il pubblico sia la vera star di questo tour, credo nessuno si aspettasse il livello di emozione che è stato generato e ciò che ha significato per le persone, è stato davvero incredibile, travolgente. Ho lavorato tantissimo con Liam e Noel. Non posso parlarne troppo, ma è stato un viaggio incredibile. Siamo stati con loro dalle prove fino all’ultimo concerto del tour. È stato un progetto da sogno su cui lavorare. È andata meglio di quanto pensassi.

Non so se c’è una data di uscita fissata, al momento siete ancora in fase di post-produzione.
La portata del film è enorme. Abbiamo girato, se non ricordo male, per trenta giorni durante le prove, sempre con più camere, e anche i dodici concerti sono stati girati tutti in multicamera, e oltre questo materiale ci sono tantissime altre cose che devono far parte del documentario. Quindi il montaggio sarà un’impresa enorme. Uscirà certamente nel corso del prossimo anno, vedremo quando.

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