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Dario Argento: «I politici? Una massa di ignoranti. I critici? Sono cambiati loro, non io»

Il ‘Maestro del brivido’, che sta vivendo una riscoperta internazionale dei suoi film, ci svela al BCT di Benevento, dove ha ricevuto il premio alla carriera, quello che non sopporta oggi. E i ricordi (leggendari) di ieri

Foto: Jeff Pachoud/AFP via Getty Images

Negli ultimi tempi sta vivendo una vera e propria riscoperta dei suoi film e, di conseguenza, un ritorno di impegni pubblici che forse, a 82 anni, non avrebbe mai immaginato di avere. Così, quando l’altra sera lo raggiungiamo al BCT – Festival del cinema e della televisione di Benevento, dove riceverà un premio alla carriera, arriva tutto trafelato e con il tempo a disposizione scrupolosamente cronometrato dallo staff. Avevamo a disposizione 10 minuti. Alla fine l’intervista durerà 9 minuti e 36 secondi, compresi i saluti. Non proprio la condizione migliore per scambiare quattro chiacchiere con Dario Argento, uno dei maestri italiani del cinema che con Occhiali neri, interpretato da Ilenia Pastorelli e dalla figlia Asia Argento, si è rimesso in gioco innescando un effetto domino che lo ha riproiettato al centro della scena: la retrospettiva delle sue pellicole cult è stata inaugurata a New York, poi è arrivata Parigi, e in seguito tornerà negli Stati Uniti a Los Angeles e in altre città americane, per concludere il giro del mondo in Sud America, Europa e Asia.

Avendo i minuti contati, ci giochiamo il tutto per tutto. E siccome l’Italia è un Paese che non finisce mai di stupire, gli lanciamo come prima domanda l’amo della crisi di Governo e delle dimissioni del premier Mario Draghi: «No, veramente?», risponde esterrefatto. Ha abboccato! Infatti, un po’ a sorpresa, il regista si è dimostrato molto sensibile sul caos della politica italiana e ha attaccato la nostra classe dirigente: «È una massa di ignoranti». In buona sostanza, ora nelle sue invettive ha sostituito i politici di oggi («Molto più scarsi del passato») ai critici cinematografici di ieri, che lo consideravano un autore di serie B. Per questo in passato avrebbe persino voluto inserirli nei suoi film e fargli fare una brutta fine: «Ma non sono cambiato io, sono cambiati loro».

Dario Argento con il premio alla carriera ricevuto al BCT di Benevento 2022. Foto press

Lei è chiamato il “Maestro del brivido”. Quante volte le hanno già chiesto che cosa le fa paura?
Questa è la domanda che mi fanno più spesso, se faccio una scommessa la vinco sicuro. Anche a New York, poco tempo fa, ho scommesso con il mio produttore… alla fine è arrivata puntualmente come prima domanda da parte di tutti i giornalisti.

Non c’è davvero niente di nuovo che le fa paura in questa epoca?
Le paure sono sempre le stesse. Sono i fatti che cambiano. Le paure vengono dal profondo, dai nostri incubi, dalle nostre imperfezioni. Per cui ognuno si porta appresso le proprie.

Siamo nel bel mezzo di una crisi di Governo, neanche la politica la preoccupa un po’?
Veramente sta per finire il governo Draghi?

Sì, proprio in questi minuti ha rassegnato le dimissioni (poi ritirate da Mattarella, ndr)…
Ma come è possibile? È una delle poche persone di valore che abbiamo in Italia. Ha delle idee, è un grande economista, proprio quello che serviva per il nostro Paese. E pensa un po’, ora lo mandano via? E chi si prendono? Chi c’è come lui? Lo sostituiranno delle mezze cartucce…

Lei di governi ne ha visti tanti. Come mai non riusciamo ad avere stabilità?
In questo caso per beghe personali, giochi di potere, per dei veri capricci e delle grandi cretinate.

