A volte, l’attrice premio Oscar Sandra Bullock ti dà spontaneamente dei consigli sulla carriera. Per la collega – anche lei vincitrice dell’Oscar – Da’Vine Joy Randolph, è stato proprio quel consiglio a convincerla ad accettare il suo ultimo film: Eternity.
«Ricordo che mentre giravo The Lost City con Sandra Bullock, lei mi disse: “Tieni sempre una commedia romantica nel tuo repertorio, nella tua agenda, nel tuo curriculum”», racconta Randolph a Rolling Stone. «E io le ho risposto: “Ne prendo nota, queen. Tu lo sai bene”».
Eternity segue le peripezie nell’aldilà di Larry (Miles Teller), un uomo che non se l’è passata male: ha sposato l’amore della sua vita Joan (Elizabeth Olsen), ha avuto figli, ha festeggiato la nascita dei nipoti e alla fine è morto dopo uno sfortunato incidente con un pretzel durante un gender reveal party. Ma quando Larry si sveglia, non si trova nel paradiso che si aspettava. Si trova invece in quello che sembra essere un bivio, e Anna (Randolph), la sua C.A. (onsulente dell’aldilà), gli dice che può scegliere l’aldilà che preferisce. Quando sua moglie Joan arriva poco dopo di lui, Larry è entusiasta all’idea di trascorrere l’eternità con lei. Ma c’è un grosso problema: il primo marito di Joan, Luke (Callum Turner), morto tragicamente in guerra in giovane età, è anche lui desideroso di trascorrere l’eternità con lei. Il film prende il tipico triangolo amoroso delle commedie romantiche e gli conferisce una posta in gioco che va ben oltre la vita o la morte.
Laureata alla Yale School of Drama, Randolph si è affermata a Hollywood come caratterista con una propensione a rubare la scena e diventare il cuore dei suoi progetti. Ha anche un acuto senso dell’umorismo, come dimostrano le sue apparizioni in High Fidelity e Only Murders in the Building, dove interpreta la detective Donna Williams, sempre esausta. Nel 2024 ha vinto l’Oscar come migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione in The Holdovers – Lezioni di vita nel ruolo di Mary Lamb, una cuoca che lavora in un collegio. (Non è stato solo la sua prova nel film a entusiasmare il pubblico, ma anche il suo discorso di ringraziamento commosso, che ha ricevuto una standing ovation). Con Eternity, ha preso un altro progetto e lo ha fatto suo. Il pubblico deve ringraziare Bullock perché – mentre Turner, Teller e Olsen infondono fascino, desiderio e romance, trasformando una premessa difficile in una commedia esilarante – è Randolph che riesce a mantenere la storia incentrata sulla speranza, con osservazioni toccanti su ciò che la vita ci riserva anche dopo la sua fine.
«Da attrice chiamata quasi sempre per ruoli da non protagonista, il mio lavoro è quasi come quello di un pugile sul ring: osservare ciò che fa il mio avversario e imparare come sostenerlo e incoraggiarlo, apportando anche qualcosa di mio. È un equilibrio davvero delicato», afferma Randolph. «Quindi è davvero necessario avere persone di talento [davanti], ma anche una buona intesa, altrimenti è difficile convincere il pubblico».
Randolph ha parlato con Rolling Stone del potere di una storia sull’aldilà, del suo amore per le commedie romantiche e del motivo per cui lei e Zoë Kravitz continueranno sempre a sperare in un’altra stagione di High Fidelity.
Cosa ti ha spinto ad accettare Eternity?
