Lasciate che sia Spike Lee a far esplodere il tipico remake ad alto rischio. Il suo nuovo film, Highest 2 Lowest (su Apple TV+ dal 5 settembre), trasforma il classico di Akira Kurosawa del 1963, Anatomia di un rapimento (in inglese High and Low), in un’avventura chiassosa, attuale e spassosa (con Denzel Washington, Jeffrey Wright e A$AP Rocky), meravigliosamente stridente quanto un assolo di sassofono dissonante. In una recente chiamata da New York, Lee stesso invoca l’analogia: «Denzel e io in questo film siamo musicisti jazz. Rispettiamo Julie Andrews che canta My Favorite Things. Ma quando John Coltrane l’ha fatto, capisci, o quando Miles ha fatto la sua versione standard di My Funny Valentine, è un’altra cosa. Ed è per questo che io lo definisco una reinterpretazione e non un remake».
Lee, ovviamente, ha riposizionato il nostro mondo – sempre con effetti provocatori – per quasi quarant’anni. Sin dal successo indie del 1986 Lola Darling, il suo umorismo anticonformista e la sua prospettiva peripatetica hanno infuso nei suoi personaggi una grazia saliente e pseudo-eroica, mettendo in primo piano nozioni aperte di identità nera che risultano estremamente riconoscibili. Eppure, rifiuta l’idea di essere un visionario. «Guarda, la gente dirà quello che vuole, ma la mia scelta sarebbe narratore», dice.
Quelle storie sono incredibili. Più di qualsiasi altro regista del suo genere, Lee ha portato con tenacia la sensibilità del cinema d’autore nel mainstream. I suoi film più avvincenti parlando di persone comuni che vivono la propria vita in una dinamica cecoviana, da destino in minuscolo. C’è un aspetto pittorico in ognuno dei suoi film, dove una silenziosa trascendenza si sposa con una sfrontatezza fuori dal comune.
Highest 2 Lowest continua a dare continuità a questa tensione, offrendo agli spettatori un tesoro cinefilo e un simpatico eroe del Bronx nell’interpretazione di Washington, David King, un magnate della musica il cui status e la cui ricchezza fanno di lui e della sua famiglia la preda di un rapitore ossessivo. Rolling Stone ha parlato con Lee della sua interpretazione di questa storia, del lavoro con Denzel e A$AP, dell’incontro con Kurosawa e non solo.
Che cosa pensi che la tua visione artistica tiri fuori da una grande star come Denzel?
Non ho… Quello è lui. Quello è D. Sai, ecco la cosa, però. Lui è la star. Lui è Jordan e io sono Pippen (ride). Ma siamo una squadra. Sai, questo è il nostro quinto joint insieme, in ordine: Mo’ Better Blues, Malcolm X, He Got Game, Inside Man, che è stato fatto — e non sembra – 18 anni fa. Denzel ha detto la stessa cosa. Ma non c’era… non dovevamo reimparare. Voglio dire, era come fosse stato ieri. Sono solo felice che abbiamo potuto rifarlo.
L’idea classica del leading man sembra quasi opposta al tuo lavoro. Sei d’accordo?
Non penso sia così. Capisco cosa vuoi dire, perché ho avuto molto successo con i film corali… Ma anche i cinque film che ho fatto con Denzel hanno avuto molto successo. Quindi mi lascio trasportare dalla corrente, capisci? E, insomma, non può mica andare tutto a puttane (ride) con Denzel in uno dei miei joint. Devi fare quello che devi fare.
Questa volta hai affrontato un gigante, rivisitando Anatomia di un rapimento di Akira Kurosawa. Perché hai scelto di reinterpretare questo film?
Una delle ragioni per cui amo questo joint di Kurosawa è che affronta il tema della moralità. Cosa fanno le persone quando si trovano in certe situazioni? Bisogna ricordare che lo scrittore Ed McBain [pseudonimo di Evan Hunter, nato Salvatore Lombini] aveva scritto il romanzo (King’s Ransom, da cui Anatomia è tratto). Quindi prima è stato un romanzo americano, poi Kurosawa l’ha adattato per il cinema. Io ci tenevo davvero a chiarire che questo non è un remake. È qualcosa di più. Allo stesso tempo, rispetta la fonte, il libro e il film. Kurosawa è uno dei giganti del cinema, ed è uno dei miei registi preferiti — e l’ho anche incontrato! Sai, io sono un collezionista, e una delle cose che custodisco più gelosamente è un bellissimo ritratto di Akira Kurosawa che lui ha autografato per me. E firmava i suoi autografi con un pennello intinto nell’inchiostro bianco. Quindi ho guardato quella cosa molte volte mentre giravo questo film (ride) Uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Il primo film che ho visto alla scuola di cinema, alla graduate film school della NYU — ed è lì che ho cominciato a scoprire il cinema del mondo — è stato Rashomon. È un film in cui c’è un omicidio e uno stupro, e lui, Kurosawa, porta lo spettatore a chiedersi chi stia dicendo la verità. Io ho usato quel presupposto per il mio primo film, She’s Gotta Have It. Abbiamo Nola Darling, che ha tre fidanzati, e i tre fidanzati raccontano chi sia questa donna. E lei, allo stesso tempo, parla di questi tre uomini che frequenta contemporaneamente».