In tutto questo, non pensa che il cinema, e in generale l’arte, non riesca più a farsi ascoltare da chi ha il potere di cambiare le cose?
L’arte ha sempre fatto il suo dovere. Se nelle grandi scelte non partecipa, è perché il gruppo dirigente che c’è in Italia oggi è molto più scarso del passato. Molti sono ignoranti, non conoscono l’arte, non sanno niente di niente. Conoscono solo quello che interessa alla loro combriccola. Il pubblico è sempre affezionato all’arte, che sia cinema, pittura, scultura, musica. E in questi momenti è ancora più utile.

Ha mai avuto la tentazione di entrare in politica?
No no, per carità.

Però qualche offerta le sarà arrivata dalla politica.
Sì, qualche offerta me l’hanno fatta, ma non c’entro niente con questa politica. È tutta una massa di ignoranti. Non ho assolutamente una buona opinione della nostra classe dirigente.

Un tempo anche la critica era molto più temibile, soprattutto nei confronti dei suoi film. Oggi invece la tratta molto bene: come se lo spiega?
È cambiata la critica, non sono cambiato io. C’è una nuova generazione al potere. Prima non si sarebbero mai immaginati di far vincere un festival a un film porno come La forma dell’acqua di Guillermo del Toro. O a Parasite del regista sudcoreano Bong Joon-ho. Certi film che un tempo venivano considerati di serie B ora sono sulla cresta dell’onda.

Mi sembra che sia anche il suo caso.
Sta succedendo anche ai miei film, paradossalmente. Il New York Times ha dedicato due pagine alla mia retrospettiva. Sono appena tornato da Parigi, sempre per i miei film restaurati, e anche lì Le Monde ha scritto una pagina intera molto lusinghiera, che per i francesi è qualcosa di poco consueto verso noi italiani.

Negli ultimi anni le stanno arrivando un sacco di riconoscimenti, ma Umberto Saba diceva: «I premi [letterari] sono una crudeltà. Soprattutto per chi non li vince». A lei fa piacere vincerli?
Non è che mi entusiasmino. Ormai sono tanti anni che vivo in questo mondo, ma non mi hanno mai fatto impazzire. Li ricevo con piacere, come ricevo con altrettanto piacere i complimenti di una qualsiasi persona del pubblico.

Oggi tutti mettono sui social, quindi in piazza, i propri problemi o le proprie fragilità. Come Fedez sulla malattia o Matilda De Angelis per gli attacchi di ansia. Lei ha spiegato che i suoi incubi li ha messi nei film. Forse gli artisti oggi dovrebbero usare meno i social e trasferire di più nel lavoro i loro problemi?
Assolutamente sì, ma in generale sarebbe necessaria un po’ più di discrezione.

C’è un attore o una attrice con i quali non ha mai lavorato ma che le piacerebbe dirigere?
Non ce l’ho, a seconda del film e dei personaggi cerco gli attori più adatti.

Quanto è importate per lei la memoria?
Molto, perché è davvero particolare. Se dieci persone vedono la stessa cosa, non è detto che tutte e dieci la ricordino nello stesso modo. Ognuno potrebbe dare la propria interpretazione. La memoria si confonde con quello che noi immaginiamo. Proprio come dice Carlo, interpretato da Gabriele Lavia, in Profondo rosso.

Memoria anche del cinema stesso.
Sì, ricordo per esempio che in Trauma c’è una sequenza in cui David e Aura si abbracciano, in una panoramica circolare che a sua volta li abbraccia, e mi ricorda La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock. Oppure, nella parte finale, David guarda in una vetrina il quadro di Ofelia e vede riflessa una ragazza di spalle e pensa che sia Aura. Un po’ come nella Donna del ritratto di Fritz Lang.

È stato ospite di Benevento, la “città delle streghe”. Lei ha realizzato una trilogia sul tema – Suspiria, Inferno, La terza madre – dove però c’è sempre qualche personaggio che non crede all’occulto. Ma in fondo lei ci crede?
Anch’io sono un po’ come questi personaggi che non credono all’occulto, ma ci credo nel momento in cui sto girando quel film. Quando lo giro e lo dedico al mistero o alla magia, allora voglio crederci come fiaba che diventa cinema.

Ha mai pensato a come vorrebbe morire? In maniera cruenta come i personaggi dei suoi film o in modo più sereno?
No, a questo non ho pensato. Non ci pensavo prima e non credo che ci penserò neanche adesso.

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