Avevamo appena finito di girare The Holdovers e i miei agenti mi avevano segnalato questo progetto, ma era ancora agli inizi. Poi mi hanno ricontattata quando il processo era già in fase avanzata. A quel punto, Miles, Callum ed Elizabeth erano già stati scritturati e la sceneggiatura era completa. Ho avuto una conversazione davvero piacevole con il regista [David Freyne] che, onestamente, ha influito molto sulla mia decisione. Era così esperto del mondo che stava costruendo. Aveva uno spirito collaborativo e una volontà di unire tutti i nostri talenti che mi hanno davvero entusiasmato. Ho avuto la grande fortuna di lavorare con persone leggendarie, ma spesso sono persone molto più grandi di me. A parte forse High Fidelity, era da molto tempo che non recitavo con altri attori della mia generazione. E prima di quel set avevo fatto cose più impegnative. Quindi mi son detta: “Dài, facciamo una commedia romantica leggera e brillante”.
Da’Vine Joy Randolph con Miles Teller in ‘Eternity’. Foto: Leah Gallo/A24
Qual è la tua versione ideale dell’eternità?
Ne ho creata una mia ed è una crociera di lusso sulla nave del Ritz Carlton o del Four Seasons, in cui giriamo il Mediterraneo e io posso scendere e fare delle gite. Mangio il cibo più buono che abbia mai assaggiato. Lungo il percorso incontro gli amici e ho a disposizione abiti eleganti, cibo di altissimo livello e servizi spa di prima classe. La vita è dura, quindi, tesoro, goditela al meglio nel Mediterraneo.
Com’è stato lavorare con il resto del cast?
Tutti hanno dato il meglio di sé. Abbiamo girato il film molto velocemente: credo siano stati 30 giorni in tutto. Quello che ho trovato bellissimo è che ognuno ha una voce e uno stile davvero unici. Lizzie [Elizabeth Olsen] è fortissima. Il modo in cui riesce ad accedere alle emozioni è sempre reale. Alcune ragazze piangono facilmente, ma lei è in grado di farlo ciak dopo ciak dopo ciak, il che mi ha completamente sbalordito. E poi Miles ed io abbiamo in comune il fatto di essere entrambi di Philadelphia. Abbiamo la stessa agente e ora la stiamo supplicando di trovarci altri lavori insieme.
Come riesci a conciliare il ruolo di supporting con l’istinto di Hollywood di relegare le donne nere a ruoli secondari e di spalla comica?
Hai assolutamente ragione, è così che funziona. Solo che io non sono d’accordo. È il modo più semplice in cui riesco a vederla. Da quando sono entrata nel mondo dello spettacolo, anche a Yale, il motivo per cui volevo andare all’università era perché volevo acquisire delle competenze, in modo da non dover fare affidamento sugli stereotipi per mantenere la mia carriera. Questo è stato un punto fermo per me da sempre. Voglio interpretare personaggi complessi e sfaccettati. Anche quando ti senti libero di essere te stesso, ci saranno certi “ismi” che verranno fuori naturalmente, perché io sono quello che sono. Credo fermamente che si possa rappresentare con tutto il cuore chi e cosa si è in base al proprio aspetto, e allo stesso tempo non doverlo fare in modo stereotipato, e che sarà comprensibile e piacevole per tutte le persone che guardano.
Freyne ha dichiarato in un’intervista che tu gli hai chiesto di togliere un monologo che rivelava molti dettagli sul passato del tuo personaggio. Ci spieghi come sei arrivata a questa decisione?
Tutto è iniziato quando gli ho chiesto: “Qual è il suo passato? Ho bisogno di saperlo”, perché inizialmente non era stato scritto. Avevo bisogno di quell’informazione per guidarmi. I personaggi neri hanno esigenze e scopi che vanno oltre l’aiutare il protagonista. Quindi, una volta che ne abbiamo parlato, penso che [Freyne] abbia iniziato a rendersi conto della necessità di inserire dei momenti che spiegassero perché lei è lì. Ho imparato che il pubblico è molto più intelligente di quanto pensiamo: dopo il boom di visioni durante la pandemia, sono tutti diventati spettatori professionisti. Io voglio sempre rispettare il pubblico e la sua intelligenza. Quindi ho detto: “Sarebbe bello avere giusto un momento. Non dev’essere un monologo completo”. Penso che abbiamo costruito abbastanza da poter trasmettere molto attraverso i miei occhi e il modo in cui faccio arrivare quel momento. Si può vedere il peso e forse il dolore che lei ha vissuto qui sulla Terra.
