Intervista a David Lynch, la logica dei sogni e l'importanza di immaginare | Rolling Stone Italia
Interviste

Intervista a David Lynch: la logica dei sogni e l’importanza di immaginare

Abbiamo intervistato il regista di 'Twin Peaks' in occasione del Festival of Disruption, iniziativa della sua fondazione per diffondere la meditazione trascendentale: «Gli esseri umani amano viaggiare verso l'ignoto»

Foto di Hector Mata/AFP/Getty Images

Foto di Hector Mata/AFP/Getty Images

«È bellissimo», dice David Lynch nel backstage del Brooklyn Steel. Sta pensando a tutto quello che ha visto durante la prima edizione newyorkese del Festival of Disruption; è fermo su una sedia pieghevole, e per parlarmi si piega in avanti nel suo classico abito scuro. I capelli, un perfetto caos asimmetrico. Sembra in sintonia con la serata, e guarda dritto negli occhi il suo interlocutore.

Pochi minuti prima era impegnato in un talk per presentare la sua quasi-autobiografia Room to Dream e il suo corto What Did Jack Do?, girato nel 2014. Il suo sorriso tradisce l’orgoglio che prova per il successo del weekend appena trascorso.

La due giorni del festival ha portato sul palco Animal Collective, Flying Lotus, Jim James e Angel Olsen, insieme a una proiezione di Velluto Blu e conferenze con gli attori con cui ha lavorato per decenni: Kyle MacLachlan, Isabella Rossellini e Naomi Watts. L’evento, che tornerà a Los Angeles il prossimo ottobre, è una raccolta fondi della David Lynch Foundation, organizzazione impegnata per aiutare popolazioni a rischio attraverso la meditazione trascendentale.

«Innanzitutto mi auguro che la gente si diverta un po’», dice il regista, «e magari si informi a proposito dei benefici derivanti dalla pratica della meditazione trascendentale».

Foto via Facebook

Hai proiettato Velluto Blu e Psychogenic Fugue, un corto di Sandro Miller in cui John Malkovich interpreta molti dei tuoi personaggi. Sapevi che voleva il ruolo di Frank Booth, al posto di Dennis Hopper?

Oh, non lo sapevo. Sarebbe stata una scelta interessante, ma Dennis Hopper era nato per quel ruolo. Non ci sono discussioni.

Quindi non hai dovuto dirigerlo granché

Dennis disse una grande verità. Mi chiamò al telefono: «Io devo interpretare Frank Booth perché sono Frank Booth». Come sempre, buone e cattive notizie allo stesso tempo.

Vi sarete divertiti un mondo sul set

È stato fantastico

Isabella Rossellini ha detto che in una scena tagliata di Velluto Blu il suo personaggio, Dorothy, indossa scarpe rosse. Volevi citare Il mago di Oz?

Sì, era quella l’idea. Non so perché, è un film così magico. C’è qualcosa di speciale in quella pellicola.

Ha per caso a che vedere con i sogni?

Non saprei definirlo con certezza, ma sicuramente ha a che vedere con la frase: “There’s no place like home”.

Che ruolo hanno i sogni nelle tue idee?

Non granché, solo quelli a occhi aperti. Non mi è capitato spesso di trovare idee in quelli notturni, ma amo la logica dei sogni. E il cinema può mostrarla.

Velluto Blu è un buon esempio?
No. Quello che voglio dire è che il cinema può esprimere concetti astratti. Può dire cose per cui non ci sono parole. A volte, se sono fortunato, questo tipo di idee arriva nel bel mezzo della storia – idee difficili da esprimere a parole. Non devono necessariamente rispecchiare questa o quell’emozione, sono idee astratte che possono essere tristi come altro. Il linguaggio del cinema ha questo potere, può essere astratto e ovviamente anche molto concreto.

Ti sei mai chiesto cosa succede a Dorothy dopo l’ultima scena di Velluto Blu?

No, per me la fine è proprio quella (ride). I finali devono lasciare spazio ai sogni, ed è per questo che il mio libro si intitola Room to Dream. Quello che hai appena detto è una gentilezza, proprio così. Il cinema ti permette di immaginare il futuro della sua vita, e ognuno può farlo a modo suo.

L’hai fatto tu stesso per Twin Peaks: The Return. Come ti senti ora che è tutto finito?

Mi sento bene.

Ti piacerebbe continuare?

Non parlo di queste cose.

Stai lavorando a un nuovo film?

Sto lavorando ai miei quadri.

Guardando Velluto Blu ho notato che nel tuo cinema ci sono spesso inquadrature di strade, spesso di notte. Perché?

Viaggiare verso l’ignoto è una particolarità degli esseri umani, un’esperienza spaventosa, eccitante e piena di speranza. Ci sono molte ragioni diverse.

Tornando a Twin Peaks: come ci si sente sul set della Loggia Nera?

Io la chiamo “Red Room”. E quella sala è una sorta di giuntura. Può farmi sentire molto bene, o non così bene.

Ha un’aria stranamente confortevole
Sì, quelle sedie non sono male (ride).

Il festival è pieno di bella musica. Cosa ascolti di recente? 

Sinceramente… solo Junior Kimbrough, lo ascolto di continuo (ride)

C’è un suo album che ti piace particolarmente?

Ho una canzone preferita, All Night Long. È su YouTube. Mi piace quell’atmosfera, il modo in cui canta. C’è della verità.

Ricordo un’intervista degli anni ‘90 in cui dichiarasti che ti piaceva suonare heavy metal
(Ride) Mi piace il blues. Suono la chitarra a modo mio, al contrario e sottosopra. Uno dei miei figli è fissato con il metal.

E c’è anche in Cuore Selvaggio e Lost Highway

Assolutamente, i Rammstein. La troupe era fissata con i Rammstein. In Cuore Selvaggio invece ci sono i Powermad, poi Elvis e Gene Vincent e tanta altra musica diversa. E naturalmente Angelo Badalamenti.

Durante il tuo intervento al festival hai imposto di spegnere i telefoni. Cosa pensi del mondo di oggi, dominato dagli smartphone, dove tutti possono riprendere tutto e fare i registi?

È ok. È bello documentare gli eventi. Ho chiesto di spegnere i telefoni solo per la proiezione del film. Non è una bella cosa riprendere un film con l’iPhone e metterlo su Internet. La qualità sarebbe pessima, pessimo suono e pessime immagini. E poi è un furto. Non è una bella cosa.

Hai parlato delle tue passioni televisive: programmi di macchine e serie crime. Cosa ti piace in particolare?

Investigation Discovery, e cose del genere. È incredibile cosa riesca a fare la gente.

Che cosa c’è di speciale in Kyle MacLachlan? L’hai scritturato come detective ben due volte, in Velluto Blu e Twin Peaks
Il detective di Velluto Blu, Jeffrey Beaumont, è una sorta di “giovane Agente Cooper”. Ma io dico sempre: tutti sono detective. Tutti notano i particolari. Siamo sempre alla ricerca di indizi per scoprire quello che ci sta accadendo. È più difficile in quest’epoca, perché ci sono molti disturbi e la gente ha meno tempo per stare con se stessa. Il mistero è sempre stato importante per me, perché gli esseri umani vogliono conoscere la verità.

Forse è per questo che dici di osservare la quotidianità e immaginare…

Sì, è il flusso delle mie idee. Puoi chiamarla immaginazione, cioè idee in movimento. Osservi qualcosa e da quel qualcosa cominciano a sgorgare idee. Le idee sono tutto.

Altre notizie su:  David Lynch