Il film che ho visto per la prima volta alla scuola di cinema, alla New York University, dove ho avuto modo di cominciare a scoprire il cinema mondiale, è stato Rashomon. È un film in cui ci sono un omicidio e uno stupro e lui, Kurosawa, porta il pubblico a credere a chi sta dicendo la verità. Ho usato questa premessa per il mio primo film, Lola Darling. C’è la protagonista, che ha tre fidanzati, e i tre fidanzati raccontano chi sia questa donna. E lei, allo stesso tempo, parla di questi tre uomini che frequenta contemporaneamente.
Pensi che ci sia più pressione su di te nel rappresentare ciò che c’è di dignitoso e regale nell’esperienza black, e venderlo a una cultura più ampia?
No, non mi metto addosso quel tipo di pressione. E la comunità nera non è un gruppo monolitico. Non facciamo tutti le stesse cose né pensiamo tutti allo stesso modo. Quindi non mi sono mai arrabbiato, o almeno: ho cercato di non farlo. Sai, quando ricevo critiche da fratelli e sorelle… I miei fratelli e sorelle di Chicago, per esempio, non hanno gradito Chi-Raq (il film del 2015 di Lee ambientato a Chicago, ride).
Davvero?
«Be’, tu non vivi a Chicago. No, quel film proprio non è piaciuto.
Wow. Ha senso che tu dica che non stai facendo qualcosa nello specifico “per i neri” come fossero un blocco unico. Perché quell’idea, di per sé, sarebbe in contraddizione con ciò che hai sempre rappresentato. È sempre stato qualcosa di più ampio, più largo.
Noi siamo così diversi e così tante cose. Quindi, per me dire: “Sto facendo solo una cosa, esiste una sola versione delle persone nere”, questo… non penso sia intelligente.

Denzel Washington (David King) in ‘Highest 2 Lowest’. Foto: A24/Apple TV+
Pensi di essere più Jackie Robinson o Satchel Page?
È una domanda pazzesca quella che mi hai fatto. Lo dico perché mia figlia si chiama Satchel. E mia madre si chiamava Jackie, Jacqueline, quindi… (ride)… Ma credo che ci sia molto in quello che scegli di dare come nome a un figlio, capisci? E noi neri, e lo dico con il massimo rispetto, i nomi ce li inventiamo! (ride di nuovo).
Takisha, Shaquanda…
Oh, lo giuro su Dio! Ce li inventiamo davvero i nomi! (ride) Voglio dire, è quello che siamo. È quello che siamo. Lo faremo sempre… cioè, guarda… siamo creativi!
C’è una scena epica in Highest 2 Lowest in cui un inseguimento in metropolitana avviene nello stesso momento di una festa per la Puerto Rican Day Parade.
Quella è il mio omaggio al regista Billy Friedkin e al suo film Il braccio violento della legge con Gene Hackman. Quel film?… Whoo! L’ho visto al liceo! E la cosa buffa è che la grande sequenza in cui lui insegue la metro, la L train, comincia proprio dalla fermata della metro vicino al mio liceo. Quindi l’hanno girata mentre io ero al liceo, ma io ero in classe, nessuno sapeva che stessero girando quella scena mentre noi stavamo lì. E spero che la gente torni a guardarsi Il braccio violento della legge. Un film grandioso, gigantesco. Per favore, riguardatelo. Promettimelo, va bene?
Te lo prometto. Qual è il tuo ricordo più divertente o interessante delle interazioni di A$AP Rocky con Denzel sul set?
Per anni la gente, non solo io, ha detto che Rocky poteva sembrare il figlio di Denzel. Per anni! E io l’ho chiesto a Rocky. Lui ha detto: “Sì, è per via delle mie” — le sue orecchie che sono grandi. Quindi, avere l’onore e il piacere di vedere questi due sfidarsi in una scena… generazionale. Ma il punto è questo: Rocky non si finge un attore. Lui è un attore. E si è presentato pronto, perché sapeva che doveva esserlo. Non poteva semplicemente… questo è Denzel. Quindi la sua attitudine era tipo: “Anch’io ce li ho i coglioni!” (ride). E questo, per me, ha solo aumentato la forza del dramma tra i due nel film e dla situazione dei loro personaggi. Un conflitto generazionale, in aggiunta a tutto il resto che succede nel film.
Sì, Rocky ha davvero spaccato in quel ruolo, ci ha messo tantissima energia.
È stato autentico, vero?
Autentico da morire.
Voglio dire, Rocky viene da Harlem, uptown! (ride). E Denzel ha una tale presenza che alla gente cominciano a tremare le ginocchia se deve affrontarlo direttamente. Ecco quanto è potente Denzel. E se non ti presenti al massimo, vieni semplicemente travolto. Ma Rocky era tipo: “Fanculo!”(ride). Sai, è come nello sport: le partite migliori sono quelle combattute fino in fondo. Non c’è partita se una squadra straccia l’altra. Non c’è dramma lì! Ho ragione o no?
Hai ragione. Proprio come quest’ultima stagione dei Knicks.
Ehi, ehi, ehi, ehi, ehi, ehi. Vuoi un’ultima domanda?
Cosa ti aspettavi entrando in sala? Ti sentivi a New York mentre guardavi quel film?
Assolutamente.
Bene. Be’, esce oggi (ride)