Il film è molto sincero riguardo a quale scelta romantica sarebbe più giusta sulla carta. Anche il tuo personaggio dice: “Cavolo, non so come si possa battere un uomo che ti ha aspettato per un’eternità”.
Mi piace questo aspetto del film, penso che sia un altro modo per coinvolgere il pubblico. Perché si sente partecipe. Ma Eternity celebra anche l’amore di tutti i giorni. C’è l’idea che l’amore folle ed eccitante sia fantastico, ma che anche quello “normale” abbia il suo valore.
Hai notato che la tua vittoria agli Oscar ha influito sui ruoli che ti vengono offerti o che accetti?
Recentemente ho visto un’intervista a Lupita Nyong’o, mia compagna di classe [a Yale], in cui diceva che qualunque sia l’ultima cosa che hai fatto davvero bene, l’industria continuerà a proportela. Subito dopo gli Oscar, per un bel po’ di tempo, mi sono stati offerti molti ruoli simili. La stessa cosa è successa con Dolemite Is My Name: non sapevo nemmeno che ci fossero così tante sceneggiature per film blaxploitation con attori comici. È stato pazzesco. Dopo The Holdovers, ho ricevuto molte più offerte per ruoli di infermiere o di persone che avevano perso un figlio, un marito o altro. Potevano anche essere ottime sceneggiature, ma ho comunque rifiutato.
Da’Vine Joy Randolph con Dominic Sessa in ‘The Holdovers – Lezioni di vita’ di Alexander Payne. Foto: Focus Features
Da dove pensi che provenga questa fretta?
Penso che sia paura. Se il settore fosse davvero in forte espansione, sarebbe diverso. Ma c’è l’idea che, se una volta un progetto ha avuto davvero successo, una cosa simile darà gli stessi frutti. Ma io sono sempre orientata verso nuovi lavori e alla creazione di nuove idee. Penso che ci sia un tempo e un luogo per tutto, ma non tutto deve essere rifatto o riproposto. Perché così si perdono tutti gli artisti emergenti e il loro talento. E quando si fa un remake, anche se lo sceneggiatore o il regista possono essere diversi, bisogna comunque seguire un modello prestabilito. Anche quando abbiamo fatto High Fidelity, ho scelto di non guardare il film perché sono una grande fan di Jack Black e non volevo in alcun modo che la mia interpretazione fosse contaminata. Volevo che fosse autenticamente mia. Ma ho sicuramente sentito la pressione del tipo: “Oh cavolo, la gente si aspetterà questo perché stiamo facendo un remake”. Il fatto che [la serie] fosse così diversa ha contribuito al successo di High Fidelity. Ma è raro. Spesso vedo [sequel] o remake realizzati vent’anni dopo e penso: “Ne avevamo davvero bisogno?”.
Ti piacerebbe che High Fidelity tornasse, visto che è stata cancellata dopo una sola stagione?
Assolutamente sì. La pensiamo tutti così. Zoë [Kravitz] e io ne parliamo continuamente, dicendo: “Come possiamo risolvere la situazione?”. Restituitela al pubblico, ma prima di tutto davvero a noi, perché la amiamo davvero. Ma è davvero complicato, perché è come cercare di catturare un fulmine in una bottiglia. A volte bisogna semplicemente lasciare che le cose seguano il loro corso naturale e avere fiducia nel processo…
Quanto del fascino di Eternity pensi derivi dal fatto che il pubblico è alla disperata ricerca di nuove commedie romantiche?
Questo è un aspetto importante. Ne abbiamo bisogno anche dal punto di vista karmico. Le commedie romantiche danno speranza, aspirazioni. Ti fanno credere in qualcosa. Per me, le rom-com danno le stesse vibrazioni, anche se diverse, di un film di Natale ben riuscito. Ne hai semplicemente bisogno. Hai bisogno di quelle emozioni. Perché la cosa bella dell’amore è la vulnerabilità. E c’è così tanto umorismo nelle commedie romantiche, legato a come le persone si comportano, agiscono e si presentano al mondo. È tutto molto comico, perché tutti farebbero qualsiasi cosa per amore. Ed è qualcosa con cui è facile identificarsi, indipendentemente dal proprio reddito o dal proprio aspetto. Tutti vogliono essere amati e sentirsi amati, e tutti hanno vissuto in qualche modo le vicende che si vedono sullo schermo.
Da’Vine Joy Randolph in ‘High Fidelity’. Foto: Hulu
Hai qualche film preferito che ami guardare o che pensi abbia ispirato la tua interpretazione?
Penso che Come farsi lasciare in 10 giorni abbia un copione e una regia perfetti. Ho appena fatto un’intervista con Graham Norton, c’era anche Kate Hudson e stavo impazzendo. Le ho detto: “Tesoro, hai fatto tante cose iconiche, certo, ma Come farsi lasciare in 10 giorni è il massimo!”. Non so perché, ma adoro in particolare le commedie romantiche ambientate a New York. Lì c’è sempre qualcosa che mi rende nostalgica e mi fa provare emozioni intense. Con quel film piango ogni volta. Ogni singola volta. È fatto così bene.
Chi guarda Eternity sarà ovviamente coinvolto in ciò che accade in questo triangolo amoroso tra Elizabeth, Calum e Miles. Ma quale percorso intraprende il tuo personaggio, Anna?
Direi che la cosa più importante che sta imparando è a investire di nuovo, a interessarsi di nuovo a qualcosa. Penso che quando la incontri per la prima volta, ti sembra che per lei sia come in Ricomincio da capo. Tiene la testa bassa, non presta molta attenzione a nulla, è molto ligia alle regole, timbra il cartellino dalle nove alle cinque e poi se ne va. Poi, quando arriva Larry [Teller], le si aprono gli occhi e lui la risveglia. Direi che lei ha una sorta di “storia secondaria romantica” con Larry, ma di tipo platonico. Si può avere un rapporto più profondo con un migliore amico che con il proprio partner. Si può amare il proprio partner, ma alla fine dei conti la vulnerabilità, il modo in cui Larry è in grado di esprimere ciò che vuole e ciò di cui ha bisogno è molto più significativo. E mi piace molto l’idea che lei intraprenda questo viaggio con lui.
Nel film, le persone arrivano all’eternità con l’aspetto che avevano nel momento più felice della loro vita. Qual è il tuo momento più felice?
È adesso. E penso che sia dovuto al fatto che sono una donna. Crescendo, ricordo che guardavo mia zia, mia madre, delle sconosciute, delle insegnanti… osservavo la loro femminilità e pensavo: “Voglio essere così anch’io”. Non sono mai stata una ragazza che sognava l’abito bianco. Da bambina non mi identificavo affatto con tutto ciò. Ho sempre aspirato alla femminilità, e credo che uno dei motivi per cui ti dico che oggi sono al massimo della felicità è che penso di possedere davvero la mia femminilità. Sto iniziando a spuntare alcune di quelle caselle dalla mia lista. Sono davvero orgogliosa di chi sono, di chi sto diventando e di come mi sto evolvendo. Questo non significa che la mia vita sia perfetta e che tutto sia semplicemente fantastico. Ci sono ancora degli intoppi. Lo dico perché penso che a volte le persone credano che solo ai personaggi famosi capitino cose fantastiche. No. Ognuno è speciale, ognuno ha dei doni e qualcosa da offrire. Mi piace molto questo aspetto di me stessa, il fatto che la donna che sto diventando sia vulnerabile e femminile ma allo stesso tempo forte, intransigente e sfrontata. Mi sembra un buon equilibrio.
